Il dovere mi chiama

E mi costringe a segnalare, sia pure con ritardo, che sull’Enciclica l’Unità del 26.01.06 ha chiesto un parere al magister meus. Leggo: "«Molto colto». «Raffinato nelle citazioni». «Professorale». D’accordo, si sa, così è Ratzinger. Ma poi? Vincenzo Vitiello, docente di Filosofia teoretica a Salerno, è educatamente ma fermamente critico: «Poi, quasi nulla. Quasi nulla di nuovo, intendo. È una forte riaffermazione della dottrina della Chiesa nella forma più tradizionale". A Vitiello stanno a cuore due cose: il tema della sacralità del corpo e un rapporto il meno paolino possibile, cioè il meno ecclesiastico possibile, con la Legge. L’Enciclica lo delude sotto entrambi gli aspetti. Non c’è nessun "mutamento di sguardo teorico".

In effetti, non c’è. (Io ho faticato pure a trovarci lo sguardo teorico e sulla raffinatezza delle citazioni ho avuto da ridire)

9 risposte a “Il dovere mi chiama

  1. Gli darei una statua d’oro, a ‘sto Vitiello.

    [Malvino]

  2. Intendevo dire: “gli farei”. [M.]

  3. visto che ti ripeti, ripeto: nella generale mutazione, bisogna amare i pochi stabili.

  4. utente anonimo

    Ma il problema non sarà proprio la cosiddetta Scuola di Napoli? Non sarà che a forza di secolarizzare un cristianesimo in salsa hegeliana, il prete è rientrato dalla finestra e si è messo comodo in salotto? G.B.

  5. Qual è la scuola di Napoli? Quella di Tessitore? Vitiello non ne fa parte, e nemmeno io.

  6. Insisti a dire che non c’è “sguardo teorico” senza dire quando uno sguardo teorico è dato. Fai ciò che accusi: affermi senza speculazione che qualcuno afferma senza speculazione. Così potrai andare avanti all’infinito.

    Passando a Vitiello. Perché il cambiamento sarebbe da preferire a ciò che permane?
    E pensare che il cambiamento di sguardo teorico sia meglio è forse una novità (di quelle che “non deludono”)?

    E la novità che non delude quale sarebbe, quella della prospettiva non-paolina? Ma se quel rapporto verticale uomo-Dio come prospettato da Vitiello è una delle carabattole del passato, altro che novità che “non delude”.
    O forse la novità sarebbe il rispetto del corpo che passa attraverso l'”ampio ventaglio sessuale”?

    Una forza teorica come Vitiello “può fare molto di più”.
    luigi

  7. Caro Luigi, qui era una battuta, perché in verità io gli ho negato forza speculativa (che non è lo stesso di uno sguardo teorico). Quanto al fatto che io mi limito ad affermare senza speculare è uno strano rilievo: è come se al critico d’arte tu obiettassi che critica senza dipingere. Non sono io che ho scritto l’Enciclica, e certo, ho la mia idea di cosa significa pensare, ma credo di aver mostrato nel pezzo su leftwing che non c’è speculazione. con la precisione possibile in un articolo dal numero di battute prescritto (e più o meno rispettato): indicando i punti in cui si comincia a pensare, mentre l’Enciclica finisce. Aspetteremo comunque la prova dei secoli: vedremo quanta parte della teologia cattolica ventura trarrà alimento da questa enciclica.
    Vitiello: hai ragione, il cambiamento non è da preferire in sé a ciò che permane, e Vitiello (antistoricista se ce n’è uno) manco lo pensa. Però, in primo luogo, trattasi di intervista. In secondo luogo, per lui il problema è Paolo, e quindi la ragione per cambiare è separare Paolo da Gesù. Ora tu dirai vecchia roba, e hai ragione: è quel che Bruno Forte gli dice tutti i giorni. Ma ora lui replica: il fatto che sia vecchia non significa nulla.
    Sul fatto che Vitiello possa fare di più, hai ragione: infatti lo fa

  8. Il fatto che si debba separare Paolo da Gesù non è solo vecchio ma, a mio parere, anche invecchiato male, e se è vero che la “vecchiaia” è di per sé ininfluente ai fini di un eventuale accantonamento, non si può dire lo stesso di una “cattiva” vecchiaia.
    C’è poi un problema di prospettiva e di attesa.
    Se è vero infatti che è tutta da dimostrare l’affermazione secondo la quale nella ricapitolazione non vi sarebbe novità (un po’ limitata come prospettiva, mi pare), appare anche piuttosto sommario ritenere che non vi sia innovazione solo perché è stata delusa un’attesa particolare, quella cioè di una certa novità e di un determinato “modo” di innovare.
    Infine appare dal mio punto di vista colpevolmente trascurata la cifra di questa enciclica (che, tra l’altro, non è un saggio ma una lettera pastorale) che è, come ho già detto, l’appagamento.
    Ricapitolazione e appagamento: Ratzinger vuole fornire questa indicazione, che implica fedeltà, stabilità, conciliazione. Forse la Chiesa ha davvero smesso di rincorrere il mondo, forse davvero il delirio della “santa” secolarizzazione è terminato: come avvenne a Montecassino si è forse inteso – finalmente – che la città di Dio non ha bisogno di bastioni imponenti (perché Dio stesso ne è il custode che “non si addormenta né prende sonno”) e che con la quieta testimonianza e l’incessante trascrizione è possibile salvare la civiltà dalla barbarie. Lo spirito di questa enciclica è tutto nella e per la Gloria di Dio, con una punta di sana indifferenza – che è anche distinzione – nei confronti dell’uggioso scetticismo e del minimalismo di attese secolari da quarant’anni in cerca di legittimazione.

    Bernardo

  9. Ma né io né Vitiello, ognuno per la sua parte, ha mai preteso di dire qual è il senso dell’Enciclica, se ciò significa: ciò che il Papa intendeva prospettare con essa.
    (Quanto a Montecassino, non parli di corda in casa dell’impiccato!)

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