Sulla sofferenza del Papa in tv
(a Fahrenheit): commozione (“una voce flebile che copre il rumore assordante della postmodernità”) o fastidio per l’ostensione del dolore?
Carlo Sini: Sentimenti diffusi, è difficile proteggersene. Sono dalla parte del fastidio. C’era una volta la discrezione, il Vaticano la frequentava in maniera virtuosa. Ma ora siamo all’esatto opposto.
Occorre una riflessione critica su come i mezzi di diffusione abbiano dentro di sé qualcosa di morboso. È innegabile. A me è venuto di associare, me ne dispiace ma è così, le immagini del Papa sofferente a quelle del funerale di Diana.
Chi fa informazione disinforma nella stessa misura in cui informa. Quando un mezzo esibisce un particolare, lo esalta ma al tempo stesso trascura tutti gli altri. Questo non è informare, non è il diritto della gente a essere informata. Questa sottolineatura, questa esaltazione fa violenza sia a chi la subisce consapevole sia a chi la subisce inconsapevole.
La logica del mezzo va conosciuta ed esibita nei suoi limiti.
Mi ha colpito che abbiano messo telecamere a illustrare i pochi metri dall’ospedale al Vaticano: che notizia è? Questa non è una notizia, è una violenza nei confronti di chi accende la tv; non è informazione ma indiscrezione, guardonaggio. Il problema serio è che c’erano telecamere anche alle spalle del Papa, nell’auto. E questo dà da pensare.
Marino Sinibaldi: Rispetto ad una naturale coltre di discrezione e di mistero che un tempo c’era intorno ad altre agonie papali, assistiamo a un cambiamento dei soli media, o è cambiata anche la Chiesa, il messaggio delle grandi religioni?
Carlo Sini: “Probabilmente le due cose van di pari passo. I media non sono un semplice mezzo, si riverberano sulla coscienza di tutti noi e creano un’altra psicologia, un’altra umanità e dunque un’altra religiosità. Fenomeni complessi.
Ma è inquietante.
L’esibizione delle lacrime di una signora inquadrata in piazza San Pietro è legittima? Lo sa, la signora: lo desidera? Quell’immagine, resa pubblica, genera effetti: non nascondiamocelo. E se per ipotesi alla morte (il più lontano possibile) del Papa, qualcuno si suicidasse, com’è accaduto con la morte di Diana? Chi si metterà sulla coscienza quei suicidi?
M. S. : Ma tutto dipende dalla sola forza comunicativa del mezzo? O c’è altro (la fragilità indomabile del corpo di questo Papa)? C’è una peculiarità di questa figura papale, di questo crpo di Papa?
C. S.: Non c’è dubbio. Questi fenomeni non sono prodotti solo dal mezzo. Hanno certo occasioni e circostanze che li generano. Ma il problema è che se non ci portiamo al livello dei mezzi, i mezzi domineranno noi – anche se lo stanno già facendo. Questo è un destino, certo, ma va cavalcato: va guardato, senza rifiutarlo o respingerlo, ma va guardato per quello che è, anche senza farcene agire come marionette.
M. S.: Ma c’è un tipo di messaggio religioso in tutto ciò (su vita, eutanasia, corpi…), una Chiesa che si mostra combattente fino all’ultimo: è possibile individuare un contenuto intellettuale e religioso puro in ciò che siamo costretti a vedere in questi giorni?
C. S.: Discorso complesso. Lo accenno appena. Non è senza nesso che l’Occidente dei mezzi di comunicazione di massa (della comunicazione per dir così ‘soprasensibile’) sia nata all’interno di una società cristiana, di una religione che ha al suo centro lo scandalo della resurrezione dei corpi. Certo questo problema c’è, è molto complesso e profondo dal punto di vista teologico e filosofico.
M.S. Allora come reagire? Che fare? Su cosa riflettere?
C. S. Le dò una risposta platonica. Speriamo che i reggitori televisivi diventino filosofi. Vorrei vedere una televisione che ci faccia vedere un servizio e poi ci faccia vedere come il servizio è stato fatto, tagliato, ecc. Un programmatore filosofo che spieghi alla gente che cosa e come è stato davvero mostrato, ecco: con questo allora avremmo fatto un passo: