In vista del corso di gennaio, sto rileggendo Dostoevskij. Ad esempio, l’Idiota. E’ noto quello che tutti sanno: siccome Dostoevskij scriveva il romanzo per una rivista, e lo pubblicava a puntate, il capitolo finisce sempre con l’attore che, per dirla cinematograficamente, esce da destra per entrare nel capitolo successivo da sinistra.
Questo vincolo è esterno, si dice giustamente, alle ragioni del romanzo. Ed ecco il compito della critica: portare allo scoperto tutti i vincoli esterni al romanzo.
Ce ne sono ovviamente di più scoperti e di meno scoperti. Ma non ce ne sono di interni. (Ciò significa fra l’altro: non si può scrivere l’Idiota cambiando i finali dei capitoli. Vincolo esterno, dunque, è un pleonasmo).
Il che vuol dire: quando un vincolo viene messo allo scoperto, per questo solo fatto diviene esterno al romanzo. (Va da sé che non tutti i vincoli – autore, epoca, genere, committente, lingua, ecc. ecc. – vincolano alla stessa materia, e non allo stesso modo in ogni epoca o per ogni autore. Insomma: una teoria sistematica dei vincoli non v’è).
Di qui però il contraccolpo. La critica anatomizza: e procura essa l’impressione che oltre ai vincoli che reperisce ed illustra vi sia una misteriosa sostanza del romanzo che non è spiegata né spiegabile in base a quei vincoli. A questa misteriosa sostanza attingerebbero le ragioni del romanzo.
Ma questa sostanza non c’è (Kant: l’interno non c’è). Però non è che tutto sia per questo esteriorizzato. C’è, invece, il divenir esterno dell’interno. Le ragioni di sopra sono ‘solo’ il contraccolpo dei vincoli portati allo scoperto.
Sul piano della ricezione: l’esperienza di quel divenire procura un piacere diverso da quello della lettura acritica (grado zero di lettura). Una lettura che non sia critica non conosce esterni.
Infine: letteratura e intrattenimento. Direi così: nel genere d’intrattenimento, lo sforzo che occorre fare per trovare quei vincoli è minimo, o non occorre affatto. Ovviamente varia da lettore a lettore, ma è, genericamente parlando, minimo. Letteratura: viene sempre il sospetto che vi siano altri, più sotterranei vincoli che han motivato questa o quella pagina. Dunque: una distinzione di grado, e non d’essenza. Ovunque: distinzioni di grado e non d’essenza, che sfumano l’una nell’altra. Il che non vuol dire che di gradino in gradino non si possa andare molto lontano.
(L’unica cosa importante, o almeno: filosoficamente importante, che c’è qui, è quel divenire che ho posto in corsivo. Tutto il resto lo posso anche buttare: quello no. Quello cerca di pensare insieme la ‘poesia’ dell’opera, e la ‘prosa’ delle sue regole di costruzione).