Il filosofo (seduto, dubbioso): "Se fossi dio, come mi giudichereI?" Il teologo (in piedi, indignato): "Ecco la superbia della ragione umana che si costruisce un Dio a propria immagine e somiglianza". Il filosofo (calmo): "Ma nient’affatto. Se non fossi capace di mettermi dal punto di vista dell’altro, per giudicarmi, come potrei mai ascoltare il tuo Dio?". Il teologo (con tono paziente): "Ma ascoltare, benedetto figliuolo, vuol dire far parlare l’altro, non mettere in bocca all’altro le proprie parole!". Il filosofo (conciliante): "Capisco. Ma le parole dell’altro potrò mai intenderle e fare mie?" Il teologo (soddisfatto): "Sì, certo: di questo appunto si tratta!". Il filosofo (incalzando): "Dunque posso far mie le parole dell’altro, ma non posso rendere altre le mie parole? Posso appropriarmi delle parole altrui, ma non posso disappropriarmi delle mie?". Il teologo (irritato): "Non ho detto questo". Il filosofo (calmo): "E allora come?". Il teologo (in tono ispirato): "Solo se fai il silenzio nel tuo cuore, potrai ascoltare le parole dell’altro". Il filosofo (con qualche ostinazione): "Già. Ma non domandavo questo (benché abbia pure sentito tuoi colleghi teologi dire che il primo movimento appartiene pur sempre all’altro, e dnque non vedo come io possa eseguirlo, e cosa possa eseguire). Domandavo piuttosto cos’è questo ascolto. Tu distingui, non è vero?, fra l’altro che parla in me ed io che parlo a me come altro da me?". Teologo (sbottando): "Accidenti, se distinguo!". Il filosofo (come seguendo finalmente una traccia): "Ma non distingui soltanto: per distinguere, tu neghi che io possa davvero parlare a me con le parole dell’altro". Il teologo (un po’ confuso). "Non capisco perché, ma vai avanti". Il filosofo (incalzando): "Se distingui, devi indicare la ragione della distinzione, e se indichi la ragione della distinzione, questa ragione non potrà che appartenere alle tue parole, non alle parole dell’altro; distingui, allora, o neghi?". Il teologo (con molte incertezze): "Nego, nego (credo)". Il filosofo (alzandosi, scandendo le parole): "Ma se neghi, se neghi che io possa parlare a me con le parole dell’altro, perché lo neghi? Perché non hai modo di distinguere o per cosa?". Il teologo tace. Il filosofo (incalzando): "E se neghi, se mi neghi la possibilità di rivolgere a me stesso e di intendere le mie parole come parole dell’altro, come potrò mai intendere come altre le parole dell’altro?". Il teologo tace. Il filosofo (sullo stesso tono): " Forse le parole dell’altro dichiarano, oltre a tutto il resto, di essere parole dell’altro, mentre le mie parole dicono di essere solo mie parole?". Il teologo (ritrovando la voce): "E’ così; ed è proprio perché ascolti le parole dell’altro come altre, che comprendi che le tue parole sono solo tue parole!". Il filosofo (dubbioso): "Le parole dell’altro sono dunque parole che dicono, oltre a tutto quel che dicono, di essere parole dell’altro?". Il teologo (di nuovo sicuro, esclamando): "Ma certo! Mio caro amico, è proprio così: è questo che appunto venivo dicendoti!". Il filosofo (ancor più dubbioso): "Già. Ma come dicono le parole di essere parole dell’altro? E come io posso intendere questo che dicono?". Il teologo (indietreggiando il capo): "Come dici?". Il filosofo (sedendosi nuovamente, quasi fra sé e sé): "Da dove provenga la parola, come può dirlo la parola stessa?". Il teologo (ora sedendosi anche lui; sembra stanco): "Già come può dirlo?". Il filosofo (ragionando fra sé e sé, a bassa voce): "Io però intendo le mie parole, le parole che vengo dicendomi. Ma anch’esse: da dove vengono? Donde vengano non so. Provo allora a immaginarmi che vengano da un altro, ma non ho che la mia immaginazione. E d’altra parte: come potrei immaginare le parole dell’altro, se non le ascoltassi da un altro? E come potrei ascoltare un altro, se le sue parole non fossero anche le mie?". Il teologo guarda il filosofo con aria interrogativa, e tace. Il filosofo (con l’aria, stavolta, di chi pensa ad alta voce): "Forse nessuna parola è mia, e nessuna è dell’altro. Forse non c’è nessun altro, e non per questo le parole mie. O forse io sono il mio altro. Forse quel che non so non è soltanto se il modo in cui le parole mi giungono sia quello mio proprio o quello di un altro, ma neppure se con le parole si tratta di questo: del mio e dell’altro. Da qualunque parti osservi la cosa, non vedo chiaro".
E così dicendo, il filosofo, scuotendo il capo, se ne va. Il teologo lo vede allontanarsi, poi si ritira in preghiera.