Archivi del mese: ottobre 2005

Risposta a Piergiorgio Odifreddi

Quella che segue, è la risposta in blu, punto per punto, alle osservazioni (riportate integralmente, punto per punto, in nero) che un anonimo, che parla dell’articolo di piergiorgio odifreddi come del proprio articolo, e che dunque suppongo essere, salvo smentite, piergiorgio odifreddi, ha inserito nei commenti al mio post di qualche giorno fa (27/10, i link non mi funzionano ancora). La risposta è lunga, punto per punto: avrei dovuto chiedere al capodivisione Tuzzi di ospitarla, e in effetti il suo blog langue, ma volevo biecamente approfittare della notorietà del professor Odifreddi per festeggiare così il traguardo dei 100.000 accessi. E siccome la risposta è lunga, punto per punto, segnalo ai lettori pigri che i punti di qualche rilievo sono i punti 2, 5 e 8. Lo segnalo in particolare al professor Odifreddi, al quale devo chiedere la cortesia, se putacaso dovesse passare nuovamente di qui, di sciogliere i miei dubbi circa la firma del commento, e di leggere anche la postilla conclusiva non scientifica, scritta in spirito di amicizia.

Si comincia: buon divertimento!

carissimi,
ho visto per caso il vostro blog sul mio articolo su pera, e vorrei solo chiarire alcuni fraintendimenti:

caro prof. Odifreddi, la ringrazio per i chiarimenti, i carissimi frequentatori del blog ringraziano (suppongo); ma il blog è mio e lo gestisco io. E il post che contiene i fraintendimenti che lei chiarisce l’ho scritto, per l’appunto, io (massimo adinolfi, come si può desumere facilmente, oltre che dalla lettura del blog, magari con l’ausilio di un motore di ricerca, dall’indirizzo e-mail riportato a destra).

 

 

1) che severino abbia preso la sua affermazione sulla democrazia da einaudi, non ci vuol molto a saperlo: lo dice lui stesso nella risposta a pera, il che non rende quella affermazione piu’ corretta o scorretta. io non ho citato einaudi perche’ non potevo controllare la cosa, e mi bastava comunque che severino l’avesse fatta sua.

Infatti, non ho mica detto che l’ho scoperto io. Non sono così colto. Però non so mica se lei se n’era accorto subito, visto che ancora adesso scrive che “lo dice lui stesso nella risposta a Pera”. No, non lo dice solo nella risposta, cioè nel secondo articolo apparso sul Corriere, ma già nel primo, citando anche il libro da cui è tratta la citazione. Questo non rende l’affermazione più corretta o scorretta, ha ragione (né l’ho affermato), ma correttezza (o almeno etichetta) vorrebbe che, nella polemica, lo si ricordasse. Tanto più quando si presenta la cosa come  chissà quale oscurità.

2) dire "oggi il sole splende" e "il sole che oggi splende e’ il sole che oggi splende" sono due cose completamente diverse: e’ ovvio che la seconda sia una verita’ analitica, essendo un esempio del principio di identita’. confonderle, pero’, e’ tipico non soltanto di chi scrive il post, ma anche (appunto!) di severino. e con chi fa simili confusioni, non si puo’ che essere supponenti.

 

Qui ha ragione: c’è della confusione. Della tipica confusione. Vediamo di chiarire. Lei dice giustamente che le due proposizioni qui virgolettate sono ben diverse. Ma il punto da chiarire non è questo, ma solo se la prima proposizione sia contingente oppure no. Se davvero lei vuol chiarire questa tipica confusione, lei deve chiarire in base a cosa considera la prima proposizione contingente. Si tratta del fatto che oggi il sole splende, ma avrebbe potuto non splendere? Come lo sa? Sostiene logica e linguaggio con una teoria dei tipi naturali? Il sole sarebbe sempre lo stesso sole, anche se oggi non splendesse? La domanda di Severino sarebbe: ma se oggi il sole, il sole che oggi splende, avesse potuto non splendere, a qual titolo sarebbe stato ancora il sole che oggi splende? Che cosa mai significa che il sole avrebbe potuto? È mai possibile che il sole che oggi splende avrebbe potuto non essere il sole che oggi splende? Ecco di cosa si tratta nelle due proposizioni. Lei vede bene, dunque, che qui nessuno le confonde. Ma qualcuno le chiede invece di tenere presente problemi che la logica modale – che lei sicuramente conosce molto meglio di me – tiene ben presenti. So bene che pensa anche di risolverli, simili problemi (un nome per tutti: Kripke). Non ne dubito. Ma io nel post mi limitavo umilmente a scrivere che non basta ricordare la differenza fra contingente e necessario per liquidare Severino, come se Severino la ignorasse o la saltasse a piè pari, e non provasse invece a discuterla. Se vuole, è come se Severino le dicesse: quella distinzione con la quale lei crede di finire, è la distinzione con la quale io casomai comincio (per metterla radicalmente in questione). Non basta insomma ricordare la differenza: bisogna impegnarsi con una certa interpretazione delle categorie modali su cui esiste una vasta letteratura che lei padroneggia senz’altro meglio di me. Ovviamente, io non le chiedevo e non le chiedo mica (non a lei, e non a Pera), di farlo sulle colonne di Repubblica. Le facevo presente però che Severino ce l’ha presente, e che liquidarlo come se non ce l’avesse presente, o facesse solo tipica confusione, o come se questi problemi non esistessero, è una confusione nella quale incorre tipicamente lei (tipicamente, perché non è la prima volta che ritiene di poter risolver i conti con Severino con la supponenza di chi crede che si tratti solo di distinzioni elementari ignorate dai suoi interlocutori).

p.s. Pensi poi che io non sono nemmeno d’accordo con Severino: e non con la sua interpretazione fortissima del principio di identità, ma proprio col principio d’identità!

3) il mio punto, comunque, era un altro: e cioe’, che uno puo’ anche chiamare mitologico cio’ che gli altri chiamano analitico, ma cosi’ facendo confonde soltanto le cose. e onestamente non si vede cosa ci sia di mitologico nel fatto di essere analitico.

Onestamente, ha ragione: non si vede cosa ci sia di mitologico nel fatto di essere analitico. Ma qui c’è dell’altra e ben più grave confusione. Severino non chiama mitologico ciò che gli altri chiamano analitico, come lei scrive, ma casomai ciò che non è analitico (spiegando peraltro che intende semplicemente che la democrazia “non è una verità assoluta”). Il fatto che lei, in questo punto, incorre due volte nel fraintendimento, mi fa pensare che proprio non abbia colto il punto. E che tutta la supponenza con cui legge Severino le fa commettere sviste banali

 

4) non sono invece io a contrapporre relativo a universale: lo fa pera nel suo articolo, ed e’ di questo che parlavo. per questo, ho usato la sua terminologia.

O perbacco, professor Odifreddi: ho aperto il file con Acrobat Reader, ho cercato grazie alla funzione Find, disponibile sulla riga dei comandi, la parola ‘universale’ nell’articolo di Pera, e il programma non mi ha trovato la parola. Ho provato un’altra volta, per maggiore sicurezza, e niente: la parola ‘universale’ non c’è. Ho letto umilmente altre due volte l’articolo, perché vatti a fidare: niente. Come possa appartenere dunque alla terminologia di Pera una parola che nell’articolo di Pera non c’è, mi sfugge. Nell’articolo compare invece un bel po’ di volte la parola «assoluto». (Non dico nient’altro: non voglio essere supponente).

5) se ho capito bene, la "grossa cazzata" che avrei detto sarebbe che e’ la scienza che ha il compito di studiare la natura, compresa quella umana, e non la filosofia o la religione. e’ certamente una cazzata, nel senso di banalita’ o ovvieta’, ma questo non significa che i filosofi o i teologi l’accettino, e che non pretendano di definire loro cos’e’ la natura, sulla base non dei fatti (ad esempio, che gli animali praticano in certe condizioni l’omosessualita’) ma delle loro opinioni (che l’omosessualita’ sia contro natura, e che dunque gli animali possano andare contro natura).

La “grossa cazzata” è il passo del suo articolo citato nel post (che ho chiamato “grossa cazzata” solo nei commenti, per far prima: se le è dispiaciuto, me ne scuso). Può darsi peraltro che lei abbia ragione, che sia cioè una verità banale che tocca alla scienza studiare la natura tutta. In filosofia, è invece banale discutere se sia ‘natura’ solo quella che studiano gli scienziati, se non altro per avere l’accortezza di non pensare che quando Aristotele scrive ‘physis’, o Tommaso ‘natura’, essi intendano ciò che Galilei o Watson intendono con ‘natura’. Però non è mica tanto banale, e mi stupisce che lei consideri banale, che “nella natura stessa della persona umana” [la scienza conosce una cosa come “la natura della persona”?] esistono [esistono? Cavolo!, e come esistono, come i pesci nell’acquario?] valori fondamentali [e quali sarebbero?, è disponibile un elenco?, e, si veda pure il punto 8, come fanno a valere, ad avere l’essere del valore, se hanno lo stesso essere del DNA? Hume, quello della legge di Hume e della fallacia conseguente, sarebbe d’accordo?]. Qui devo rivolgerle una domanda: questa che scrive è una verità scientifica? E’ dimostrata? Da chi? Trovo nei manuali di biologia una proposizione simile? Mi dispiace, ma da qualunque parte io guardi questa proposizione, non riesco a ritrovare in essa un briciolo di sensatezza. Però capisco perché lei dica una cosa simile; lei vuol dire che in natura si osservano comportamenti omosessuali: di che vanno dunque cianciando quelli che spacciano per naturale il solo comportamento eterosessuale? A scanso di equivoci, lei è capitato qui per caso ma i lettori di questo blog lo sanno da un bel po’: io non considero affatto che sia naturale, e dunque lecito, il solo orientamento sessuale etero. Non intendo affatto difendere simili scempiaggini. Però, per il fatto che le consideri scempiaggini, non vuol dire che le debba presentare in maniera distorta. Chi sostiene che è naturale che, ecc., fa riferimento a un concetto di natura che non è quello che lei impiega quando parla dei comportamenti omosessuali osservabili in natura. Lei può ritenere che questo concetto di natura sia infondato e fantastico (lei lo ritiene senz’altro), ma non può fare finta che Aristotele o Tommaso dicano natura e pensino a quello che per la zoologia è natura, sicché basta mostrare due animali dello stesso sesso che si dilettano vicendevolmente per liquidare le loro argomentazione fondate sulla natura della persona.

6) il ps. su karamazov non l’ho capito. pera fa un’implicazione, con l’intento di mostrare che a certe conclusioni (i comandamenti) si puo’ arrivare a partire da un’unica ipotesi (il cristianesimo). per vanificare il suo intento, basta mostrare un’altra ipotesi (il culto di osiride) che implica la stessa conclusione.

Il passaggio su Karamazov si spiega con la pag. 95 (e poi con qualche altra pagina) de I fratelli Karamazov di F. Dostoevskij, l. I, cap. 6 (BUR, Rizzoli 2005): “se distruggete nell’uomo la fede nella propria immortalità, subito si inaridirà in lui non solo l’amore, ma anche qualsiasi forza vitale […]. E non basta: allora non ci sarà più niente di immorale, tutto sarà permesso, perfino l’antropofagia” (sott. mia).  A parlare è, lo ricorderà, Ivan Karamazov. Orbene, l’implicazione di Pera, così come lei la propone nell’articolo e la ripropone qui, in questo punto, richiama le parole di Ivan, anche letteralmente. Lei scrive infatti: “se i culti di Osiride e di Amon non fossero la verità, tutto sarebbe permesso?” Pensavo che queste parole lei non le avesse messe lì a caso, visto che risuonano forti e chiare nelle orecchie di chiunque abbia letto Dostoevskij (o almeno nelle mie), e perciò le scrivevo che Pera non raggiunge le altezze teologiche di Ivan. Ma vedo invece che non era un omaggio al romanzo di Dostoevskij. Ma poi io le ho scritto: Pera non è Ivan, e devo dunque chiarire ancora che il mio punto era distinguere, come distinguono i cristiani (non tutti, ma una larga parte) fra rivelazione della verità e contenuto della verità. Se vuole anche: fra scoperta e invenzione. Un credente può sostenere che la rivelazione mette allo scoperto certe verità morali naturali: non inventa nulla, insomma, quelle verità essendo iscritte nella natura, ecc. (la questione è d’altronde di vecchissima data: a mia volta, non scopro né invento nulla). Quanto poi al fatto che la ‘scoperta’ si potrebbe retrodatare, visto che c’è pure il culto egizio, qui, mi dispiace, ma l’articolo di Pera non consente di dire se sia lei ad aver ragione o io. Io sono convinto che Pera non avrebbe difficoltà a ribadire che a lui interessa solo mostrare il debito della morale nei confronti della religione, per poi aggiungere: la civiltà europea è indebitata in particolare con il cristianesimo, ecc. ecc. Ora, sia chiaro anche questo (che i lettori del blog già sanno): io non sono mica d’accordo con Pera. (Io fra Pera e Berlusconi scelgo Berlusconi: e ho detto tutto!). Dico solo che non è ricordando i culti di Osiride e Amon che si risolve la faccenda, e perciò ho scritto in maniera sbrigativa che il suo rilievo non è falso ma sciocco, perché i cristiani (non tutti, ma una larga parte) non avrebbero alcuna difficoltà ad accoglierlo – aggiungendo magari che però a noi la morale l’ha insegnata, e in una forma più pura, Gesù. (Ora non mi risponda che però c’è Socrate, perché non è un rilievo che debba muovere a me, perché io difenderei non solo o non tanto l’autonomia della morale dalla religione, ma l’autonomia della religione dalla morale, pensi un po’, e perché, comunque, non è facendo come i bambini, che quando litigano minacciano di chiamare i fratelli maggiori, che si discute questo punto).

7) per quanto possa interessare, io non sono affatto buddhista: sono ateo.

 

 

 

In effetti, non interessa granché. e soprattutto non rileva (qui, e nel mio post).

8) sui "valori iscritti nella natura umana", dove la natura e’ quella studiata dalla scienza, si possono comunque leggere i capitoli sull’etica degli ultimi libri di watson (quello della doppia elica), in particolare "dna". ognuno ha i suoi modelli: si puo’ preferire severino a watson, cosi’ come si puo’ preferire la tamaro a saramago, ma non ci si puo’ lamentare se poi si viente trattati con supponenza.

Watson? Quello della doppia elica? Aspetti che me lo segno. Però se magari mi aggiunge qualche riga, prelevata dal suo modello, mi dà una grossa mano. Perché, sa, io anzitutto non capisco bene come, con qual pennino si iscrivano i valori (questa è un’osservazione prelevata dal mio modello, che non è la Susanna, però chi sia non glielo dico), e in secondo luogo non so bene come i valori, una volta scritti nella natura umana, nella natura come la intende lei, studiata dalla scienza, siano ancora valori. Lei mi pare passare sopra la legge di Hume con grande disinvoltura, suppongo che Watson faccia altrettanto, ma mi domando (visto che non tutto ancora conosciamo della natura umana, questo me lo concederà): se nella natura trovassimo scritte delle brutture (che ne so? Che l’uomo ha la tendenza naturale a scaccolarsi in pubblico), le dovremmo prendere come un valore?

Postilla conclusiva (non scientifica)

Ho scritto sopra che fra Pera e Berlusconi preferisco Berlusconi. Aggiungo: tra Odifreddi e Zichichi preferisco di gran lunga, ma proprio di gran lunga, Odifreddi (non ci vuol molto, mi dirà: lo so). Ma chi preferisce Odifreddi fra Pera e Severino? E conviene allo scienziato buttare la filosofia dal lato della religione, o della mera opinione, e trattarla magari come la sorella maggiore scema, quella che è rimasta indietro mentre la più giovane si faceva bella e avvenente e riscuoteva successi in società? Non mi risponda però che lei tratta così solo la filosofia che non cade nelle oscurità metafisiche di un Severino. Il punto è: lei riconosce alla filosofia titolo di ‘sapere’? Le riconosce questo titolo, anche quando non adotti protocolli scientifici? La filosofia che non adotta il metodi della scienza è solo chiacchiera, o al più visione del mondo – magari colta, ma non dissimile in sostanza dalla mera opinione? E se non riconosce titolo di ‘sapere’ alla filosofia, a qual titolo non glielo riconosce? Ossia: chi o cosa intronizza il discorso scientifico? E in cosa la scienza sarebbe diminuita, se tenesse aperta questa domanda circa i propri fondamenti e il proprio senso? Di cosa ci sarebbe da aver paura?

 

 

 

 

 

 

 

Maledizione

Gentile amministratore,
sono il titolare di un blog splinder (azioneparallela); da stamane non mi riesce di collegarmi con la pagina www.splinder.com. Dopo diversi tentativi, mi è apparsa, al relativo indirizzo, una Fedora core Test Page, in cui si suggerisce all’utente di inviare una mail all’indirizzo al quale la sto appunto inoltrando. Non capisco nulla: è grave? Potrò accedere nuovamente al mio blog?
grazie, m. a.

Risposta: Stiamo facendo manutenzione dopo un tentativo di hackeraggio sul sito.

Risultato: è un problema postare. Non so se adesso ci sono riuscito, perché a www.splinder.com sono arrivato, ma non a www.azioneparallela.splinder.com. Se i commenti non sono accessibili non è colpa mia. Ma tu guarda se doveva capitare proprio nel gran giorno della risposta a Odifreddi!)

Aggiornamento: ore 16.37. Pare che i problemi persistano.

Il bicchiere nella sfera pubblica

Ddevo ammettere che la cosa che ho scritto su Rockpolitik per Leftwing (seconda pagina) è ben stramba, sicché non posso meravigliarmi del titolo. La goccia cade invece senza sorprese dove è caduta una settimana fa: un altro pezzetto di Kant, che cos’è l’illuminismo.

Epidemie

Non ho il tempo di verificare, ma in rete ci sono già le battute su Pollari e l’influenza aviaria, o ancora no?

Riga

"Solo una riga per avvisare Ahmadinejad sulla cancellazione di Israele dalla carta geografica. dovrà passare sul mio cadavere" (A. Sofri)

e sottolineo se

Non mi ero accorto che in settimana questo blog ha superato quota 100.00 mila visite. Son soddisfazioni. Se fossero persone, sarei riuscito in due anni a mettere insieme quanto il Maracanà mette insieme in un pomeriggio.

Se fossero.

Marmellata

In due parti, Teodori e Craveri affrontano su Il Foglio la svolta anti-liberale di Pera. (Non è colpa mia se si dà tanto credito a Pera). La prima parte è politica; la seconda è filosofica (nientemeno). Nella prima parte, fosse per me, darei più sostegno alla critica della tesi di Marcello Pera, secondo la quale “il legislatore decide sulla base dei valori più accettati e condivisi nella società”. secondo la tesi di Pera, in un paese in cui la marmellata di pera è il valore fondamentale più accettato e condiviso sarebbe lecito fare marmellata di Pera. Non vorrei spaventare Pera, ma questo è relativismo! E Pera no, ma il liberalismo crede di potervi porre un argine.
Nella seconda parte, gli autori fanno un po’ di albero genealogico, e ricordano fra l’altro che il diritto naturale non l’ha inventato il cristianesimo, e che si può essere giusnaturalisti senza essere cristiani. Io aggiungo pure che si può ritenere che vi sia un limite al positivismo delle leggi senza scomodare il concetto, filosoficamente alquanto compromesso, di natura.
Ma siamo d’accordo. Teodori e Craveri fanno bene a chiedere a Pera perché spaccia per liberale questo suo tradizionalismo (e poi ci vengono a dire che il laicismo è ottocentesco). E fanno bene a ricordare che è falso che l’etica o è religiosa o non è. L’etica laica pubblica non ha bisogno di supplementi religiosi. Anche qui solo una piccola aggiunta: Pera non capirà mai, quel che un cristiano capisce invece benissimo: è proprio un gran bene, per la religione, che l’etica pubblica se ne distacchi un po’.

Quel che veramente muore, morrebbe: chissà

Sentivo ieri in televisione Marco Rizzo mettere i compagni sull’avviso: la costituzione di un partito democratico rischia di far morire in Italia la vera sinistra. Marco Rizzo è andato vicinissimo al vero. Quel che rischia di morire, è che è bene che muoia finalmente e che sia pure sepolto, è l’idea di Marco Rizzo che vi sia una vera sinistra (quella da lui rappresentata, suppongo).

Critiche e insolenze

Due cose interessanti su Il manifesto di questa settimana: un’anticipazione del saggio di Mario Tronti (Per la critica della democrazia) contenuto nel volume collettaneo Guerra e democrazia, e una presentazione della metafisica insolente di Gilles Deleuze a dieci anni dalla sua scomparsa, in occasione della ripubblicazione di Logica del senso

Il saggio di Mario Tronti non contiene grandi novità, per il lato per il quale è una critica del concetto di democrazia reale; per il lato per il quale invece prova a disegnare le condizioni di una possibile rottura storica è, mi si passi la parola, assolutamente inane. Veramente. C’è da chiedersi come su queste basi teoriche si possa pensare di costruire l’azione politica. Non c’è nessun cenno del genere nel testo, ma a me vien fatto di pensare che chi pensa su queste bsi, o imbraccia le armi, o è meglio che cambi le sue basi teoriche.

Deleuze. La grandezza di pensiero di Deleuze non si discute. Quello che io invece discuto, è un certo modo di presentare il suo pensiero (al quale peraltro indulge lo stesso Deleuze: non dico dunque che non sia fondato) in cui il meglio che se ne può ricavare è l’eterno duello fra la vita e le forme. In Deleuze c’è molto di più, anche perché il concetto di vita è, per dir così, despiritualizzato, e non promette nulla di ‘buono’. Così ci si trova dentro il corpo senza organi e la macchina desiderante. Ma rimane l’impressione di un vitalismo che s’inventa certi connotati solo per insofferenza verso le forme dominanti (il capitale, l’Edipo, Dio). Rmane l’impressione che ci siano i buoni e i cattivi, anche se i buoni sono cattivi e i cattivi buoni. Ciccarelli ha ragione quando dice che "una delle malevoli interpretazioni della filosofia deleuziana sostiene che questa sia l’apologia di una specie di anarchismo desiderante o delle virtù della schizofrenia che riscopre lo stato barbaro del desiderio contro le ristrettezze analitiche della ragione". Però è difficile considerare che sia solo un pregiudizio, ed è difficile pensare che se si recupera l’origine spinozista dell’etica deleuziana, come chiede giustamente Ciccarelli, tornino tutti i conti, e soprattutto tutte le pagine di Deleuze.

Trovare una dimensione

Ieri, alle 17 in punto, come da appuntamento, si è presentata alla porta della mia abitazione la prima cliente dello studio di consulenza filosofica (a proposito, non vi ho detto il nome: il fatto è che non l’ho messo ancora). E’ una signora di quarantacinque anni, capelli biondi tinti, leopardata. Prego, le faccio, un po’ intimidito: sono M. A. Ah, è lei: piacere, E. T. Piacere. Prego: si accomodi pure. Grazie. Bene, mi tolga subito una curiosità: come ha saputo? Me ne ha parlato mio figlio, che legge il suo blog. Ah, capisco. E mi dica. Per quale motivo ha pensato di rivolgersi a un consulente filosofico? Ha idea del genere di attività che svolge un consulente filosofico? No. Ma è per mio figlio. Per suo figlio? Quanti anni ha suo figlio? Sedici. E scusi se le domando, ma ha forse, ehm, problemi nei rapporti con suo figlio? No, per niente. Ah.  E’ che mio figlio quest’anno ha cominciato a studiare la filosofia; gli piace molto, vorrebbe fare ripetizione.

Ah.

(Emilio/millepiani mi segnala il nuovissimo blog di consulenza filosofica con il link al dottor Neri Pollastri. Se vi punge vaghezza di cliccare sul link, lasciate pure un commento e dite: son passato dal mago della consulenza filosofica, Azioneparallela, e ho saputo)

Due colonne su tre – nel frattempo

Severino ha rimesso piede in un’Università cattolica. Leo ha letto il resconto del Corriere e di Europa Cristiana: non si capisce granché. Io aggiungo Avvenire e, soprattutto, Il Foglio.

Su Avvenire, le righe per Severino son poche, ma chiare, anche se l’articolista lamenta che, senza motivare, Severino ha affermato che pensare che alla verità si giunga dalla non verità "rende impossibile arrivare alla verità stessa e quindi dire una parola incontrovertibile". Su questo, non ho alcun dubbio anch’io, ma se non motiva Severino non motivo neppure io (motiva Hegel per tutti e due).

Su Il Foglio (con titolo sbagliato per metà: Severino si è sempre confrontato con la Chiesa), potrei sottilizzare, ma posso ben concedere a Severino e al giornale le prime due colonne (il laicismo pigro; troppo facile dire ‘non ci sono verità’). Sulla terza colonna, di perplessità invece ne ho. "Al dogma cristiano si oppone il mito laicista", dice Severino, ma siccome ha appena detto che pure il cristianesimo è un mito, non c’è problema. Però è un mito deboluccio, mentre vuoi mettere il cristianesimo? Il cristianesimo si candida alla guida del mondo. Qui mi sfugge chi abbia avanzato la candidatura, e credo che Severino abbia abbondantemente torto in punta di fatto, e credo pure che al cristianesimo non faccia mica tanto bene guidare il mondo (ma questa è una valutazione tutta personale). Sta il fatto che Severino ha pure detto che se è debole il laicismo, non è affatto debole il discorso filosofico che ha prodotto questo laicismo imbelle, visto che ha spazzato la tradizione, e visto che il cristianesimo è fermo alla candidatura, e non si sa se andrà avanti. (Anzi si sa: perché per Severino la tecnica se lo mette in saccoccia, il cristianesimo). E allora qui mi pare che Severino dia un colpo al cerchio e uno alla botte. Il laicismo non sa su quale potente vulcano (il nichilismo) si sia accomodato: è puerile; la Chiesa invece lo sa, e combatte (ecco perché Severino ha piacere a confrontarsi con il cristianesimo), però le busca lo stesso. Combatte infatti con armi spuntate, perché la fede è per Severino per essenza nichilistica (nell’articolo dice: "in un certo senso solidale con l’ateismo").

Dove sono le mie perplessità? A Severino interessa lo scontro ultimo, a me invece interessano (in politica) le cose penultime (ma poi direi anche, en philosophe: un diverso modo di pensare il rapporto fra ultimo e penultimo, che non ha nulla di severiniano). Severino ritiene che il laicismo imbelle, privo di pensiero, proprio non vede lo scontro ultimo. E’ così, ma io trovo che Severino non vede tutto quello che accade nel frattempo. Accade così che nel frattempo  Severino dica di vedere con favore l’intervento della Chiesa nello spazio pubblico e politico, come se leggi dello Stato italiano vietassero ai vescovi di parlare. Il punto riguarda invece le modalità di questo intervento, e se esso non debba essere regolato dal principio che consente a tutti allo stesso titolo di condividere gli stessi diritti fondamentali nel medesimo spazio. Ma su queste modalità Severino non dice nulla, perché riguardano lo spazio penultimo – astratto, procedurale, formale – della democrazia, mentre lo scontro ultimo avviene in un altro spazio. E chissà quando.

Par condicio

Dopo aver dato conto di quel che ti combinava Heidegger, non posso esimermi dal segnalare la confessione dell’Abbè Pierre

Distanza

Su La Stampa di ieri il fisico Robert Laughlin parla di scienza e ideologia, saltellando di qua e di là così come lo fa saltellare l’intervista. E saltellando, risponde anche a questa domanda: "In Europa, come negli Stati Uniti, si discute dei limiti della scienza e del peso dell’etica. Qual è la sua posizione?"

«Pratica, anche in questo caso. Al Kaist di Seul, dove trascorro molto tempo, ho conosciuto Hwang Woo Seok, lo studioso che ha clonato la prima cellula umana. Sono un suo grande sostenitore, quel tipo di ricerca può dare risultati importantissimi nella cura di molte malattie. Credo che la vita non inizi con il concepimento, ma che l’individuo si formi gradualmente attraverso un’organizzazione gerarchica di cellule. L’uomo è la totalità che riconosciamo guardandolo a distanza, come un quadro di Monet: se lo osservassimo da vicino noteremmo solo pennellate senza senso».

Ecco, non so Odifreddi, ma io sottoscrivo in pieno questa (involontaria) semi-citazione di Merleau-Ponty: l’uomo è a distanza. (Carlo Sini scrive: l’uomo è di stanza nella distanza. Ma lo cito solo per mettere il link a questa splendida chiacchierata).

Bacchettate: Pera, Severino, mancava Odifreddi

Severino: democrazia e cristianesimo sono miti. Cioé: teoreticamente frolli. Il loro confronto non è mica questa gigantomachia: vincerà chi ha "maggior potenza pratica". Pera: ma scherziamo! Il cristianesimo un mito? Il Papa dice di no, e dico di no anch’io. E per dirlo, non c’è bisogno che la negazione di ciò che esso afferma sia contraddittoria. Oggi tocca a Odifreddi. Odifreddi non sopporta Severino, e sente irresistibile il bisogno di bacchettarlo per insegnargli le cose più elementari. Comincia infatti così:

" […] Lo spunto per l’articolo di Pera era la seguente oscuirtà di Severino: – La democrazia è un mito, perché la sua negazione è contraddittoria -. Si tratta di un’oscurità interessante, per almeno due motivi. Anzitutto, perché rivela un’allegra confusione tra frasi e nomi: solo alle prime, e non ai secondi, si possono infatti applicare concetti come la negazione e la contraddittorietà. E poi intorbida le acque chiamando ‘mitologico’ ciò che nella storia della logica […] viene invece chiamato in tutt’altro modo: ad esempio, ‘non analitico’ o ‘contingente’, in opposizione a ‘analitico’ o ‘necessario’".

Togliamo subito la bacchetta dalle mani del professor Odifreddi. Primo l’affermazione la democrazia è un mito è di Luigi Einaudi: Severino cita. Secondo: quanto alla confusione fra frasi e nomi, Odifreddi trascura l’evidenza del testo. Subito dopo infatti, appaiando democrazia e cristianesimo, Severino scrive: "…un mito: la  negazione di ciò che esso afferma, ecc." (sott. mia). Si tratta dunque della non contraddittorietà della negazione di un’affermazione. L’espressione citata da Odifreddi è insomma soltanto brachilogica. Terzo. La distinzione non-analitico e contingente e analitico e necessario fra l’altro si può certo fare. Ma se si vuole criticare Severino, bisogna portare ad esempio almeno una verità contingente. Che ora ci sia il sole non è necessario, si dice: potrebbe piovere. Ma Severino può obiettare:  che il sole che in questo momento splende sia il sole che in questo momento splende non è affatto una verità contingente: se il sole non splendesse, ma piovesse, il sole che in questo momento splende non sarebbe il sole che in questo momento splende. Il che è contraddittorio. (Non dico che Severino abbia ragione, dico che la distinzione fra necessario e contingente con cui lo si vuol liquidare lo fa sorridere, e non può essere presa come ovvia e scontata, perché, mi sia infine consentito di dirlo in breve così, la questione non è logica, ma ontologica).

Poi Odifreddi riassume l’intervento di Pera, e poi lo apostrofa: ma come, tu quoque! Quindi l’affondo, contro questa storia del relativismo: "Nessuno scienziato si sognerebbe di pensare alla scienza e alle sue verità come relative e universali. Sono i filosofi , a pensare che la scienza sia relativa". Qui verrebbe voglia di chiedere a Odifreddi, così attento a bacchettare i filosofi, cosa precisamente intende per ‘relativo’, visto che lo oppone non a ‘assoluto’ ma a ‘universale’. Però non sottilizziamo, non stiamo a chiedere esempi e spiegazioni, e facciamo finta che sia tutto chiaro e sia chiaro pure che "di scienza ce n’è, e ce n’è sempre stata, una sola": il professor Odifreddi è uno che non le manda a dire. Anche perché, schietto com’è, ha pure la nobiltà d’animo di riconoscere quando l’altro ha ragione. Così scrive, lui matematico, lui logico, lui che è di quelli che la scienza è una e una sola (tirate un profondo respiro, e poi leggete tutto d’un fiato):

"Su una cosa si può comunque essere d’accordo con Pera e Ratzinger: che ‘esistono valori fondamentali iscritti nella natura stessa della persona umana, previi a qualunque giurisdizione statale, che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo’. Ma proprio perché tali valori derivano dalla natura umana, si possono appunto conoscere studiandola. E lo studio della natura, umana e non, è compito della scienza: non della filosofia, e tanto meno della religione".

Avete letto questa verità universale e non relativa? E ora la bacchetta la prendete voi, o la prendo io? (Non c’è due senza tre, e il terzo – mi dispiace – è il peggiore).

P. S. Anche la coda dell’articolo di Odifreddi è non falsa ma sciocca. Pera ha scritto: "se il cristianesimo non fosse la verità, qualcuno un giorno potrebbe dire che uccidere, rubare e dire il falso sono solo convenzioni accidentali". Odifreddi cita, poi ricorda che simili comandamenti si trovano nel Libro dei morti egiziano (non ho difficoltà a crederlo), e chiosa: dovremmo forse allora dire che se i culti di Osiride e di Amon non fossero la verità tutto sarebbe permesso?". Ma no, caro professore. Pera non è Ivan Karamazov. Pera, d’accordo con millenni di storia filosofica e teologica, distingue tra rivelazione della verità e contenuto della verità (di certe verità del diritto e della morale naturale). Polemizzi pure con Pera (lo dice a me?) ma lo faccia con meno sicumera.

 

Esperienza alpimistica

Ieri a Salerno, si presentava il libro di Francesco Tomatis, Filosofia della montagna. (Ne ha parlato il Corriere, e Avvenire ha dato un’anticipazione; Bompiani ha fatto pure la videochat con Cacciari e l’Autore). A discuterne Nicola Auciello e Vincenzo Vitiello. Auciello ha detto (fra l’altro): la montagna, l’ascesa: è un’esperienza tipicamente filosofica. Tomatis la presenta muovendo da una sua propria dimensione religiosa. E va bene. Ma mentre insiste sul puro che della cima (la ‘cosa stessa’ di Platone, l’Uno plotiniano, ecc. ecc.), lo fonde poi troppo strettamente, ad onta della sua indeterminatezza, con una determinata interpretazione simbolica. Il puro che non ne dovrebbe invece essere toccato. Indifferente, dovrebbe solo rimandare indietro come un’eco la voce di chi ne fa esperienza. Vitiello ha detto (fra l’altro): più sali più senti la gravità della terra. Questa è l’esperienza religiosa: una radicale passività. Poi ha chiesto: dov’è lo spazio della libertà dell’uomo, se l’ascendere è opera della grazia? E infine ha ricordato una montagna dell’infanzia, in Veneto, e soprattutto la sua esperienza di ascesa al Monte Sinai, insieme a Bruno Forte. Veder sorgere il sole sul monte, come l’alba del mondo.

Anch’io feci da bimbetto la mia esperienza. Disobbedendo ai miei genitori, mi avventurai su per una collinetta nei pressi della Dacia (così mio nonno, il mio eroe d’infanzia, alpinista, sciatore, aviatore, fascista, che aveva fatto la guerra nei Balcani, aveva chiamato il suo piccolissimo pezzetto di terra). Avevo già provato un’altra volta per altra via, fallendo: e mio nonno era venuto a prendermi, non essendo io più in grado di salire o di scendere. Ci riprovai. Quella volta giunsi in cima. (Mi pare ci fosse anche mio fratello, non ricordo: se passa di qui, me lo dirà). E feci l’esperienza della mia vita: quando misi il naso oltre l’ultimo sperone di roccia, quel che vidi fu un prato ordinato, una strada ben asfaltata, un auto parcheggiata  e delle case. Dietro la tenda di Pitagora, non c’era poi granché.

(Sia chiaro: Il neologismo del titolo del post è di Tomatis, non mio).