Archivi del mese: marzo 2005

Pubblicisti

Visto che qui s’è parlato di Küng e di Messori (e che Tommaso ha fatto pure il tifo), segnalo la segnalazione di Magister: Pietro De Marco che azzanna il ‘teologo dissidente’. (E’ curioso che Magister scelga per il suo post un titolo così sanguigno: deve proprio essere che Küng non lo si digerisce facilmente). Nel merito, mi pare che De Marco svolga principalmente due osservazioni. Poiché non tocca a me pronunciarmi sulla seconda (Küng misconosce "la natura propria della Chiesa", che non è una società come le altre, e non ha uno straccio di teologia decente dalla sua) mi interesso della prima: posizioni come quelle del teologo svizzero sono datate, appartengono ad una stagione ormai superata: la modernità ("anticlericale, laica, e tardocomunista"). Ora è curioso, molto curioso che Pietro De Marco rimproveri Küng di usare per la Chiesa di Roma l’espressione medievale in maniera impropria, "come un qualsiasi pubblicista di cattiva cultura", e poi usi il termine moderno il maniera così impropria, "come un qualsiasi pubblicista di cattiva cultura".

Tocque Ville. La citta dei liberi

Mi è stato chiesto da Jim Momo: perché non aderisci alla piattaforma? Mah. Potrei dire che, almeno sul blog,  voglio essere libero di girovagare di città in città. Che prima di stabilirmi una città, se ne ho la possibilità, vedo pure chi vi risiede e come si vive da quelle parti. Che preferisco appuntarmi il minor numero di scudetti possibili, e che non so nemmeno in che modo cambierebbe la qualità di questo blog o la natura dei miei post. Che se spira un vento liberale da queste parti, sta al lettore intercettarlo: non lo devo mettere io sull’avviso. Eppoi ci sono altri venti che soffiano, qui. E più di tutti soffia e insuffla il demone della filosofia.

(Poi di liberalismi ce ne sono tanti. Senza aggiungere casistica a casistica, o classificazione a classificazione, un criterio per misurare il tasso di autentico liberalismo nel sangue potrebbe essere questo: liberale è uno che è prima liberale, e poi un’altra cosa. Democratico, ad esempio, o cattolico, o socialista. Se questo è il criterio, io non sono un liberale autentico. Si può dubitare che ve ne siano, ma io non lo sono)

Scepsi

Se esiste una forma veramente suprema di scetticismo, essa non si esprime nelle formule consuete: "non so", "chi lo sa", "che cosa so?”, bensì in questa. "Io so: e allora?".

Chi sono io, chi sei tu

E così Tremonti mi conferma che io sono di sinistra. Intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere (non l’ho trovato online), Tremonti dice: "la rilevanza politica di queste regionali non è tanto nella lotta per il potere, quanto nella progressiva emersione di due visioni del mondo e della vita". (Altro che impoverimento!). "Mi colpisce la mutazione in corso dentro la sinistra. La struttura politica della sinistra si è storicamente basata sul marcatore nuovo-vecchio. Ora la sinistra, tanto riformista quanto rivoluzionaria, ha sostituito il marcatore storico con la dialettica esterno-interno. Improvvisamente il marcatore della sinistra è diventato il primato dell’esterno sull’interno".

A me sta bene. Forse avrei preferito una formulazione più dialettica, l’avrei messa in termini ancora più astrusamente filosofici (di sinistra è chi ritrova il proprio interno nell’esterno, e il proprio esterno nell’interno), ma va bene anche così. Chissà però se il liberale Tremonti, sicuramente più liberale di me, si è accorto che i termini esterno e interno, nella sua versione, possono essere sostituiti senza danno da un’altra coppia di aggettivi. Se se ne fosse accorto, si sarebbe accorto anche di aver posizionato la sinistra a favore di una società più aperta, e la destra a favore di una società più chiusa. Mi farebbe piacere sentire, su questo, il parere della nascente piattaforma liberale

Quanto poi all’esemplificazione in termini quotidiani che egli fornisce, non è che mi calzi a pennello, però è sintomatica di qual genere di emozioni la destra di Tremonti voglia suscitare: "A loro [alla sinistra] piacciono gli involtini primavera, a noi gli spaghetti; a loro il cuscus a noi la pizza. A loro piacciono i banchieri, a noi i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli agricoltori. Per loro il campanile e il minareto sono la stessa cosa, per noi no. Per loro le merci globali a basso costo per i consumatori contano più del lavoro degli imprenditori e degli europei, per noi no. Per loro i giottini [i manifestanti di Genova] sono meglio dei carabinieri, per noi i carabinieri sono meglio dei giottini".

Io ho il forno a legna in casa: figuriamoci. E ho un conto fineco, anche perché gli sportelli ‘a terra’ delle banche non mi sembrano il massimo dell’efficienza. Però questa fortissima pulsione identitaria non la sento, e assaggiare il cuscus non mi dispiace. E nemmeno le banche mi dispiacerebbero se soltanto il settore fosse un po’ più aperto alla concorrenza.

Resoconti

E così ieri Severino era da Ferrara, nell’ora esatta in cui raccontavo a Renata una delle infinite storie di Beth e Bill, e ninnavo quel tipone di Enrico. Vedo però che se ne occupano forma mentis e malvino (di Severino, non di Beth e Bill). Attendo resoconti completi (che, se volete, anch’io vi offro un resoconto meno lacunoso)

Terzi, quarti, quinti…

"Per i primi la dialettica del bene e del male è stabilita all’origine della comunità politica, prima della sua nascita, per i secondi è la comunità politica che decide quel che è bene e quel che è male".

Io quando il Foglio (editoriale del 29 marzo) si mette a filosofare son tra quelli arcicontenti. Una punta di dispiacere mi prende solo perché il giornale non prende in considerazione, a proposito della vicenda di Terri di cui qui si tratta, anche i terzi e i quarti, e si ferma solo ai primi e secondi. Ai terzi, un po’ di distinzioni in più non dispiacerebbero: in modo per esempio da non considerare che non accettare un intervento supplementare del Congresso e del Presidente equivalga a ritenere che ogni possibile morale è contenuta nelle leggi scritte e positive, come l’elefantino scrive, o da non pensare che il bene e il male siano tout court concetti politici. I quarti invece son coloro i quali se ne approfittano, e pensano che a stabilire il bene e il male, visto che non può essere la comunità politica, e in mancanza di meglio, possono ben essere loro (tanto più in quanto ultimamente le rivelazioni scarseggiano). (Poi c’è un quinto, il sottoscritto, che oltre a pensarla come i terzi, si chiede come mai dalla storicistica cultura italiana ora vengano fuori queste alternative del tutto astoriche (o natura o leggi positive), oppure un concetto di storia rachitico, asfittico, relativistico, e insomma inservibile).

 

Al quarto piano senza ascensore

Da un’idea di Rocco Buttiglione, ministro.

Da par suo

Leggo da Magister la riflessione del cardinale Ratzinger sulla Pasqua. Magister dice che Ratzinger riflette da par suo. E veramente: tutta la riflessione è dominata da una sola parola: giustizia, giustizia, giustizia. Ed io che pensavo che la Pasqua fosse bontà. E misericordia, misericordia, misericordia.

Stasera mi sente

Ma voi casa vostra la conoscete? Cioè: ne conoscete tutti gli angoli più riposti, le mensole e gli stipi e quel che c’è dentro? Io no. Nei giorni scorsi, a causa della presenza di due bimbi, la mia casa è stata piacevolmente invasa dalle uova di cioccolata. Ma le feste sono finite, e siccome troppa cioccolata fa male, specie ai bambini (Sirchia interverrà, prima o poi), le uova sono sparite dalla circolazione. Oggi in casa sono solo, mi faccio il caffè, e non riesco a racimolare neanche un grammo che sia uno di cioccolata. E la casa ne è piena. Frugo dappertutto: mobili, credenze, cassetti. Niente.

Stasera mi sente. Altro che Veneziani. Stasera mi sente proprio.

Assolutamente

Grazie a LIpperatura, trovo stralci di un’intervista a Toni Negri (in onda stasera) che tutti coloro i quali vogliono trasformare il mondo, senza capire assolutamente come, dovrebbero seguire.

Al Sistani contro Deep Blue

Al Sistani contro Deep Blue

E’ l’immaginifico titolo della seconda pagina di Leftwing, in cui si parla di scacchi e varia umanità (e umanità). Il sigillo finale, nella goccia.

Pasquetta

Se accade qualcosa, non accade qualcos’altro, per esempio il contrario di quella cosa. Dunque, se accade qualcosa, non accade il caos.
Posso riassumere così una riflessione di forma mentis: una legislazione ontologica minima (quella che per esempio prevede che se accade qualcosa non accade il contrario di quella cosa) confuta l’esistenza del caos.
Ora, poiché la legge minima della determinatezza dice che se accade qualcosa non accade il contrario di quella cosa, e poiché il qualcosa come tale è così definito dal non poter accadere insieme al suo contrario (il contrario di quella cosa), il caos risulta definito come ‘il contrario del [meglio: l’altro dal] qualcosa come tale’. Ma se il caos è il contrario del qualcosa, è pur esso qualcosa: ha cioè pur esso la sua determinatezza, mentre doveva sottrarsi ad ogni legge – e alla legge minima della determinatezza in specie.
Così si dimostra dunque, con la riflessione di forma mentis, che il caos non è pensabile? No, non che il caos non sia pensabile: l’impensabilità non può essere una proprietà del caos (di ‘cosa’, si domanderebbe infatti?). Che il caos sia impensabile dice piuttosto qualcosa del pensiero – e di un certo pensiero, di quel pensiero che coincide con il logos greco della non contraddizione. Ma lascia per dir così intatto e intangibile il caos. Dice dunque non la potenza del pensiero, la potenza con la quale stabilisce e ribadisce la propria legislazione, ma la sua impotenza, l’impotenza per la quale non gli riesce di cancellare ogni traccia dell’impensabile.

È vero che posso sempre pensare che sotto l’impensabile non ci sia nulla, ma è anche vero che posso solo pensarlo.

Hier geschieht keine Er-lösung

Hier geschieht keine Er-lösung

scrive Heidegger nel punto decisivo della sua opera: "Qui non avviene nessuna redenzione", ché l’uomo non può sciogliersi, liberarsi da questo vortice, trovare garanza e custodia nell’essere, ché l’essere è quest vortice, questa finitezza.

E’ questa la parola decisiva: la finitezza dell’essere. Questa finitezza dice l’ultimo Dio – che non è ultimo perché parla della fine, della morte anunciata o avvenuta di Dio, né apre ad un altro inizio, nel senso che con esso cominci qualcosa di totamente nuovo. L’ultimo Dio dice il già stato – ma lo dice in altro modo, in modo radicalmente altro. Dice del Dio passato e del Dio venturo – della loro pari ultimità. Dice del’ultimità di tutti gli dèi. Dice che non c’è divino se non come ultimo, se non cme presenza-abbandono, donazione-diniego, che non c’è presenza se non sospesa all’assenza, parola che non sia nella possibile impossibilità del Silenzio, epperò abbandonata a se stessa, alla sua morte irredimibile"

(V. Vitiello, Cristianesimo senza redenzione). E se si trattasse invece di redenzione senza cristianesimo?

 

Qualche ragionamento di Bobba

Se la domanda con cui comincia Luigi Bobba, presidente delle ACLI, è: possiamo lasciare che a decidere cos’è vita e vita umana, siano gli scienziati, e se la risposta di Bobba è no, siamo d’accordo (io però direi: non soltanto).

Ma l’accordo finisce qua. Bobba poi aggiunge che con i referendum che i radicali ci propinano quasi ogni anno, si chiede ai  cittadini di sostiuirsi al Parlamento: è un rimprovero che, se fondato, va rivolto ai Padri Costituenti. Bobba poi aggiunge che il punto focale del confronto è se si vuole sostenere o abrogare una legge che impedisca il far west. L’argomento è interessante, perché lascia pensare che Bobba sarebbe contro l’abrogazione di qualunque legge, pur che sia, in materia. L’argomento è altresì curioso, perché Bobba prima osserva che tocca ai Parlamenti fare ed emendare le leggi, non ai cittadini, poi però sostiene sulla base dell’esperienza che una legge investita da un pronunciamento referendario difficilmente viene toccata dal Parlamento (il che peraltro non è nemmeno vero: si pensi a temi come il finanziamento illcito dei partiti o la responsabilità civile dei magistrati).  Infine, Bobba dice che i quesiti son quattro, ma la domanda è una. Bah. Mi limito a dire che se la mette così, non è affatto vero, come invece lui sostiene, che lo strumento referendario è "un’accetta" con cui fare la punta a una matita. Tutto al contrario, visto che spacca la questione in quattro quesiti. L’accetta la impugna dunque Bobba, e i quattro referendum pongono evidentemente questioni più distinte di quanto Bobba riesca a distinguere. 

(Come si vede, essendomi già espresso sul punto, mi sono tenuto alla larga dalle questione sullo statuto dell’embrione)

Di fini e mezzi, e di mezzi e fini

Non è vero che il fine giustifichi i mezzi. Più precisamente: non solo non è vero che qualunque fine giustifica qualunque mezzo, ma è vero invece che nessun fine giustifica qualunque mezzo. Ciò detto, sarebbe l’ora di finirla non solo con questa machiavellica storia del fine che giustifica, cioè rende giusti i mezzi, ma anche con un’altra storia, che con questa ha una parentela stretta, benché segreta. E cioè che (in politicis) vi siano fini che sono giusti in sé, indipendentemente dai mezzi. Ahimè no: non solo non è il fine che da solo decide della giustezza dei mezzi, ma sono anche i mezzi che decidono, in quanto mezzi (per esempio nella loro disponibilità o indisponibilità), della giustezza del fine. Il che non significa affatto, ed ho concluso, che purché siano giusti i mezzi, ogni fine con essi conseguito è giusto.

Quel che è giusto, è che fini e mezzi non si giustificano mai indipendentemente gli uni dagli altri, ma sempre solo vincendevolmente. Ho finito (e spero che si sia capito quel che c’è di mezzo).