L’età del mondo
Come al solito, leggo L’Indice dei libri solo poco prima dell’uscita del nuovo numero. Su quello di marzo, Mario Tozzi, geologo, domanda: posto che l’età della Terra (quattro miliardi e seicento milioni di anni) sia rappresentata da un metro, in qual punto della retta segneremo con la matita la comparsa dell’uomo? Risposta: in nessuno, perché la punta della matita sarebbe comunque troppo spessa per rappresentare su una simile scala i duecentomila anni della vita umana.Capperi!
Questa lezione dovrebbe essere sufficiente per valutare il posto assolutamente infimo che ci compete nella storia della Terra – e dell’universo. Per “riprendere tutti la dimensione più giusta, la prospettiva più naturale, il senso reale delle cose”. Insomma: come può l’uomo, questo batterio dell’universo, pretendere che il senso del tutto si ricapitoli nella sua forma di vita? E come può la filosofia anche solo porre la questione del senso del tutto?
Ora però facciamo un’ipotesi, che l’età della Terra sia assai più breve, e che sul metro che la rappresenta occorra disegnare un bel tratto, un bel segmento di qualche decimetro per riportare i nostri duecentomila anni di vita. Niente abissi temporali, niente pianeta senza esseri umani, niente storia naturale senza l’uomo: ne sapremmo così qualcosa di più, sul nostro conto? Il senso reale delle cose prenderebbe forse un altro aspetto? Saremmo per questo il termine ultimo dell’evoluzione? Evidentemente no. Spalancare allora simili abissi non muta di un millimetro il problema (ammesso che sia un problema) della destinazione dell’uomo sulla terra (se mai una destinazione ci sia). Certo spaventa, magari inorridisce persino, ma è abbastanza insignificante dal punto di vista filosofico. Non è una prova a carico, né a discarico.
A ognuno il suo mestiere, insomma.