In due parti, Teodori e Craveri affrontano su Il Foglio la svolta anti-liberale di Pera. (Non è colpa mia se si dà tanto credito a Pera). La prima parte è politica; la seconda è filosofica (nientemeno). Nella prima parte, fosse per me, darei più sostegno alla critica della tesi di Marcello Pera, secondo la quale “il legislatore decide sulla base dei valori più accettati e condivisi nella società”. secondo la tesi di Pera, in un paese in cui la marmellata di pera è il valore fondamentale più accettato e condiviso sarebbe lecito fare marmellata di Pera. Non vorrei spaventare Pera, ma questo è relativismo! E Pera no, ma il liberalismo crede di potervi porre un argine.
Nella seconda parte, gli autori fanno un po’ di albero genealogico, e ricordano fra l’altro che il diritto naturale non l’ha inventato il cristianesimo, e che si può essere giusnaturalisti senza essere cristiani. Io aggiungo pure che si può ritenere che vi sia un limite al positivismo delle leggi senza scomodare il concetto, filosoficamente alquanto compromesso, di natura.
Ma siamo d’accordo. Teodori e Craveri fanno bene a chiedere a Pera perché spaccia per liberale questo suo tradizionalismo (e poi ci vengono a dire che il laicismo è ottocentesco). E fanno bene a ricordare che è falso che l’etica o è religiosa o non è. L’etica laica pubblica non ha bisogno di supplementi religiosi. Anche qui solo una piccola aggiunta: Pera non capirà mai, quel che un cristiano capisce invece benissimo: è proprio un gran bene, per la religione, che l’etica pubblica se ne distacchi un po’.