Stanche cose di filosofia e meditatio vitae
Windrosehotel cita l’Avvenire, che si occupa niente di meno che della croce del filosofo (ad ognuno la sua croce, giustamente). Leggere l’articolo mi procura un invincibile senso di stanchezza: comunque. Nella Fides et ratio il Papa dice che domina un generale scetticismo e una filosofia di piccolo cabotaggio, mentre c’è bisogno di una filosofia che pensi in grande e che approfondisca "le dimensioni del buono del bello e del vero". Non che pensi ad una filosofia "totalizzante e onnicomprensiva", però che diamine: i filosofi non siano tanto rinunciatari. Pensino al fondamento. Poi, certo, naufragheranno, ma proprio così potranno scoprire che solo la croce, scandalo per i filosofi, dà senso all’esistenza.
Malvino invece cita adorante (e gongolante) Severino, iersera a Ottoemezzo. Questa volta mi stanco un po’ meno, ma le braccia, che già mi erano cascate, non ce la fanno a tirarsi su. Che dice infatti Severino? Che gli uomini hanno paura della morte, e siccome hanno paura cercano di difendersi dalla paura. E non c’è aspetto dell’esistenza umana che non sia da intendersi come una simile difesa dalla morte.
A causa della stanchezza, non è che abbia molta voglia di commentare. Solo il minimo sindacale, dunque. Ad primam. E’ veramente insopportabile quest’idea che la filosofia faccia quel che vuole con la verità e il fondamento (rinunci, non rinunci…): ma che razza di idea si ha della filosofia? Ma davvero si crede che il filosofo pensa in grande o in piccolo a suo piacimento? Ad secundam. Ma chi glielo ha detto a Severino e a Malvino, che tutto quel che ti combino nasce dalla paura della morte (o dalla fede nel divenire)? Anche se tutto quel che faccio fosse in linea di principio spiegabile in questi termini, non si sarebbe ancora dimostrato che non vi è altra spiegazione possibile. Che almeno si ricordi questo. Poi, con Severino la partita è ovviamente molto complessa (lo dico prima che qualcuno mi obietti che le dodici righe riportate da Malvino ed estratte da una trasmissione giornalistica non bastano), ma a tutti gli altri: siamo davvero sicuri che una spiegazione così straordinariamente monocausale sia il meglio che si possa offrire, sul piano scientifico e filosofico? E fate attenzione, che non si dica almeno che l’uomo è da cima a fondo paura della morte, meno però uno spicchio, un pezzetto, un soffio, uno spiritello o un demonietto, meno quel tanto che gli consente il riconoscimento, l’agnizione, e l’apatheia stoica o il riso democriteo. Perché che razza di antropologia sarebbe quella che mi dice cos’è e come si spiega non l’uomo, ma quasi tutto l’uomo? (Oppure: tutti gli altri uomini?)