L’articolo che segue è apparso sul Riformista di oggi (mi dicono, perché io il giornale non l’ho ancora acquistato). Ignoro il titolo dato al pezzo; il mio era Popper e Pera, e me lo immaginavo letto da Francesco Nuti:
"Se, per esempio, Popper fosse vivo e avesse la cittadinanza italiana, come voterebbe il 12 e 13 giugno? L’esempio, ovviamente, non è preso a caso, e l’esercizio, benché difficile, non è affatto inutile. Karl Popper è stato l’autore di Logica della scoperta scientifica, il libro cui dobbiamo quell’idea della scienza come sapere aperto, critico, pubblico, controllabile, esposto alla possibilità della falsificazione e proprio perciò non dogmatico, che costituisce l’immagine più ampiamente condivisa oggi dell’impresa scientifica. E qualcosa dobbiamo anche al suo libro più noto, La società aperta e i suoi nemici, apparso nell’immediato dopoguerra: una delle critiche più ferme dei totalitarismi contemporanei e una straordinaria celebrazione della democrazia liberale moderna fondata sulla responsabilità individuale. Meno ascoltato in filosofia, il suo pensiero, al crocevia fra epistemologia e scienze sociali, fornisce un utile cartina di tornasole per valutare, specie in appuntamenti come quello di domenica, non solo il tasso di liberalismo di una società, ma anche il grado di fiducia nei confronti della ricerca scientifica e del progresso tecnologico.
E dunque: come voterebbe, Sir Karl? Anzi, per prima cosa: voterebbe o si asterrebbe? Giulio Giorello non ha dubbi (sul Magazine del Corriere, ieri): il referendum costituisce l’unico strumento diretto a disposizione dei cittadini per ‘falsificare’ il voto parlamentare: farvi ricorso, è dimostrazione di esercizio critico e pubblico della ragione.
Dunque, Popper si recherebbe alle urne. Alacre com’era, lo farebbe, presumibilmente, di buon mattino. Invitato nel corso della campagna referendaria a fare i conti con l’invadenza della scienza e della tecnica, è probabile che si farebbe forte di una sottolineatura su cui ha sempre insistito: “L’accusa di scientismo non riguarda gli scienziati. Non si può designare nessuno dei grandi scienziati come scientista (…). Gli avversari dello «scientismo» sono essi stessi molto dogmatici e considerano ovvio che tutti siano dogmatici. Gli scienziati sono gli unici che spesso non lo sono”. Esortato allora a vedere almeno i tremendi pericoli della hybris tecnica dell’uomo contemporaneo, ricorderebbe, come già molte volte in vita, di quanta libertà gli uomini siano invece debitori proprio alla tecnologia: all’aspirapolvere e alla lavatrice, ma anche alle protesi e ai trapianti.
Con queste idee in testa, è molto facile presumere che giudicherebbe inammissibile per un liberale lo stop alla ricerca sulle cellule staminali embrionali imposto dalla legge 40. L’obiezione che si sente in giro: nessun risultato ha finora prodotto questa ricerca, gli consentirebbe di ribadire una sua vecchia lezione. La scienza avanza per congetture e confutazioni: il suo primo passo non è la recensione dei fatti osservabili, ma la formulazione di un’ipotesi da sottoporre al vaglio sperimentale; i risultati vengono alla fine, non all’inizio di una ricerca: “Il problema è: «come dovremmo procedere per contribuire alla crescita della conoscenza scientifica?». E la risposta è: «Non si può far niente di meglio che procedere con il metodo critico del tentativo (congettura) e dell’eliminazione dell’errore, cercando di controllare o confutare le congetture»”.
Avendo dato al proprio pensiero anche una venatura utilitarista, Popper non avrebbe difficoltà a votare per l’abolizione del divieto di utilizzo degli embrioni soprannumerari. Avendo poi coniato la formula dell’ingegneria sociale “a spizzico”, Popper, che non amava il perfettismo ma neanche i toni apocalittici, penserebbe saggio risolvere un problema alla volta, e non bloccare la ricerca, o conculcare i diritti delle donne e delle coppie infertili, in nome di un futuro da incubo molto di là da venire. E comunque, non mancherebbe di notare che finora a partorire incubi non è mai stata la scienza, che casomai ha contribuito a dissolverli.
Se a questo punto gli si parasse innanzi con la fronte aggrottata un difensore della legge per rivolgergli la madre di tutte le domande, se l’embrione sia qualcosa o qualcuno, Sir Karl avrebbe l’amabilità di ricordargli un’altra sua vecchia lezione: che altro è la metafisica, altro è la scienza. Che quella domanda è tutta intrisa di metafisica. E di quella cattiva, che non aiuta il progresso scientifico ma pretende di fermarlo. Fare dell’embrione ‘uno di noi’ è tutto meno che un asserto empirico. Stabilire che il ‘concepito’ sia un entità ben precisa e definita è discutibile e discusso dal punto di vista scientifico. Rispondere alla domanda che tipo di ‘soggetto’ sia il concepito non è per nulla affare di un embriologo. E chiedere dunque alla legge di risolvere un simile quesito, e di risolverlo tramite l’imposizione per legge di una determinata visione etica e metafisica dell’embrione non ha purtroppo nulla di liberale.
Ciò detto e pensato, Sir Karl impugnerebbe il suo fido bastone, e rammentando il suo pensiero morale più profondo: “viene prima l’uomo e poi la vita”, voterebbe con mano sicura quattro volte sì.