Archivi del giorno: giugno 16, 2005

La biologia e il sacro/3 – fine

Crisi della presenza e sacro
A questo punto, è facile capire perché il sacro. L’uomo è esposto al possibile, a una insicurezza originaria, a una sempre incombente crisi della presenza. Il sacro è il necessario risarcimento, un modo di governare questa possibilità.
Mito (aspetto performativo del sacro) e rito (aspetto ricorsivo del sacro) sono forme di delimitazione pubblica del possibile. (Anche il gioco fort/da di cui parla Freud ne è un esempio), un modo di rivivere in maniera circoscritta l’esposizione al rischio di ‘crisi della presenza’ e la reintegrazione in uno spazio condiviso.
Il sacro è lo spazio di cui abbiamo testimonianza in grazie del sentimento logico del possibile, ed un insieme di tecniche con cui l’animale umano si costituisce come presenza al riparo dalla sua crisi. (Spazio pubblico, perché la costituzione del sé è una costituzione sociale).
Il sacro “non è né dentro né fuori lo spazio dell’umano”. Il sacro è istituito performativamente  ogniqualvolta e fintatoché un animale umano dice io. Si fa presente, nello spazio del possibile. (Cartina di tornasole: l’uomo è l’unico animale che quando sta male non si cura soltanto, ma si chiede il senso della malattia).
Solo cogliendo la dimensione bio-logica di questa esperienza si escludono letture riduzionistiche p miracolistiche.

In definitiva, “quella che cerchiamo è propriamente una bio-logica dell’esperienza dell’esperienza umana del sacro, una teoria biologica, e quindi anche cerebrale – ma in cui biologia vuol dire biologia umana, appunto, bio-logica, cioè insieme genetica e pratica di una lingua, cervello e società, individuo e storia”.

La biologia e il sacro/2

Condotta e regola, concetto e significato, codice e lingua, reale e possibile
Il dispositivo biologico all’origine della ‘geometria esistenziale umana’ è la ricorsività, presentata come generazione di sequenze infinite da un alfabeto finito, ma definita poi come capacità di seguire regole. Una regola non è una condotta: una condotta, un mero abito associativo, non si oppone a un’altra condotta. Una regola sì. Con la regola, siamo su un terreno normativo, in cui vigono le distinzioni giusto/sbagliato e vero/falso.
La capacità di seguire regole del cervello umano è dunque il punto. Sul punto (differenza fra ogni altra abilità o ‘concetto’, ogni altro ‘schema di attivazione globale’, e questa capacità) Cimatti non dice e non può dire molto, visto che considera le regole “risultato – meccanico, non intenzionale – della densità delle connessioni fra gli schemi di attivazioni globali”.
Il cervello genera spontaneamente regole. Solo con le regole, si apre la dimensione del possibile. Solo con le regole si apre la dimensione del significato – quella dimensione in cui la connessione fra segno e oggetto è mediata. Non c’è nessun segno che si riferisca a un oggetto se non per la mediazione di altri segni (è la lezione di De Saussure).
Siamo giunti così al linguaggio, che è un sistema segnico non ottenuto per mero calco degli oggetti.
Sistema ricorsivo, che consente quindi pensare a quel che si percepisce tramite ciò che non si percepisce, e viceversa. Altrove, possibile, nulla, coscienza di morire allignano qui.

La biologia e il sacro/1

Supponendo che vi interessi fare un passo oltre l’embrione, vi regalo in tre post (questo è il primo) uno schemino (poco più di una serie di appunti) del denso e intelligente saggio (‘Crisi della presenza, performativo e rituale)presentato da Felice Cimatti al convegno di cui ho dato notizia. (Insieme all’intervento di Cimatti, alcuni punti qualificanti del quale trovate in quest’altro saggio, l’altro intervento interessante, che purtroppo non ho ascoltato, è stato quello di Paolo Virno). In neretto, trovate le parole su cui porrei le mie domande – ma non trovate le domande.

Animale e uomo
A quali condizioni l’esperienza del sacro rappresenti un’esperienza reale e imprescindibile della vita umana?
Com’è fatta la vita dell’uomo, animale che parla.
Se ne dà descrizione per differenza rispetto all’animale non umano, che non parla (il che non significa che non comunichi).
Nell’animale non umano, tra stimolo e risposta, tra percezione e azione c’è una relazione diretta. L’oggetto che attira l’attenzione è già significativo.
“Nel caso degli animali non umani non c’è margine di dubbio, quel che un oggetto significa è già fissato dalla selezione naturale”. L’animale vive in una sicurezza originaria.
La nicchia ecologica umana è invece caratterizzata da relazione indirette e mediate. Il significato degli oggetti non è prestabilito ma va costituito. Solo entro una relazione di questo tipo si può costituire l’oggetto in quanto oggetto.
Experimentum crucis: le displacement activities, che dimostrano l’incapacità dell’animale non umano di trattare situazioni non codificate, in cui si tratta di scegliere fra alternative diverse. Situazioni del genere, eccezionali nel modo animale, sono invece ordinarie nel mondo umano.
Solo l’animale umano è l’animale del possibile. Solo l’animale umano è un ricercatore innato di senso.
Solo l’animale umano possiede l’istinto del linguaggio. Istinto: non si riesce infatti ad insegnare agli altri animali a parlare; linguaggio, non codice (descritto come una lista di corrispondenza biunivoca, rigida e prefissata, tra termini): suppone una comunità, non può essere implementato da solo.