Sul tema della laicità i filosofi si scatenano: ieri, oltre a Possenti, sul Sole 24 Ore ha detto la sua anche Antiseri, sotto il titolo Tentazioni del neolaicismo. L’articolo ha di buono il finale: con un efficace crescendo, Antiseri si chiede se siano state illegittime ingerenze nella vita di uno Stato di diritto i pronunciamenti del Papa sui morti per incidenti stradali, contro la guerra in Iraq, contro la mafia, o sulle trasmissioni televisive diseducative. No, non lo sono stati, a meno che non si voglia chiudere la Chiesa nel silenzio. La parte di mezzo dell’articolo riguarda invece il debito dell’Europa verso il cristianesimo: "che cosa sarebbe l’Europa senza le grandi idealità che scaturiscono dal messaggio cristiano?". "Se ci sbarazziamo degli ideali di inviolabilità, dignità, libertà e responsabilità della persona umana, che cosa resta dell’Occidente?" Ben poco, si direbbe. Ma, riconosciuto il debito (e non voglio qui fare la vecchia – ma sempre necessaria – polemica laicista se il debito nei confronti del messaggio evangelico debba essere esigito dallo Stato pontificio), chiedo piuttosto ad Antiseri se per lui quelle grandi idealità possano essere difese sola ratione oppure no. Questo non c’entra con il diritto del Pontefice di dire la sua in pubblico, ma col diritto di parola del Pontefice non c’entrano nemmeno le grandi idealità! C’entra invece con la necessità che Dio sia presente nella vita pubblica. Di quale necessità si tratta? Della necessità di fare il nome di Dio nei pubblici giuramenti? Se Dio è solo il nome per quelle idealità, chiedo ad Antiseri se questo Dio sia il Dio dei cristiani, e dei cattolici in specie, o se non sia piuttosto un Dio passabilmente deista, del quale nessuno è titolare più di altri di interpretare la presenza nella vita pubblica.
Infine la prima parte dell’articolo, che ho letto all’incontrario per non arrabbiarmi subito. "Laddove l’uomo si fa unico padrone del mondo…" dice il Papa. Cosa vuol dire, che i padroni debbano essere più d’uno? Che il padrone debba essere un altro, l’Altro di cui parla il Papa cattolico? Oppure che, proprio in forza di quelle idealità di cui siamo debitori al cristianesimo, l’uomo non deve avere padroni? Ma forse il Papa vuol proprio dire: l’uomo che non vuole avere padroni, si fa padrone a se stesso. Cioè: non è possibile non avere padroni. E’ questa sfiducia nella possibilità dell’uomo di essere padrone di sè (non a sé), che è un tratto fondamentale dell’antropologia cattolica, che Antiseri dovrebbe dirmi se rientra tra le grandi idealità cristiane di cui dobbiamo serbare l’eredità. E dovrebbe pure dirmi se questo tratto è compatibile e in che misura con una laica democrazia liberale. (Poi si potrebbe discutere se questa antropologia sia estratta pari pari dal Vangelo, o invece non abbia richiesto qualche aggiunta paolino-agostiniana).
(Infine, su un terreno più schiettamente filosofico, questa idea che la consapevolezza dei limiti della ragione debba tradursi nella positiva affermazione di ciò che sta oltre quei limiti, con tanto di nome e cognome, non mi sconfifera neanche un po’. A me non sconfinfera in verità tutta questa retorica sui limiti, che ogni volta ho l’impressione torni buona solo per limitare).