Il tono generale dell’articolo di Antonio Gnoli su Repubblica (segnalatomi da Paolo), nel decennale della scomparsa di Deleuze, è più o meno questo: è stato bello, però. Deleuze inventava, Deleuze giocava, Deleuze resisteva, ma trent’anni fa. Non oggi. Si direbbe che Gnoli abbia scritto il pezzo per rievocare, e per chiedersi come abbia potuto avere successo un pensiero così. Forse perché eravamo giovani, c’era il Sessantotto, ne abbiam fatte di cose strane!
Io, per me, sono convinto che basta Differenza e ripetizione per non fare del pensiero di Deleuze il pensiero di una sola stagione, politica e culturale.
Però Gnoli scrive pure: "MA che cosa significa che un signore che passò attraverso le incursioni di Nietzsche e Bergson, Leibniz e Kant, Spinoza e Hume, faccia filosofia? [ma perché? cosa dovrebbe fare?]. E’ ancora possibile che un pensatore che non disdegnò la letteratura (Fitzgerald, Melville, Proust, Kafka, per fare dei nomi) e la psicanalisi (Freud, Melanie Klein, un certo Lacan) poteva ancora porsi la domanda delle domande: che cosa significa pensare? Cosa significa logica del senso?"
E’ ancora possibile? E perché non dovrebbe esserlo? Cosa lo impedisce? Il riflusso? Peraltro, non mi è chiaro se Gnoli si chieda se sia ancora possibile filosofare, o se lo sia ancora senza disdegnare letteratura e psicanalisi. In entrambi i casi, non vedo perché non dovrebbe esserlo. E se c’era una filastrocca che Deleuze non sopportava, è proprio quella che intona il ritornello funebre sulla fine della filosofia.