«A chi venga da lontano subito il borgo sembra scivolato, di soppiatto come da una porta, nella campagna. Esso non dà l’impressione che sia possibile raggiungerlo. Ma se si fa tanto di riuscirvi, allora il suo grembo ci accoglie e ci si perde nel concerto dei grilli e nel vociare dei bambini […] Passata la porta S. Giovanni, ci si sente in un cortile, non in una strada. Anche le piazze sono cortili, e in tutte ci si sente al riparo […]; l’uomo che le abita dura fatica a rammentarsi di ciò che gli occorre per vivere, tanto il profilo di questi archi e di questi merli, l’ombra e il volo dei colombi e delle cornacchie gliene fa scordare il bisogno». Chi scrive queste raffinate impressioni di viaggio è Walter Benjamin. San Gimignano, il luogo capace di suscitarle. Ancora oggi, per il viaggiatore cui capiti il raro miracolo di camminare lungo le sue vie senza esser sopraffatto dall’orda dei turisti, questa splendida città nel cuore delle colline senesi può riservare momenti d’incanto. Si resta stupefatti dinanzi alla presenza intatta del suo medioevo, scorgendo il profilo delle torri, calcando la scena ‘teatrale’ e insieme ‘naturale’ delle sue piazze, soffermandosi fra le botteghe, percorrendo con sguardo paziente ogni particolare impresso negli affreschi della Collegiata. Ed insieme stupisce l’equilibrata simmetria della campagna che circonda il borgo, i filari delle sue viti, in un sapiente intreccio ove la storia del lavoro quotidiano appare intonata al ritmo lento con cui si modella la materia, si disegna il paesaggio.
Intrisa di medioevo è qui anche la storia del vino, soprattutto se si pensa alla celebre Vernaccia di San Gimignano. Le prime notizie dedicate ai suoi pregi risalgono al Duecento, e pare che ne fosse particolarmente ghiotto Papa Martino IV, il quale amava mangiare anguille annegate e cotte nella Vernaccia, meritandosi così la lunga attesa del purgatorio nella Commedia dantesca. Sarà Forese Donati ad indicare al poeta il papa goloso: «Questi, e mostrò col dito, è Bonagiunta, / Bonagiunta da Lucca; e quella faccia / di là da lui più che l’altre trapunta / ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: / dal Torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
Ma la Vernaccia ha raccolto anche altri nobili elogi letterari. La s’incontra ad esempio nelle pagine del Boccaccio, fra le fantasmagorie della contrada di Bengodi che seducono la credulità di Calandrino. Lì infatti «si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giú, e chi piú ne pigliava piú se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua». La Vernaccia rivaleggiava a quei tempi con gli aromatici bianchi del meridione, i vini ‘greci’ per eccellenza. Cecco Angiolieri dichiarava perentoriamente, infatti, di non voler bere altro, in taverna, «se non Greco e Vernaccia…». Oppure si legga l’auspicio che un cittadino illustre della città, Folgore da San Gimignano, formula in un sonetto dedicato al giorno di ‘mercoredie’: «ogni mercoredí corredo grande / di lepri, starne, fagiani e paoni / […] /coppe, nappi, bacin d’oro e d’argento,/ vin greco di riviera e di vernaccia…».
Anche in virtù del suo celebre passato, è stato questo il vino che per primo, in Italia, ha potuto fregiarsi della denominazione d’origine controllata (poi ulteriormente nobilitata dal marchio DOCG).
La Vernaccia di San Gimignano si ottiene dalle uve del vitigno omonimo e ha colore giallo paglierino, tendente ad acquistare venature dorate con l’invecchiamento. Presenta un bouquet di rara eleganza, fruttato e floreale. Ha sapore secco ed asciutto, fine e di superiore armonia, con un caratteristico retrogusto amarognolo che ricorda la mandorla. La gradazione alcolica minima e di 11°, 11,5° per la versione Riserva.
Come accostamento letterario mi sembra d’obbligo il richiamo alle ‘corone’ dei giorni e dei mesi cantate – secondo lo stile cortese del tempo – da Folgore da San Gimignano nei suoi Sonetti. Ma come non lasciarsi deliziare anche dalle pagine ineguagliate del Decameron di Boccaccio?
Per quanto riguarda l’abbinamento filosofico proporrei, in accordo con la citazione iniziale, di sorseggiare la Vernaccia di San Gimignano leggendo un libro come Angelus Novus, di Walter Benjamin.
by Walter