Archivi del giorno: ottobre 25, 2005

Tolstoj o Dostoevskij?

E la domanda che un cittadino di Baronissi si starà sicuramente ponendo in questo momento, avendo io smarrito un quarto d’ora fa il libro di Steiner al parco giochi. E il modo ancor m’offende.

Dialoghetto

Il filosofo (seduto, dubbioso): "Se fossi dio, come mi giudichereI?" Il teologo (in piedi, indignato): "Ecco la superbia della ragione umana che si costruisce un Dio a propria immagine e somiglianza". Il filosofo (calmo): "Ma nient’affatto. Se non fossi capace di mettermi dal punto di vista dell’altro, per giudicarmi, come potrei mai ascoltare il tuo Dio?". Il teologo (con tono paziente): "Ma ascoltare, benedetto figliuolo, vuol dire far parlare l’altro, non mettere in bocca all’altro le proprie parole!". Il filosofo (conciliante): "Capisco. Ma le parole dell’altro potrò mai intenderle e fare mie?" Il teologo (soddisfatto): "Sì, certo: di questo appunto si tratta!". Il filosofo (incalzando): "Dunque posso far mie le parole dell’altro, ma non posso rendere altre le mie parole? Posso appropriarmi delle parole altrui, ma non posso disappropriarmi delle mie?". Il teologo (irritato): "Non ho detto questo". Il filosofo (calmo): "E allora come?". Il teologo (in tono ispirato): "Solo se fai il silenzio nel tuo cuore, potrai ascoltare le parole dell’altro". Il filosofo (con qualche ostinazione): "Già. Ma non domandavo questo (benché abbia pure sentito tuoi colleghi teologi dire che il primo movimento appartiene pur sempre all’altro, e dnque non vedo come io possa eseguirlo, e cosa possa eseguire). Domandavo piuttosto cos’è questo ascolto. Tu distingui, non è vero?, fra l’altro che parla in me ed io che parlo a me come altro da me?". Teologo (sbottando): "Accidenti, se distinguo!". Il filosofo (come seguendo finalmente una traccia): "Ma non distingui soltanto: per distinguere, tu neghi che io possa davvero parlare a me con le parole dell’altro". Il teologo (un po’ confuso). "Non capisco perché, ma vai avanti". Il filosofo (incalzando): "Se distingui, devi indicare la ragione della distinzione, e se indichi la ragione della distinzione, questa ragione non potrà che appartenere alle tue parole, non alle parole dell’altro; distingui, allora, o neghi?". Il teologo (con molte incertezze): "Nego, nego (credo)". Il filosofo (alzandosi, scandendo le parole): "Ma se neghi, se neghi che io possa parlare a me con le parole dell’altro, perché lo neghi? Perché non hai modo di distinguere o per cosa?". Il teologo tace. Il filosofo (incalzando): "E se neghi, se mi neghi la possibilità di rivolgere a me stesso e di intendere le mie parole come parole dell’altro, come potrò mai intendere come altre le parole dell’altro?". Il teologo tace. Il filosofo (sullo stesso tono): " Forse le parole dell’altro dichiarano, oltre a tutto il resto, di essere parole dell’altro, mentre le mie parole dicono di essere solo mie parole?". Il teologo (ritrovando la voce): "E’ così; ed è proprio perché ascolti le parole dell’altro come altre, che comprendi che le tue parole sono solo tue parole!". Il filosofo (dubbioso): "Le parole dell’altro sono dunque parole che dicono, oltre a tutto quel che dicono, di essere parole dell’altro?". Il teologo (di nuovo sicuro, esclamando): "Ma certo! Mio caro amico, è proprio così: è questo che appunto venivo dicendoti!". Il filosofo (ancor più dubbioso): "Già. Ma come dicono le parole di essere parole dell’altro? E come io posso intendere questo che dicono?". Il teologo (indietreggiando il capo): "Come dici?". Il filosofo (sedendosi nuovamente, quasi fra sé e sé): "Da dove provenga la parola, come può dirlo la parola stessa?". Il teologo (ora sedendosi anche lui; sembra stanco): "Già come può dirlo?". Il filosofo (ragionando fra sé e sé, a bassa voce): "Io però intendo le mie parole, le parole che vengo dicendomi. Ma anch’esse: da dove vengono? Donde vengano non so. Provo allora a immaginarmi che vengano da un altro, ma non ho che la mia immaginazione. E d’altra parte: come potrei immaginare le parole dell’altro, se non le ascoltassi da un altro? E come potrei ascoltare un altro, se le sue parole non fossero anche le mie?". Il teologo guarda il filosofo con aria interrogativa, e tace. Il filosofo (con l’aria, stavolta, di chi pensa ad alta voce): "Forse nessuna parola è mia, e nessuna è dell’altro. Forse non c’è nessun altro, e non per questo le parole mie. O forse io sono il mio altro. Forse quel che non so non è soltanto se il modo in cui le parole mi giungono sia quello mio proprio o quello di un altro, ma neppure se con le parole si tratta di questo: del mio e dell’altro. Da qualunque parti osservi la cosa, non vedo chiaro".

E così dicendo, il filosofo, scuotendo il capo, se ne va. Il teologo lo vede allontanarsi, poi si ritira in preghiera.

Terapie verbali

Al libro nero della psicanalisi, che sta facendo discutere in Francia, ho già messo il link (qui, porzioni ampie del dibattito sui giornali transalpini). Per gennaio si annuncia anche un dirompente dossier Freud, con lo stesso intento di demolizione sistematica della psicanalisi. Non fatevi illusioni: la psicanalisi non è una scienza (bella scoperta!).

Francesca Tozzi nota però che o viene portato l’attacco al punto cardinale di ogni approccio psicanalitico, cioè all’idea di una terapia verbale per i mali dell’anima, oppure questi attacchi sono vani. Anzi, servono magari a indicare strade diverse: "la nuova strada potrebbe essere la consulenza filosofica". E siamo daccapo. Era il link che mi mancava!

(Io però metterei almeno un altro punto fermo della pratica psicanalitica: con le parole acchiappare quella zona della psiche che alla parola si rifiuta. Nel mio studio di consulente, al giovedì, dalle 17 alle 19, viene tutta gente che vuole chiacchierare dei fatti suoi, e a cui non riesce di rimuovere un bel niente).

P. S. Elizabeth Roudinesco passa in rassegna il libro nero.

Corpi e linguaggi

"Today, natural belief can be summarized in a single statement: There are only bodies and languages. This statement is the axiom of our contemporary conviction. I propose to name this conviction democratic materialism": Parola di Alain Badiou. Che continua illustrando l’equazione dal lato per il quale questa convinzione è un materialismo, anzi un bio-materialismo: esistenza = individuo = corpo; poi dal lato per il quale è un materialismo democratico: i diversi linguaggi hanno tutti uguali diritti. Sono tutti tollerati, tranne quello che pretende di imporsi agli altri, Allora scatta il diritto di intervento "legale, internazionale e, se necessario, militare". La guerra insomma, che si rivela così essere "l’essenza materialista a mala pena nascosta della democrazia".

Insomma: il relativismo è l’orizzonte culturale del nostro tempo, e questo non può che sfociare nella guerra. C’è materia per una interessante discussione fra teo-con, atei devoti e sinistra radicale. (Io, per me, non sottoscrivo l’assioma, e sono a posto).