Con agile stacco distanziando la più pesante Azioneparallela, il ‘miserabile’ scrittore recensisce La potenza del pensiero di Giorgio Agamben. Che ancora non ho letto e che entro fine mese, promesso, leggo per parlarne poi sul blog. Il fulcro della recensione è comunque il seguente:
"Ciò è testimoniato dall’esito a cui si giunge in questa ultrateoria del linguaggio: il linguaggio non è disgiunto dalla "cosa in sé", ha a che fare con essa, anche se è proprio nel momento in cui enuncia che lo strumento linguistico si trova a bucare la dicibilità della cosa in sé, in quanto il linguaggio stesso testimonia della dicibilità, che è coincidenza con la cosa in sé". Se Giuseppe Genna passa di qua (o se qualcuno gli telefona e glielo dice), mi piacerebbe che si spiegasse un po’ di più. Poi Genna prosegue, cita un "passaggio dubbio" e vi trova "tutto l’errore della filosofia occidentale": la traduzione della ‘cosa stessa’ di Platone ne ‘la cosa del pensiero’. Ripeto: non ho letto il libro. Ho l’impressione che, comunque stiano le cose rispetto a Platone (credo che Genna abbia torto, e credo che la stessa attenzione che mette per le parole ‘cosa’, ‘anima’, ‘fuoco’ dovrebbe metterla pure per la parola ‘pensiero’, senza assumerla frettolosamente in senso coscienzialistico, o soggettivistico, o intellettualistico), quel che a Genna preme – la "differenza non linguificabile", e meglio ancora "lo stare che trascende il pensiero" – prema abbastanza pure a me (non direi però né differenza né trascendenza, e forse neppure potenza ma im-potenza del pensiero – in locativo – ma questo è un criptico affar mio).
(E a proposito di pensiero, beccatevi pure un po’ di Averroé).
non credo che genna ti risponderà, chiuso com’è nel suo ospitale ultrapsichiatrico. ritienti fortunato.
L’in- della tua in-differenza è un “in” locativo?
luigipuddu
La risposta secca è: sì (ma non toglie che poi non lo si possa pensare come uno spazio onni-comprensivo)