Archivi del giorno: luglio 24, 2005

C'è quel che c'è (per strada).

A proposito di questa discussione di Massimo Morelli del libro di Sini, Idoli della conoscenza, ho risposto sommariamente così. Ora Massimo ci torna su con un post. Ecco qua le mie altrettanto sommarie considerazioni.

Tu sollevi quattro punti: segno, realtà, divulgazione, pratica:
Sul segno e la cosa, non è affatto, come tu scrivi, un caso di uovo o di gallina, di chi venga prima, perché non si tratta di stabilire chi venga prima. In generale, in Sini la questione circa la natura del segno mira a mettere in discussione non se ci sia prima la cosa o prima il segno (con il sottinteso che se viene prima il segno addio cose), ma se ci siano cose intatte e intonse da una parte e segni delle cose che sulle cose piovono dall’altra. (Sini scrivi certo che le cose non ci sono, ma quest’affermazione non è una risposta alla domanda se esiste il tavolo che io vedo e sul quale sto scrivendo);
sulla realtà, b.georg ha già ben detto che non si tratta di un dubbio circa l’esistenza della realtà, e dunque nemmeno di un dubbio su questo dubbio e via dubitando. Proprio per nulla. Sini non appartiene, se è per quello, alla tradizione cartesiana, ma a quella fenomenologica (che per la verità non è che dei dubbi cartesiani si sia sbarazzata con grandissima facilità). La questione concerne non l’esistenza del reale, ma il suo senso (il suo modo di darsi nei segni che la significano). La domanda non è se qualcosa esiste, ma cosa significa esistere per essa (donde preleviamo il senso dell’esistere di ciò che esiste, come ‘l’abbiamo’, ecc. ecc.). A chi ha la radicata convinzione che il tavolo esiste, che io lo significhi o no, posso offrire la seguente rassicurazione: anch’io ho questa radicata convinzione, ma non di questo si tratta, poiché il tavolo che esiste che io lo significhi o no non è affatto, per questo, extra significationem;
sulla divulgazione, ho detto che non si tratta, nel caso del libro di Sini ma dei libri di filosofia in genere, di libri di divulgazione, ma non certo per mettere i libri di Sini e la filosofia tutta ‘al di sopra’ dei libri di divulgazione. La filosofia è sempre e necessariamente anche la propria introduzione/divulgazione. (Si noti che qui si aggira la questione – filosofica quant’altre mai – del cominciamento). Credo che ben difficilmente Sini – e qualunque filosofo degno di questo nome – riconoscerebbe questa distinzione (se non provvisoriamente e per ragioni spicciole). Si impara la filosofia – vecchio adagio – filosofando. Ha ragione b.georg, nei commenti: a Sini introducono i libri di Sini (e meglio ancora l’esercizio stesso del filosofare). La cosa può apparire oscura e pretestuosa, ma così non è. Ancora una volta (e in fretta): la chiarezza (nel senso più ordinario dell’espressione) suppone che da un lato ci sia la cosa da dire, e dall’altro i modi di dirlo, quello chiaro e quello meno chiaro. Temo che in filosofia (e cioè: secondo verità) le cose non stiano proprio così. Con b.georg dissento solo sul fatto che occorra conoscere Peirce o Husserl per intendere Sini. Rigorosamente parlando, non occorrono. La filosofia passa attraverso la sua storia, ma ogni volta la riscrive daccapo. (Sarà per questo, rispondo a un commentatore, che non riesce a staccarsene);
sulla pratica secondo Sini, potrei metterti qui una definizione (ho i libri a disposizione), ma solo a patto di esser certi che tu la intenda come una prima approssimazione. Qui Sini, che lo sappia o no, è molto vicino al secondo Wittgenstein. Più che una definizione, fornisce esempi. Una pratica è, per esempio, scrivere, oppure leggere: come vedi, niente di misterioso o che richieda, per intendersi, definizioni. Una pratica è ovviamente la filosofia stessa (il filosofare). Ogni pratica è però un intreccio sterminato di abiti d’azione, al cui fondo non ci si arriva mai. Perciò credo di avere scritto che è una certa frequentazione di mondo, il modo in cui il mondo viene incontrato. (Se metto qui: il mondo di un’umanità alfabetizzata è diverso dal mondo di un’umanità non alfabetizzata la cosa viene intesa subito come relativistica e scettica, e perciò lascio perdere). Ma di nuovo, non è che ci sia il mondo di là, e di qui i suoi praticanti (nota per la questione circa la realtà: questo non significa che si risponde ‘no’ alla domanda se il mondo esista). No, il mondo ‘accade’ nel modo in cui viene praticato. Questo può ben riuscire oscuro. Ma il punto non è affatto che non ho dato una buona definizione di pratica e mi son messo a parlare metaforicamente. La definizione è sempre un punto d’avvio del tutto provvisorio, e se è o no una buona definizione dipende molto dalle circostanze, al punto dove si vuole arrivare, dagli aggiustamenti che occorrono lungo il cammino. La definizione, in filosofia, non se ne sta mai ferma perché poi il discorso possa svolgersi sicuro e garantito. La filosofia è un modo di praticare il sapere ad alto tasso di circolarità. può riuscire perciò viziosa, sterile e improduttiva, come no? Può finire dalle parti dell’uovo o della gallina. E’ un rischio, che, ahimè, va corso, e dal quale non ci si può mettere previamente al riparo.

(Queste osservazioni non bastano affatto a scuotere il senso della realtà che ciascuno di noi ha. Né intendono farlo. Non è che un filosofo passeggia per strada diversamente dall’uomo della strada. Ma, se è per questo, neppure Copernico risce a toglierci la percezione tolemaica della terra (né intendeva farlo). E nessuno di noi pensa che Copernico ha scritto delle sciocchezze sulla base delle certezze del senso comune. Se la filosofia domanda addirittura come c’è quel che c’è, ci si può meravigliare che prenda perciò una strada diversa dall’uomo della strada?

Spinoza

Messomi a studiare Spinoza per il corso di Ermeneutica filosofica del prossimo anno, ogni tanto gironzolo sulla rete a caccia di cose interessanti. Qui ho trovato la prefazione di Toni Negri al volume su Spinoza che raccoglie i suoi scritti sul filosofo olandese, a distanza di vent’anni da L’anomalia selvaggia. Negri dice che lo Spinoza da lui studiato, sull’onda di Deleuze e Matheron, non era più lo Spinoza del "romanticismo tedesco e dell-acosmica metafisica" raccontata da Hegel. E indica cinque interessanti elementi di revisione di quell’immagine: il concetto di immanenza, da ‘profonda’ a ‘superficiale’; il concetto di finalità, ricondotto alla ‘vita desiderante’; i trascendentali politici, dissolti in vista di una democrazia intesa come autogoverno assoluto della moltitudine; l’eterno, ricondotto nell’orizzonte del mondo e ripensato nella prospettiva di una ecosofia cosmica; il concetto di materia, ripreso dal basso (ancora di più?), in una concezione metamorfica dell’universo, "dentro il movimento creativo che costituiva il mondo".

C’è una energetica corrente di vitalismo che percorre questo Spinoza. Passi. Ma c’è pure l’idea che tolti i trascendentali teologico-politici, nuovi cieli e nuova terra si schiudono innanzi a noi. Non so: ho l’impressione che si schiudano, se si schiudono, solo il cielo e la terra esistente