Archivi del giorno: novembre 9, 2005

Dentro o fuori

Non so quale impressione faccia a voi il fuoco nelle strade di Parigi e della Francia. Gaetano Quagliariello dice: è la banlieue che brucia. La causa: l’insufficienza della proposta culturale. In che senso la proposta è insufficiente? Nel senso che essa "fa conto della capacità dello Stato laico di esprimere una cultura, dei simboli, dei riti e dei modelli pedagogici più forti di ogni particolarismo etnico o religioso”. Fa conto, e non ci riesce. Bisogna prendere atto del fallimento: “Servono molto di più politiche serie dell’integrazione che prendano finalmente atto del fallimento delle politiche multiculturaliste, non importa se condite in salsa francese o anglosassone".
Non importa: il problema non è la salsa, ma è proprio il multi-. Basta multi-, ci vuole il mono-. La soluzione per la banlieue parigina è il mono-. Quella sì che sarebbe una politica seria! (Se a politici e analisti fossero proibiti gli aggettivi – serio, forte – sarebbero indubbiamente costretti ad essere meno fumosi)
A me invece i giovani che infiammano la notte non mi sembrano in cerca di simboli etnici o religiosi ‘forti’, visto che quelli repubblicani sono vuoti e stantii. E non mi sembra neppure che il problema sia il multi-. Proprio al contrario: mi sembra che nonostante le promesse, non riesca loro di uscire dalla banlieue, di uscire da un’identità coatta, etnica, religiosa o sociale che sia. Non mi sembra proprio una rivendicazione identitaria, casomai una reazione identitaria. Pare a me che si scambi l’effetto per la causa. E se c’è una rivendicazione, forse non è quella di fuoriuscire dalla multiculturale e multicolorata modernità, ma casomai di entrarvi.

Autocritica

Oggi Berlusconi ha ricevuto il Presidente del nuovo Iraq Talabani in visita ufficiale a Roma, e nel corso della conferenza stampa congiunta (sta qui) ha tra le altre cose intorno al dodicesimo minuto detto:
“…Vorrei concludere ricordando una cosa che credo sia importante per noi.
Noi non abbiamo voluto la guerra, anzi inizialmente avevamo espresso molte riserve su un’operazione militare, riserve che io avevo espresso direttamente in due colloqui molto estesi anche dal punto di vista temporale, con il Presidente e l’Amministrazione degli USA, tant’è vero che abbiamo lavorato per circa due mesi nel tentativo di convincere Saddam ad accettare un esilio garantito in Libia, e l’abbiamo fatto in collaborazione continuativa con il colonnello Gheddafi. Devo aggiungere che non solo non abbiamo partecipato alla conferenza delle Azzorre […]. Non abbiamo partecipato all’operazione militare. Siamo intervenuti con una missione di pace soltanto a seguito della risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Soltanto in quel caso abbiamo portato il nostro contributo a quel paese e l’abbiamo portato nei modi e nelle forme che ho prima sintetizzato
Per completa onestà intellettuale oggi io mi sono permesso di chiedere al Presidente [Talabani] se riteneva che la dittatura di Saddam Hussein poteva trovare fine con un sistema diverso dalla guerra. E il Presidente con estrema decisione mi ha risposto che no, che secondo lui non c’era altro sistema. Le chiedo scusa, Presidente, ma questo è un discorso rivolto all’informazione interna del mio Paese”.
Insomma: Berlusconi era convinto che la guerra non si doveva fare, ma la guerra si doveva fare. Ora: cosa avevate capito voi, quando già qualche giorno fa Berlusconi aveva ricordato i suoi sforzi per convincere Bush a non muovere guerra?
Era un’autocritica. Berlusconi voleva dire: meno male che Bush ha tenuto duro, e non mi ha dato retta.