Quella che segue, è la risposta in blu, punto per punto, alle osservazioni (riportate integralmente, punto per punto, in nero) che un anonimo, che parla dell’articolo di piergiorgio odifreddi come del proprio articolo, e che dunque suppongo essere, salvo smentite, piergiorgio odifreddi, ha inserito nei commenti al mio post di qualche giorno fa (27/10, i link non mi funzionano ancora). La risposta è lunga, punto per punto: avrei dovuto chiedere al capodivisione Tuzzi di ospitarla, e in effetti il suo blog langue, ma volevo biecamente approfittare della notorietà del professor Odifreddi per festeggiare così il traguardo dei 100.000 accessi. E siccome la risposta è lunga, punto per punto, segnalo ai lettori pigri che i punti di qualche rilievo sono i punti 2, 5 e 8. Lo segnalo in particolare al professor Odifreddi, al quale devo chiedere la cortesia, se putacaso dovesse passare nuovamente di qui, di sciogliere i miei dubbi circa la firma del commento, e di leggere anche la postilla conclusiva non scientifica, scritta in spirito di amicizia.
Si comincia: buon divertimento!
carissimi,
ho visto per caso il vostro blog sul mio articolo su pera, e vorrei solo chiarire alcuni fraintendimenti:
caro prof. Odifreddi, la ringrazio per i chiarimenti, i carissimi frequentatori del blog ringraziano (suppongo); ma il blog è mio e lo gestisco io. E il post che contiene i fraintendimenti che lei chiarisce l’ho scritto, per l’appunto, io (massimo adinolfi, come si può desumere facilmente, oltre che dalla lettura del blog, magari con l’ausilio di un motore di ricerca, dall’indirizzo e-mail riportato a destra).
1) che severino abbia preso la sua affermazione sulla democrazia da einaudi, non ci vuol molto a saperlo: lo dice lui stesso nella risposta a pera, il che non rende quella affermazione piu’ corretta o scorretta. io non ho citato einaudi perche’ non potevo controllare la cosa, e mi bastava comunque che severino l’avesse fatta sua.
Infatti, non ho mica detto che l’ho scoperto io. Non sono così colto. Però non so mica se lei se n’era accorto subito, visto che ancora adesso scrive che “lo dice lui stesso nella risposta a Pera”. No, non lo dice solo nella risposta, cioè nel secondo articolo apparso sul Corriere, ma già nel primo, citando anche il libro da cui è tratta la citazione. Questo non rende l’affermazione più corretta o scorretta, ha ragione (né l’ho affermato), ma correttezza (o almeno etichetta) vorrebbe che, nella polemica, lo si ricordasse. Tanto più quando si presenta la cosa come chissà quale oscurità.
2) dire "oggi il sole splende" e "il sole che oggi splende e’ il sole che oggi splende" sono due cose completamente diverse: e’ ovvio che la seconda sia una verita’ analitica, essendo un esempio del principio di identita’. confonderle, pero’, e’ tipico non soltanto di chi scrive il post, ma anche (appunto!) di severino. e con chi fa simili confusioni, non si puo’ che essere supponenti.
Qui ha ragione: c’è della confusione. Della tipica confusione. Vediamo di chiarire. Lei dice giustamente che le due proposizioni qui virgolettate sono ben diverse. Ma il punto da chiarire non è questo, ma solo se la prima proposizione sia contingente oppure no. Se davvero lei vuol chiarire questa tipica confusione, lei deve chiarire in base a cosa considera la prima proposizione contingente. Si tratta del fatto che oggi il sole splende, ma avrebbe potuto non splendere? Come lo sa? Sostiene logica e linguaggio con una teoria dei tipi naturali? Il sole sarebbe sempre lo stesso sole, anche se oggi non splendesse? La domanda di Severino sarebbe: ma se oggi il sole, il sole che oggi splende, avesse potuto non splendere, a qual titolo sarebbe stato ancora il sole che oggi splende? Che cosa mai significa che il sole avrebbe potuto? È mai possibile che il sole che oggi splende avrebbe potuto non essere il sole che oggi splende? Ecco di cosa si tratta nelle due proposizioni. Lei vede bene, dunque, che qui nessuno le confonde. Ma qualcuno le chiede invece di tenere presente problemi che la logica modale – che lei sicuramente conosce molto meglio di me – tiene ben presenti. So bene che pensa anche di risolverli, simili problemi (un nome per tutti: Kripke). Non ne dubito. Ma io nel post mi limitavo umilmente a scrivere che non basta ricordare la differenza fra contingente e necessario per liquidare Severino, come se Severino la ignorasse o la saltasse a piè pari, e non provasse invece a discuterla. Se vuole, è come se Severino le dicesse: quella distinzione con la quale lei crede di finire, è la distinzione con la quale io casomai comincio (per metterla radicalmente in questione). Non basta insomma ricordare la differenza: bisogna impegnarsi con una certa interpretazione delle categorie modali su cui esiste una vasta letteratura che lei padroneggia senz’altro meglio di me. Ovviamente, io non le chiedevo e non le chiedo mica (non a lei, e non a Pera), di farlo sulle colonne di Repubblica. Le facevo presente però che Severino ce l’ha presente, e che liquidarlo come se non ce l’avesse presente, o facesse solo tipica confusione, o come se questi problemi non esistessero, è una confusione nella quale incorre tipicamente lei (tipicamente, perché non è la prima volta che ritiene di poter risolver i conti con Severino con la supponenza di chi crede che si tratti solo di distinzioni elementari ignorate dai suoi interlocutori).
p.s. Pensi poi che io non sono nemmeno d’accordo con Severino: e non con la sua interpretazione fortissima del principio di identità, ma proprio col principio d’identità!
3) il mio punto, comunque, era un altro: e cioe’, che uno puo’ anche chiamare mitologico cio’ che gli altri chiamano analitico, ma cosi’ facendo confonde soltanto le cose. e onestamente non si vede cosa ci sia di mitologico nel fatto di essere analitico.
Onestamente, ha ragione: non si vede cosa ci sia di mitologico nel fatto di essere analitico. Ma qui c’è dell’altra e ben più grave confusione. Severino non chiama mitologico ciò che gli altri chiamano analitico, come lei scrive, ma casomai ciò che non è analitico (spiegando peraltro che intende semplicemente che la democrazia “non è una verità assoluta”). Il fatto che lei, in questo punto, incorre due volte nel fraintendimento, mi fa pensare che proprio non abbia colto il punto. E che tutta la supponenza con cui legge Severino le fa commettere sviste banali
4) non sono invece io a contrapporre relativo a universale: lo fa pera nel suo articolo, ed e’ di questo che parlavo. per questo, ho usato la sua terminologia.
O perbacco, professor Odifreddi: ho aperto il file con Acrobat Reader, ho cercato grazie alla funzione Find, disponibile sulla riga dei comandi, la parola ‘universale’ nell’articolo di Pera, e il programma non mi ha trovato la parola. Ho provato un’altra volta, per maggiore sicurezza, e niente: la parola ‘universale’ non c’è. Ho letto umilmente altre due volte l’articolo, perché vatti a fidare: niente. Come possa appartenere dunque alla terminologia di Pera una parola che nell’articolo di Pera non c’è, mi sfugge. Nell’articolo compare invece un bel po’ di volte la parola «assoluto». (Non dico nient’altro: non voglio essere supponente).
5) se ho capito bene, la "grossa cazzata" che avrei detto sarebbe che e’ la scienza che ha il compito di studiare la natura, compresa quella umana, e non la filosofia o la religione. e’ certamente una cazzata, nel senso di banalita’ o ovvieta’, ma questo non significa che i filosofi o i teologi l’accettino, e che non pretendano di definire loro cos’e’ la natura, sulla base non dei fatti (ad esempio, che gli animali praticano in certe condizioni l’omosessualita’) ma delle loro opinioni (che l’omosessualita’ sia contro natura, e che dunque gli animali possano andare contro natura).
La “grossa cazzata” è il passo del suo articolo citato nel post (che ho chiamato “grossa cazzata” solo nei commenti, per far prima: se le è dispiaciuto, me ne scuso). Può darsi peraltro che lei abbia ragione, che sia cioè una verità banale che tocca alla scienza studiare la natura tutta. In filosofia, è invece banale discutere se sia ‘natura’ solo quella che studiano gli scienziati, se non altro per avere l’accortezza di non pensare che quando Aristotele scrive ‘physis’, o Tommaso ‘natura’, essi intendano ciò che Galilei o Watson intendono con ‘natura’. Però non è mica tanto banale, e mi stupisce che lei consideri banale, che “nella natura stessa della persona umana” [la scienza conosce una cosa come “la natura della persona”?] esistono [esistono? Cavolo!, e come esistono, come i pesci nell’acquario?] valori fondamentali [e quali sarebbero?, è disponibile un elenco?, e, si veda pure il punto 8, come fanno a valere, ad avere l’essere del valore, se hanno lo stesso essere del DNA? Hume, quello della legge di Hume e della fallacia conseguente, sarebbe d’accordo?]. Qui devo rivolgerle una domanda: questa che scrive è una verità scientifica? E’ dimostrata? Da chi? Trovo nei manuali di biologia una proposizione simile? Mi dispiace, ma da qualunque parte io guardi questa proposizione, non riesco a ritrovare in essa un briciolo di sensatezza. Però capisco perché lei dica una cosa simile; lei vuol dire che in natura si osservano comportamenti omosessuali: di che vanno dunque cianciando quelli che spacciano per naturale il solo comportamento eterosessuale? A scanso di equivoci, lei è capitato qui per caso ma i lettori di questo blog lo sanno da un bel po’: io non considero affatto che sia naturale, e dunque lecito, il solo orientamento sessuale etero. Non intendo affatto difendere simili scempiaggini. Però, per il fatto che le consideri scempiaggini, non vuol dire che le debba presentare in maniera distorta. Chi sostiene che è naturale che, ecc., fa riferimento a un concetto di natura che non è quello che lei impiega quando parla dei comportamenti omosessuali osservabili in natura. Lei può ritenere che questo concetto di natura sia infondato e fantastico (lei lo ritiene senz’altro), ma non può fare finta che Aristotele o Tommaso dicano natura e pensino a quello che per la zoologia è natura, sicché basta mostrare due animali dello stesso sesso che si dilettano vicendevolmente per liquidare le loro argomentazione fondate sulla natura della persona.
6) il ps. su karamazov non l’ho capito. pera fa un’implicazione, con l’intento di mostrare che a certe conclusioni (i comandamenti) si puo’ arrivare a partire da un’unica ipotesi (il cristianesimo). per vanificare il suo intento, basta mostrare un’altra ipotesi (il culto di osiride) che implica la stessa conclusione.
Il passaggio su Karamazov si spiega con la pag. 95 (e poi con qualche altra pagina) de I fratelli Karamazov di F. Dostoevskij, l. I, cap. 6 (BUR, Rizzoli 2005): “se distruggete nell’uomo la fede nella propria immortalità, subito si inaridirà in lui non solo l’amore, ma anche qualsiasi forza vitale […]. E non basta: allora non ci sarà più niente di immorale, tutto sarà permesso, perfino l’antropofagia” (sott. mia). A parlare è, lo ricorderà, Ivan Karamazov. Orbene, l’implicazione di Pera, così come lei la propone nell’articolo e la ripropone qui, in questo punto, richiama le parole di Ivan, anche letteralmente. Lei scrive infatti: “se i culti di Osiride e di Amon non fossero la verità, tutto sarebbe permesso?” Pensavo che queste parole lei non le avesse messe lì a caso, visto che risuonano forti e chiare nelle orecchie di chiunque abbia letto Dostoevskij (o almeno nelle mie), e perciò le scrivevo che Pera non raggiunge le altezze teologiche di Ivan. Ma vedo invece che non era un omaggio al romanzo di Dostoevskij. Ma poi io le ho scritto: Pera non è Ivan, e devo dunque chiarire ancora che il mio punto era distinguere, come distinguono i cristiani (non tutti, ma una larga parte) fra rivelazione della verità e contenuto della verità. Se vuole anche: fra scoperta e invenzione. Un credente può sostenere che la rivelazione mette allo scoperto certe verità morali naturali: non inventa nulla, insomma, quelle verità essendo iscritte nella natura, ecc. (la questione è d’altronde di vecchissima data: a mia volta, non scopro né invento nulla). Quanto poi al fatto che la ‘scoperta’ si potrebbe retrodatare, visto che c’è pure il culto egizio, qui, mi dispiace, ma l’articolo di Pera non consente di dire se sia lei ad aver ragione o io. Io sono convinto che Pera non avrebbe difficoltà a ribadire che a lui interessa solo mostrare il debito della morale nei confronti della religione, per poi aggiungere: la civiltà europea è indebitata in particolare con il cristianesimo, ecc. ecc. Ora, sia chiaro anche questo (che i lettori del blog già sanno): io non sono mica d’accordo con Pera. (Io fra Pera e Berlusconi scelgo Berlusconi: e ho detto tutto!). Dico solo che non è ricordando i culti di Osiride e Amon che si risolve la faccenda, e perciò ho scritto in maniera sbrigativa che il suo rilievo non è falso ma sciocco, perché i cristiani (non tutti, ma una larga parte) non avrebbero alcuna difficoltà ad accoglierlo – aggiungendo magari che però a noi la morale l’ha insegnata, e in una forma più pura, Gesù. (Ora non mi risponda che però c’è Socrate, perché non è un rilievo che debba muovere a me, perché io difenderei non solo o non tanto l’autonomia della morale dalla religione, ma l’autonomia della religione dalla morale, pensi un po’, e perché, comunque, non è facendo come i bambini, che quando litigano minacciano di chiamare i fratelli maggiori, che si discute questo punto).
7) per quanto possa interessare, io non sono affatto buddhista: sono ateo.
In effetti, non interessa granché. e soprattutto non rileva (qui, e nel mio post).
8) sui "valori iscritti nella natura umana", dove la natura e’ quella studiata dalla scienza, si possono comunque leggere i capitoli sull’etica degli ultimi libri di watson (quello della doppia elica), in particolare "dna". ognuno ha i suoi modelli: si puo’ preferire severino a watson, cosi’ come si puo’ preferire la tamaro a saramago, ma non ci si puo’ lamentare se poi si viente trattati con supponenza.
Watson? Quello della doppia elica? Aspetti che me lo segno. Però se magari mi aggiunge qualche riga, prelevata dal suo modello, mi dà una grossa mano. Perché, sa, io anzitutto non capisco bene come, con qual pennino si iscrivano i valori (questa è un’osservazione prelevata dal mio modello, che non è la Susanna, però chi sia non glielo dico), e in secondo luogo non so bene come i valori, una volta scritti nella natura umana, nella natura come la intende lei, studiata dalla scienza, siano ancora valori. Lei mi pare passare sopra la legge di Hume con grande disinvoltura, suppongo che Watson faccia altrettanto, ma mi domando (visto che non tutto ancora conosciamo della natura umana, questo me lo concederà): se nella natura trovassimo scritte delle brutture (che ne so? Che l’uomo ha la tendenza naturale a scaccolarsi in pubblico), le dovremmo prendere come un valore?
Postilla conclusiva (non scientifica)
Ho scritto sopra che fra Pera e Berlusconi preferisco Berlusconi. Aggiungo: tra Odifreddi e Zichichi preferisco di gran lunga, ma proprio di gran lunga, Odifreddi (non ci vuol molto, mi dirà: lo so). Ma chi preferisce Odifreddi fra Pera e Severino? E conviene allo scienziato buttare la filosofia dal lato della religione, o della mera opinione, e trattarla magari come la sorella maggiore scema, quella che è rimasta indietro mentre la più giovane si faceva bella e avvenente e riscuoteva successi in società? Non mi risponda però che lei tratta così solo la filosofia che non cade nelle oscurità metafisiche di un Severino. Il punto è: lei riconosce alla filosofia titolo di ‘sapere’? Le riconosce questo titolo, anche quando non adotti protocolli scientifici? La filosofia che non adotta il metodi della scienza è solo chiacchiera, o al più visione del mondo – magari colta, ma non dissimile in sostanza dalla mera opinione? E se non riconosce titolo di ‘sapere’ alla filosofia, a qual titolo non glielo riconosce? Ossia: chi o cosa intronizza il discorso scientifico? E in cosa la scienza sarebbe diminuita, se tenesse aperta questa domanda circa i propri fondamenti e il proprio senso? Di cosa ci sarebbe da aver paura?