"Una cosa è chiara: è falso che si tratti di conquiste civili o di misure contro le discriminazioni o di estensione dell’uguaglianza; si tratta piuttosto del trionfo di quel laicismo che pretende di trasformare i desideri, e talvolta anche i capricci, in diritti umani". Il Presidente del Senato Marcello Pera, per nulla impacciato dalla sua alta carica, è andato in Spagna spiegare come la pensa a proposito di una legge votata dal Parlamento spagnolo. Il che mi conforta: non pensarla come Pera è uno dei pochi punti fermi che mi restano, per non cedere del tutto all’odioso relativismo. Dell’aureo pensiero del Presidente, mi colpisce (tutto, ma mi colpisce in particolare) che la legge sul matrimonio venga giudicata figlia di quel laicismo, che pretende, eccetera eccetera. Poiché il laicismo è, nella limpida accezione periana, non la semplice autonomia del politico dal religioso, ma la negazione del religioso, Pera deve pensare che per accogliere il diritto dei gay al matrimonio occorra negare il ‘religioso’. Una cosa è allora chiara: per Pera, solo un’umanità irreligiosa può concedere tale diritto ai gay; un’umanità religiosa non può non considerare quel diritto un desiderio o un capriccio. Pera sta dicendo cioè: religione e potere sessuale non possono scindersi. Togli il secondo, e distruggi la prima.
Non sono sicuro che, con la sua operazione di verità, Pera abbia reso un buon servizio al religioso.