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Risposta a Enzo Reale (1972)
A proposito del matrimonio gay, e della legge oggi definitivamente approvata in Spagna.
In uno, tu scrivi di trovare condivisibile la rivendicazione del matrimonio gay. Benissimo! Partiamo nel migliore dei modi! Siamo dunque in due. Aggiungi che non per questo si deve ghettizzare chi è contrario. Perbacco: certo che no! Ma non credere che chi esce da un ghetto abbia come suo primo scopo quello di ficcarci dentro qualcun altro.
Dici pure che è un cambiamento assai rilevante. D’accordo, d’accordissimo. (Morale, sociale, simbolico: quello che vuoi: ma forse che i cambiamenti rilevanti non vanno effettuati perché sono rilevanti? Non mi pare, visto che sei d’accordo con la rivendicazione)
Il resto del tuo post c’entra con l’America di Bush, e posso lasciarlo perdere.
In due, a parte la riflessione sulla parola/simbolo matrimonio (e qui, nei commenti, tomgiartosio vi aggiungeva una piccola, istruttiva riflessione sulla parola patrimonio) c’è questa idea che il matrimonio non rientra fra i diritti civili individuali. Il matrimonio è un contratto sociale. Non so se condividi l’opinione di Sowell, che riporti, ma mi pare che dica meglio di altri che la società ha qualcosa da dire sul matrimonio perché è affidato ad essa il rinnovamento generazionale. Non mi è chiaro però cosa impedisci ad uomini e donne di sposarsi e fare figli, una volta che anche le coppie gay possano sposarsi. Neppure mi è chiaro, se il punto è il ripopolamento della società, perché non approvare entusiasticamente l’adozione gay. Il fatto poi che il matrimonio sia un contratto, i cui effetti vanno al di là degli individui che lo contraggono, è un buon argomento per legittimare un intervento dello Stato perché si sposino solo individui con Q.I. superiore: non è interesse della società che nascano figli belli e intelligenti?
Se il vero ostacolo è invece il fatto che non si darebbero ai figli padri e madri, e questo per i figli sarebbe un danno, bisognerebbe in primo luogo cominciare a discutere dopo essersi detti favorevoli a unioni gay a cui tutto si darebbe meno che l’adozione. In secondo luogo, bisognerebbe metterli tutti in fila questi bimbi di coppie gay che vivono male, che soffrono, e dimostrare che soffrono di più di quelli che hanno altre situazioni familiari difficili, o che vivono in un istituto per orfani, eccetera eccetera.
Ovviamente, rimane sempre da pensare: che paese è mai quello dove si sposano uomini e donne, uomini e uomini, donne e donne. E già: che paese è? Ma siamo di nuovo dalle parti dell’argomento del prelato spagnolo: Sodoma e Gomorra a Madrid (e a Bruxelles, e ad Amsterdam), che tu hai detto (qui, nei commenti) non essere il tuo.
In tre dici che “il fatto che gli omosessuali (o alcuni tra essi, o i loro rappresentanti) ritengano che il matrimonio sia un concetto del tutto indipendente dall’identità sessuale non implica automaticamente che così debba essere per chiunque”. Giusto. Ma rovesciabile: il fatto che x,y,z…n ritengono che il matrimonio non sia un concetto indipendente, ecc. non implica automaticamente che così debba essere per chiunque. E allora che si fa? Si sposa un punto di vista e peggio per i diritti individuali degli omosessuali? L’argomento è inoltre pericoloso, poiché è l’argomento con il quale si potrebbero negare a una minoranza diritti fondamentali (chi l’ha detto che gli ebrei possono accedere a cariche pubbliche? Chi l’ha detto che ne hanno la capacità? Il concetto di carica pubblica non è indipendente dalla razza: ecc.): meglio delimitare bene, l’uso di argomenti come questi.
Poi aggiungi cose che ti dovrebbero impegnare a dimostrare che la piena disposizione della propria vita affettiva non rientra fra le prerogative fondamentali di una persona (al punto che si potrebbe vietare ai mori di sposare le bionde senza ledere i diritti civili dei mori: improbabile, mi pare). Infine ritieni che la legge spagnola annulla la diversità. Questa è bella: no, consente alle diversità di esprimersi liberamente dentro la legge: allo stesso titolo. L’argomento è puramente ideologico e lo si vede bene dal fatto che si potrebbe parimenti dire anzi che attualmente la legge (per esempio italiana) consente solo matrimoni tutti uguali. Che noiosa uniformità! Perdonami, ma quella dell’uniformazione indiferenziazione livellamento è una vecchia sciocchezza che accompagna la progressiva espansione di liberalismo e democrazia dal loro sorgere.
Infine, mi sono ricordato perché non avevo ripreso i tuoi post: perché sul tuo blog non c’è possibilità di commento. Ignoro la ragione. Non la discuto. Ma mi piacerebbe condurre un dialogo nelle stesse condizioni (specie, quando mi citi da te). Ad ogni modo, e sia pure in fretta, questo è quanto.
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La ragione di Ferrara
Oggi Il Foglio spiega ai suoi lettori perché il suo Direttore si sente così vicino alle posizioni della Chiesa. Per quella che Ratzinger chiama etica della ragione. Se ora io chiedessi al Direttore di che ragione parla, so che mi attirerei una rispostaccia: lo vedi? Il relativista, lo scettico, il nichilista. Allora non glielo chiedo. Però leggendo tutto l’articolo mi cnvinco che non è affatto la ‘ragione’ quel che piace a Ferrara. Nell’articolo se la prende contro un’idea di cristianesimo che dice (con buona disinvoltura) ‘fideista in nome della storia’. E si capisce bene che non è mica il fideismo quel che gli fa più scandalo, ma la storia. Più precisamente: l’idea che attraverso la storia si proceda alla "relativizzazione temporale" del cristianesimo. Va bene la ragione, ma quel che piace a Ferara è proprio la Chiesa, l’istituzione, il "comando morale". Non la ragione e basta, dunque: il veleno della critica, della riflessione, della domanda, del dubbio, della discussione continuerebbe a inquinare la sana e robusta costituzione dell’Occidente, ma una bella ragione monologica, oggettiva, dogmatica, e soprattutto istituzionale. Non l’irresponsabile e velleitaria ragione illuministica, ma la ragione del razionalismo teologico, la ragione vera, quella metafisica old style. Tanto meglio se siede su un soglio, perché non è più tempo per inconcludenti chiacchiere di filosofi.
(vedete che io il post l’ho scritto seriamente. Non mi è mai scappato da ridere, mentre lo scrivevo).
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Presentazioni
Ma dove poteva andare oggi pomeriggio un filosofo con bloggheresca fama di anticlericale? A un battesimo. E chi doveva trovarvi come padrino del battezzando, il filosofo con bloggheresca fama sinistrorsa? Ma è chiaro: il ministro (ex) Maurizio Gasparri! E a questo punto: chi gli dovevano presentare, se non la signora Gasparri? (Benone!)
"P-piacere"
…
"E’ la mamma". "Ah"
(Guardandolo bene in faccia e svecchiandolo un po’, mi son fatta l’idea, sicuramente sbagliata, che il giovine Maurizio sia – sia stato – un po’ come l’indimenticabile Robertino. Se non altro, le rispettive mamme paiono coincidere)
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Ad Azioneparallela hanno fatto le scarpe
(Se qualcuno pensasse che ragiono coi piedi, ora almeno lo può pensare a ragion veduta).
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Per saperne di più
Le idee del filosofo Thibaud Collin (vedi post sotto) sono abbastanza estesamente esposte in questo sito (dal bel nome: glad to be a guy). Spicca in particolare la riflessione sulla strategia dei gruppi di pressione gay, colpevolizzare il senso comune (queste minoranze che colpevolizzano le maggioranze sono veramente insopportabili!). Spicca la convinzione che si voglia distruggere la manière immémoriale dont les tres ont compris et vécu leur sexualitè (Collin confonde vita sessuale – che di maniere ne ha viste molte e molte se ne ricordano – e riproduzione. O meglio non confonde: adotta quella morale che pretende di calcare l’una sull’altra. La quale morale a sua volta è tutto meno che ‘immemoriale’). Spicca ancora l’interpretazione della rivendicazione nel senso di "une égalité indifferenciée" (che evidentemente per Collin si combatte lasciando allo stato la responsabilità di mettere un po’ di ordine fra i costumi sessuali dei cittadini e scegliere quelli che fanno al caso suo: al caso cioè dello stato e della sua moralità pubblica, e al caso del cittadino, che se lo lasci dire e imporre). Spicca ancora il timore di una trasformazione radicale della società (e qui Collin, che lascia intravedere la fine dell’Impero romano, colpisce duramente anche Mary Quant e la minigonna)
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Una risposta virtuosa a Zapatero
La affidiamo a Massimo Introvigne, che su Il Giornale (ripreso qui) scrive
"Lo stesso dibattito è in corso in Francia, e nelle ultime settimane si è concentrato sul matrimonio gay, un duro pamphlet del filosofo Thibaud Collin, ascoltato consigliere di Sarkozy, che ne ha subito preso le difese. Per Collin una società può sfuggire alla sua auto-distruzione soltanto se riposa su alcuni principi del «senso comune», accettati da tutti. Tra questi ci sono l’idea che uccidere l’innocente e rubare siano comportamenti criminali, il divieto della pedofilia e dell’incesto, e anche la nozione che un figlio sia tale in quanto ha un padre e una madre e che il matrimonio sia l’unione fra un uomo e una donna. Una democrazia è veramente tale in quanto rispetta questi principi, che sono condivisi dalla grande maggioranza dei cittadini ma nello stesso tempo costituiscono il retroterra etico su cui la stessa democrazia si fonda, così che il fatto che un governo sia stato eletto dalla maggioranza non gli consente di per sé di modificarli".
Il ragionamento (non c’è dubbio: è un ragionamento) non sarebbe però completo senza le righe seguenti:
"Oggi una rivoluzione ulteriore al marxismo, secondo il filosofo francese, ragiona nello stesso modo. Sa bene che la maggioranza è contraria al matrimonio degli omosessuali, e al fatto che due persone dello stesso sesso possano «avere» (per adozione o fecondazione artificiale) dei figli. Ma sostiene che questa opposizione deriva da una «falsa coscienza» indotta dall’«eterosessismo» (la convinzione della «normalità» dei soli eterosessuali) e dalla «omofobia»".
Zapatero è servito: questi principi morali sono intoccabili (Si noti la finezza di distinguere la maggioranza che condivide i principi morali dalla maggioranza che elegge Zapatero. Si noti l’arguzia di mettere nel lotto dei principi morali intoccabili quelli oggi non in discussione, e quelli che per questo mezzo si vuole elevare al medesimo rango. Si noti la conseguenza che dai tempi di Pierre Bayle non si udiva più: altro che atei virtuosi! Se non sei virtuoso non sei democratico).
P.S. Confesso l’ignoranza: chi è Collin?
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Una democrazia liberale moderna
"Questa legge non toglie diritti a nessuno, ma finalmente riconosce dignità agli omosessuali. Questa legge, appoggiata dalla maggioranza dei cittadini, della politica e del parlamento, è il simbolo di ciò che deve essere una democrazia moderna". Così J. L. Zapatero. Per la prima affermazione, se vera, si direbbe che la legge sui matrimoni gay è una legge liberale. Per la seconda affermazione, se vera, si direbbe che la legge sui matrimoni gay è democratica. A rincalzo: "…aggiunge senza togliere. La nuova legge implicherà un allargamento del diritto che ha ogni essere umano di scegliere liberamente il cammino della sua vita e la ricerca della propria felicità". Certo, rimane profondamente (anzi: intrinsecamente) ingiusta e sbagliata, immorale e anticattolica. Ma bisogna pur scegliere.
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Bartleby
Ho ripreso Melville, Bartleby lo scrivano (vedi qui). La ragione è la sequenza costituita da: 1. la richiesta dell’avvocato, il datore di lavoro di Bartleby (per esempio: “fate un salto all’ufficio postale e vedete se v’è qualcosa per me”); 2. la risposta di Bartleby: (“avrei preferenza di no”, nella traduzione di Celati, I would prefer not to); 3. l’interpretazione dell’avvocato della risposta di Bartleby nei termini di una negazione: (“non volete andarci?); 4. il rifiuto di questa interpretazione, che però non prende forma negativa (tipo: ‘non ho detto che non voglio andarci’). Bartleby si limita infatti a ripetere: “avrei preferenza di no”, come se ‘avrei preferenza di no’ non significasse che egli non vuole andare. Ma la differenza fra la preferenza di Bartleby e la pura e semplice negazione è del tutto priva di effetto: Bartleby non va effettivamente all’ufficio postale. Dunque l’interpretazione dell’avvocato è, sotto quest’aspetto, corretta. Epperò Bartleby non dice neppure: ‘è così: non voglio andarci’. Viene con ciò mantenuta una differenza tra ‘preferenza di non’ e negazione che rimane a tutti gli effetti indifferente.
(Che questo sia il punto è peraltro segnalato per me dal fatto che già qui l’avvocato trae la “conclusione dell’intera vicenda”, che cioè lo scrivano “si sarebbe rifiutato e basta”, o meglio: non già dal fatto di questa conclusione, ma dal fatto che essa non metta per nulla fine al racconto, che anzi si può dire abbia qui inizio. Il racconto inizia con la scoperta che la ‘preferenza di non’ di Bartleby non può essere trattata come un “rifiuto e basta”).
Che roba poi sia l’irragionevole differenza indifferente di Bartleby, se vi sia lì qualcosa, o piuttosto nulla, o se, come dice Agamben (Bartleby. La formula della creazione), non sia in gioco proprio questo ‘piuttosto’, è ben difficile a dirsi.
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Ad sestam
Giuro che non mi ero accorto che c’è una sesta domanda. La quale dice: chi vorresti essere se dovessi rinascere. Francamente, non ho idea. Forse chiunque, purché mi si lascino alcune cose (certi affetti, certi libri, certi luoghi).
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Ad secundam ad tertiam ad quartam ad quintam
I libri che sto leggendo ora:
C. Benedetti, L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata (ho letto le prime 50 pagine, su suggerimento di Giulio Mozzi, a mia precisa richiesta).
M. Donà, Sulla negazione (appena iniziato)
H. Melville, Bartleby lo scrivano (trattasi di rilettura, avviata sull’onda di questo saggio-post, e appena conclusasi)
T. Giartosio, Doppio ritratto (ripreso, dopo che la prima lettura si era fermata a circa un terzo)
B. Spinoza, Etica (per lavoro, dovendo tenere il corso l’anno prossimo su)
L’ultimo libro che ho comprato:
Tre insieme (prodigi e maledizione della carta di credito): C. Benedetti (in lettura); C. Sini, Archivio Spinoza (letto: straordinario); G. Agamben, La potenza del pensiero (in attesa)
Tre libri che consiglio:
C. Sini, Archivio Spinoza (Ghibli; o un altro di Sini a piacere), Ghibli; V. Vitiello, Topologia del moderno (Marietti); U. Casadei, Il suicidio di Angela B. (Sironi)
(Invece di consigliare i libri che non ti aspetti – io, poi, non sono un gran lettore: non sono quindi la persona più indicata; o i libri fondamentali – cioè Platone? cioè Kant? – consiglio i libri leggendo i quali si può ritenere di capire come penso io)
Cinque blog a cui passo il testimone:
blogregular, wXre, Bazarov, Porphyrios, Milton (secondo il criterio, che in verità avrebbe incluso anche altri: blog che leggo, ma da cui non so precisamente che risposta aspettarmi)
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Risposta alla prima domanda
(Le domande sono cinque, me le ha rivolte Davide L. Malesi). Libri della mia biblioteca:
La mia biblioteca è divisa fisicamente in due. Un pezzo è qui, nello studio. L’altro pezzo è su in mansarda. Il pezzo di biblioteca che sta in mansarda è il pezzo morto; il pezzo che sta qui è quello vivo. Forse il pezzo di sopra non è proprio del tutto morto (ce ne vuole per far morire un libro), ma sepolto sì.
Dei libri che stanno qui nel mio studio ho avviato la catalogazione qualche mese fa. Non sono molti: sono io che sono pigro. I libri catalogati sono poco più di un migliaio. Quelli non catalogati sei- settecento. Poi ci sono le fotocopie. Fotocopie di libri, intendo. Dotazione abbastanza cospicua, intorno ai 500 esemplari, credo. Si tratta per lo più di fotocopie fatte quand’ero studente (benché anche adesso a volte non disdegni del tutto…). Per lo più letteratura filosofica secondaria, con significative eccezioni (Essere e tempo di Heidegger è in fotocopie, e così pure lo erano fino a qualche tempo fa le Ricerche filosofiche di Wittgenstein e le Idee di Husserl).
Due terzi dei libri che posseggo, sono libri di filosofia (e dintorni: libri che considero cioè rilevanti per me in quanto mi occupo di filosofia; per esempio, scienze umane in genere). L’altro terzo è quasi tutta letteratura. Settori significativi: filosofia italiana, francese, tedesca. Ma non sono un bibliofilo, non me ne importa nulla di edizioni di pregio, di collezioni complete, di libri in buona condizione. I libri letti sono quasi sempre sottolineati, scarabocchiati (dai figli), annotati.
Per completare la risposta alla domanda va aggiunto che, studente, avevo a disposizione la biblioteca di (allora) oltre 10.000 volumi del professore col quale mi sono laureato, che abitava a 50 metri da casa mia, e che oggi ho a disposizione la biblioteca dell’università di salerno (4 km da casa: fino a dieci libri in prestito fino a due mesi – per i docenti, mica per tutti). Tendo infine a non comprare libri che posso ottenere in prestito, salvo eccezioni dovute non all’importanza del libro, ma all’uso che ne faccio.
(Voglio completare il quadro: dai miei, sono rimasti – e vorrà pur di qualcosa – i libri che hanno dominato la mia formazione (si fa per dire): libri o racconti di genere – famtascienza e gialli; preferito: Stout -, libri di scacchi. E un po’ di club degli editori)
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Memento
In concomitanza con la terza prova scritta sono disponibili addirittura memorabilità dell’esame di Stato. La gocciolina è Descartes.
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Posto
Posto. Sono di nuovo al mio posto (di ritorno dal blograduno). Dai colli piacentini ai monti picentini: così va la vita.
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Rassegne riviste
Sabato fuori sede. Non ho tempo per scrivere. Però ho dato u’occhiata a qualche blog. E segnalo (i blog servono anche a questo): Colombati ha svolto il suo tema, assegnato da Il Giornale: Il viaggio. Marco Candida reso-racconta la presentazione dell’ultimo libro di Franz Hrauspenhaar, Cattivo Sangue. Intanto, Markelo Uffenwanken racconta come si diventa scrittori. Ivan Roquentin fa confidenze critico-letterarie a LaLippa. (In questo modo, cerco di rimediare al fatto che non mi riesce di trovare un’edicola che abbia il nuovo Stilos. E Origine)
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