Leftwing per discutere
Editoriale, sì o no
Seconda pagina: perché voterò sì (by me medesimo)
Terza pagina: perché voterò no (by ffdes)
Ciò che non siamo (stupidi o traditori)
Ma non è l’omicidio (S. Cavell, by me medesimo)
Leftwing per discutere
Editoriale, sì o no
Seconda pagina: perché voterò sì (by me medesimo)
Terza pagina: perché voterò no (by ffdes)
Ciò che non siamo (stupidi o traditori)
Ma non è l’omicidio (S. Cavell, by me medesimo)
Guarda Massimo,
il tuo articolo su Leftwing è semplicemente strepitoso!
JimMomo
A me invece non tornava e ho ripreso da me il tuo articolo. ciao
ld
Scrivi: ‘Sul principio della continuità in se stesso, toccherà discutere un’altra volta’.
Peccato, perché è proprio la continuità materiale (e non semplicemente il codice genetico) che mi fa dire che un essere umano inizia con il concepimento e non dopo.
Angelo
Angelo, poniamo che vi siano ‘fenomeni continui’ in cui non trovi alla fine qualcosa che trovavi all’inizio. Poniamo che tu non sappia o non possa determinare quando puoi dire di trovare senz’altro quel che trovi alla fine: dirai per questo che dunque quel che c’è alla fine è quel che c’è all’inizio?
Domanda troppo generica, Massimo.
Se quel che c’è alla fine dipende dall’andamento del processo fin dal suo inizio, ti rispondo che c’è una causalità tra inizio e fine.
In particolare l’embrione umano è un organismo orientato finalisticamente ed ogni sua tappa dipende dal successo di quella precedente. E’ un processo unitario che può essere compreso solo diacronicamente.
Angelo
Cioè (se capisco): se quel che c’è alla fine non c’è all’inizio però dipende causalmente da ciò che c’è all’inizio, e non può essere quel che è se all’inizio non ci fosse quel che c’è, allora tu diresti che quel che c’è all’inizio E’ quel che c’è alla fine?
(Non parlarmi ora dell’embrione, ti invito a discutere della continuità in se stessa: la generalità – non la genericità – la cerco a bella posta)
Massimo, il tuo tranello l’avevo già scovato ed infatti non ho parlato di ESSERE ma di DIPENDENZA.
Quel che c’è alla fine DIPENDE da dall’inizio e dall’andamento del processo.
Vogliamo parlare di essere?
Bene la questione si complica perché in italiano essere ha almeno 3 significati: (1) identità, (2) esistenza e (3) predicazione.
In termini generali.
(1) La fine è identica all’inizio? NO, c’è un processo.
(2) L’ente che esiste alla fine esiteva già all’inizio? SI, nel senso che pur mutando non ha mai cessato di esistere.
(3) Ciò che si predica dell’ente alla fine si predicava già all’inizio? No, se c’è stato cambiamento. Però è importante sottilineare che tutte le predicazioni finali c’erano già POTENZIALMENTE dall’inizio.
Veniamo al caso particolare dell’essere umano:
(1) La fine è identica all’inizio? NO, c’è un processo.
(2) L’ente che esiste alla fine esiteva già all’inizio? SI, nel senso che pur mutando non ha mai cessato di esistere pertanto SIN DALL’INIZIO L’EMBRIONE E’ UN ESSERE UMANO. C’è un organismo che si evolve ma l’organismo è lo stesso.
(3) Ciò che si predica dell’ente alla fine si predicava anche all’inizio? No, c’è stato cambiamento, però l’embrione conteneva potenzialmente tutto ciò che è poi diventato. (Potenzialmente non vuol dire necessariamente, quindi niente determinismo)
Angelo
(Che ora va a lavorare)
Angelo, il punto decisivo della tua risposta è il punto 2. Pur mutando, l’ente che esiste alla fine è lo stesso ente che esisteva all’inizio. Essere lo stesso qui significa solo: che ha continuato ad esistere (“non ha cessato di esistere”). Dal punto di vista filosofico, questa affermazione è molto impegnativa: la mera continuità d’esistenza, indipendentemente da qualunque qualità o natura, fonda l’identità di natura. Ma un esistere puro e semplice, un’indeterminata esistenza come mai si può dire che rimane la stessa? Anzi: come si può dire che continua ad esistere, e non cessa di esistere: cosa non cessa di esistere?
Ma quando vieni al caso particolare, non hai questa difficoltà, perché qui non si tratta di un esistente indeterminato, ma di un ente ben determinato come embrione. Però qui dire che c’è continuità si risolve nel dire che l’uomo è uomo in virtù di quel che permane, cioè di quei 46 cromosomi. Con l’argomento della continuità, sin qui, non fai nessun passo avanti rispetto al dato biologico. A meno che tu non sia in grado di mostrare in che modo nell’embrione è potenzialmente contenuto l’essere uomo soggetto morale, emozionale, giuridico, storico, ecc. ecc., a meno di ciò non serve a nulla la tua aggiunta ‘potenziale’: è solo un altro modo di dire che una certa dotazione biologica è condizione necessaria per, ecc. ecc. Io invece ritengo che dall’inizio alla fine la trasformazione dell’uomo è essenziale; ritengo cioè che l’uomo che c’è alla fine è essenzialmente diverso dall’embrione che c’era all’inizio. Io trovo addirittura che sia un controsenso (o almeno una forzatura) dire che io sono stato un embrione, perché quando ero embrione, non ero io: non ero un io e dunque non ero io (il che non vuol dire che ero tutt’altra cosa, o, alla Sartori, che è uomo solo chi sappia dire io).
Aggiungo che da wittgensteiniano quale sono nel trattamento di siffatti concetti, se parlo di trasformazione essenziale non è in senso platonico. E’ essenziale sotto certi aspetti:. sotto quello biologico non c’è trasformazione essenziale, ma sotto tutti gli altri aspetti sì. Sotto tutti gli altri aspetti: cioè sotto quegli aspetti che, tutti insieme, in modi e circostanze che non si definiscono una volta per tutte e che mutano pure storicamente – così come sono di fatto storicamente mutati, poiché un’essenza platonica non c’è e non è surrogable con la biologia – fanno di un uomo un uomo).