Archivi del giorno: luglio 18, 2005

Futilities uno e due

Uno. Scopro oggi di essere linkato da benjamino. Nonostante le acidità di un signore, io sono ben contento delle categorie platoniche, ma i link di benjamino mi piacciono di più. E soprattutto, io ci faccio la mia figura.

Due. Stasera, alla presenza del segretario provinciale (autore di un libro dal titolo ben significativo), riunione del Direttivo Ds della sezioncina di Baronissi. Siamo in piena prima repubblica: all’o.d.g è il rimpasto, più precisamente: "il rafforzamento della squadra di governo".

Mu

Roboto (se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo)

Left Wing

Va in vacanza. Torna a settembre. Per non farmi mancar nulla, io chiudo con Valeria Marini (e Luisa Muraro, e Martha Nussbaum, e Olympe de Gauges, e le donne kamikaze). La goccia è una solenne Dichiarazione.

Azioneparallela spulcia Giorello che spulcia Marconi

Sul Magazine del Corriere è apparso questo pezz a firma di Giulio Giorello (dal titolo: L’unico filosofo serio è quello superstar, mentre il titolo più indicato era Ohibò!). Tra parentesi quadre i miei commenti meno uno)
  
“Ohibò! L’Aristotelian Society, «club dei filosofi di Oxford e Cambridge e olimpo del pensiero di lingua inglese», invita uno stimatissimo collega milanese (per altro mio grande amico), i cui «scritti e interventi» sono noti agli specialisti del settore, mentre un tale onore «difficilmente sarebbe potuto toccare, per esempio, a Emanuele Severino» – pensatore evidentemente troppo esposto ai «riflettori» della mondanità! Così Diego Marconi apre un suo articolo apparso qualche settimana fa sul Domenicale del Sole 24 ore dedicato al quesito: «Perché spesso gli studiosi più seri sono poco conosciuti alle masse?» [ma perché dovrebbero essere molto conosciuti alle masse? Ed è un interrogativo serio, questo?], ove si lascia intendere che quelli più noti siano ovviamente meno seri.
Se ritorno alla provocazione di Marconi (filosofo certo serissimo) non è perché Severino abbia bisogno di qualche difesa [però certo che gli attacchi non gli mancano], ma perché questa è una buona occasione per riflettere sulla degenerazione di una certa filosofia, che dietro l’apparente rigorismo cela la sua incapacità di affrontare i problemi della realtà effettuale [“i problemi della” qui è di troppo, ma siamo d’accordo]: si tratta, appunto, della cosiddetta «filosofia analitica». Marconi ricorda che un estremo specialismo «caratterizza l’insieme della cultura scientifica del Novecento, dalla linguistica alla biologia, dalle scienze sociali alla matematica» [e chi ricorda a Marconi che tra i compiti della filosofia c’è anche quello di domandarsi se la filosofia debba prendere a modello la scienza; e che cos’è, questo di Marconi, un argomento storico-ermeneutico, oppure un argomento scientifico-analitico?]. Ma come mai i grandi della scienza, da Albert Einstein a James Watson, da Noam Chomsky a René Thom, si sono rivelati capaci di interagire con qualsiasi tipo di pubblico? [e che ne so? Ma è importante?] Forse perché il loro tecnicismo era davvero dettato dalla complessità delle questioni affrontate, e non dall’esigenza di legittimare uno stile o una scuola di pensiero [ah, vedi: non si trattava solo della grandezza degli scienziati e del loro rapporto con il pubblico!].
Come ha dichiarato a Maria Latella Vittorio Foa, «le parole sono un impegno», e il lavoro su di esse ha un valore civile, oltre che intellettuale [io direi che il cerchio di ciò che qui Giorello chiama intellettuale è più piccolo del cerchio di ciò che la filosofia chiama pensiero, e che l’impegno può essere anche, oltre che intellettuale, teologico, oppure artistico, o, horribile dictu, ontologico]. Lo aveva capito un filosofo come Karl Popper [Giorello non so, io avrei inserito un ‘persino’], che paragonava gli «analitici» a quelle persone che passano le ore a pulirsi gli occhiali, dimenticandosi di usarli per guardare qualcosa [che se gli occhiali fossero ‘la cosa del pensiero’, non vi sarebbe nulla di male: il fatto è che la cosa gli resta oltre gli occhiali e la punta del naso, e allora ha ragione Sir Karl].
Sir Karl non era un filosofo da club, e l’unica Società che gli sarebbe piaciuto frequentare era quella degli uomini liberi [questa non c’entra nulla, ma a Giorello piaceva così]”.