Esce in Italia Un dettaglio nazi nel pensiero di Carl Schmitt, di Yves Charles Zarka. Le novantasei paginette (settanta in francese) non vanno giù a Franco Volpi, autorevolissimo storico della filosofia, studioso della filosofia tedesca del ‘900, che recensisce il libretto su Repubblica, il 26 settembre, sotto il titolo: Bisogna bruciare Carl Schmitt? (ci dividiamo i compiti: a postarvelo è il capodivisione Tuzzi). Zarka, che pure lui ad autorevolezza non scherza (dirige il Cnrs, e insegna alla Sorbonne) ci mette un mese, ma risponde. E su Il Riformista appare la replica.
Ora, direte voi, tu te ne vieni il dieci novembre a parlare della cosa? Eh sì, perché la cosa è divertente e interessante. Perché i conti con Schmitt in filosofia politica tocca farli. Perché i due si danno botte da orbi. E perché oggi il Magister mi ha passato brevi manu la replica che Zarka s’è preso il disturbo di inviargli a mezzo posta (escudendo giustamente che Vitiello potesse acquistare il Riformista il giorno 26 di ottobre), quando è apparsa. Di mio aggiungo al dossier, visto che è tirato in ballo, e visto che a sua volta tira abbastanza sprezzantemente in ballo Zarka, Alain de Benoist: sulla recezione francese di Carl Schmitt.
Ecco dunque Zarka:
“Il violento attacco, quasi frenetico, portato da Franco Volpi nella sua recensione apparsa su Repubblica contro il mio libro […] è un sintomo. Il sintomo di una volontà di non vedere, di una paura della verità, che permea gli ambienti intellettuali, particolarmente numerosi in Italia (e in altri paesi) che hanno fatto di Carl Schmitt, il giurista nazi (ma anche di Heidegger) il loro maître à penser. Carl Schmitt non può essere elevato al rango di maître à penser se non nella misura in cui viene mascherata la realtà del suo impegno intellettuale e professionale, in qualità di giurista, all’interno del nazismo; vale a dire se non nella misura in cui non si sminuisce questo impegno fino a renderlo un semplice accidente storico, un episodio che tutti conoscono e che non intacca in alcun modo il suo pensiero e i suoi scritti prima e dopo il nazismo […].
Franco Volpi ha così paura del contenuto del mio libro che evita assolutamente di parlarne. Il lettore del suo articolo non sa qual è il punto della questione. Non sa che si tratta di leggi razziali antisemite del 1935 (si noti come la parola «ebreo» non è menzionata nel suo articolo). Il lettore non saprebbe nemmeno che il libro comporta l’analisi della giustificazione di queste leggi ad opera di Carl Schmitt se questa espressione non comparisse nel sottotitolo del libro. L’obiettivo unico di Volpi è semplice: impedire la lettura, impedire che i lettori sappiano che il pensiero di Schmitt comporta «idee assassine», idee che hanno contribuito a condurre alla «soluzione finale». Lasciamo che sia Volpi a parlare: «il cui[di Zarka] pamphlet merita una sola raccomandazione: caveat lector!». Non dice, si badi bene, leggetelo e vedrete da voi stessi che è inutile. Non dice: leggetelo, e vedrete voi stessi che le analisi di Yves Charles Zarka sono false e deboli. Dice: non lo leggete, soprattutto non leggetelo! E’ vietato leggerlo! Attenzione, qui rischiate di scoprire qualcosa di vero! Fuggite! Fuggite!
Per farla breve: quel che il mio libro ha cercato di mostrare non è il fatto che Schmitt sia stato un nazista, come dice Volpi, perché in effetti questo lo sanno tutti, ma che il pensiero di Schmitt è nazista. Il che è tutt’altra cosa. Ed è questo che è pericoloso. Ed è questo che il lettore non deve scoprire. Questo è il pericolo da esorcizzare. Per ottenere questo risultato, Volpi è pronto a utilizzare tutti i mezzi, persino i più contrari all’elementare onestà intellettuale: spostamento di significato, menzogna, contraddizione, inversione, falsificazione, ecc. Esaminiamo nel dettaglio questi procedimenti.
Spostamento di significato: il mio libro è qualificato come un pamphlet, quasi si trattasse di un attacco diretto e personale contro Schmitt. Ora, si tratta di tutt’altra cosa. Il libro comporta infatti una analisi storico-filosofica del contenuto e della posta in gioco dei due testi di Carl Schmitt che giustificano le leggi razziali adottate dal nazismo nel 1935. Quest’analisi permette di dimostrare la convergenza del pensiero di Schmitt, elaborato prima del nazismo, con il regime di Hitler. Schmitt ha inventato una serie di concetti che prenderanno corpo nel nazismo
Menzogna: secondo Volpi la mia più profonda convinzione sarebbe quella per cui bisogna bruciare l’opera di Schmitt, e il mio libro avrebbe come obiettivo di portare al rogo quest’opera. Il titolo dell’articolo riecheggia questo proposito […] Volpi dimentica un po’ troppo alla svelta che sono i nazisti, di cui Schmitt faceva parte, quelli che bruciano i libri. E’ vero che Schmitt stesso aveva escogitato un mezzo più raffinato: consisteva nell’applicare il principio della stella gialla alle biblioteche e alle produzioni intellettuali. Sosteneva altresì, nel 1936, che bisognava raggruppare, nelle biblioteche, tutte le opere di ebrei, opere di qualunque genere (medicina, diritto, filosofia, eventualmente cucina) sotto la rubrica «Judaica», e che bisognava, nell’ambito dei prodotti intellettuali, che i nomi degli autori ebrei fossero sempre seguiti dall’aggettivo «ebreo». Per quanto mi concerne, ho detto esattamente il contrario di quello che mi fa dire Volpi: io ho sostenuto che è necessario pubblicare tutti i testi di Schmitt e di conseguenza leggerli tutti se si vuole conoscere chi è stato Carl Schmitt e che cosa ha pensato. Non sono io ad essere un nazista, ma Schmitt: non sono io che riabilito un nazista, ma Volpi.
Contraddizione: secondo Volpi il mio libro è inutile, superfluo, senza idee né prove né dimostrazioni. Insomma «un libro senza errori, ma senza un’idea». Ma allora non capisco più: perché reagire in modo così violento contro un libro che non comporta nessuna idea? perché denunciare così violentemente un libro che non presenta nessun errore? D’altronde, se il libro non presenta errori, vuol dire almeno che dice qualcosa di vero. Volpi lo confessa involtariamente e si denuncia da solo.
Inversione: Volpi considera che dimostrare il carattere nazi del pensiero di Shcmitt (ma anche di Heidegger o di Junger) significhi abbandonarsi a «una revisione storica». Secondo Volpi questa revisione avrebbe luogo attualmente in Francia. Ma come non vedere che Volpi rovescia i ruoli: i revisionisti non sono più, per lui, quelli che vogliono riscrivere la storia e mascherare i crimini nazisti, bensì, al contrario, coloro che vogliono dimostrare il coinvolgimento degli intellettuali nel regime nazista. Questa inversione è tanto più pericolosa, poiché è seguita da un omaggio a Alain de Benoist, il revisionista francese di estrema destra.
Falsificazione: per rassicurare il lettore del fatto che non troverà niente, assolutamente niente nel mio libro, Franco Volpi si spinge fino al punto di falsificarne la struttura. La seconda parte del libro reca come titolo. «La giustificazione delle leggi di Norimberga del 15 settembre 1935». Il titolo è evidentemente mio. Ora, Volpi fa come se avessi sostituito questo titolo a quelli dei due testi di Schmitt. Ma perché mai avrei dovuto farlo? Sarebbe stato assolutamente stupido, visto che i titoli originali degli articoli di Schmitt costituiscono l’elemento centrale della mia dimostrazione che mira a sottolineare il modo in cui Schmitt trasforma le leggi di segregazione razziale in costituzione della libertà. Ho pubblicato i due articoli con i loro titoli originali: «la costituzione della libeertà» e «la legislazione nazional-socialista e la riserva del L’ordre public nel diritto privato internazionale». Volpi falsifica con l’intento di farmi passare per un falsificatore. Infatti, non vuole che il lettore prenda conoscenza di questi testi che non sono stati pubblicati più dopo il 1935, né in Germania, né in altri paesi. Questi testi producono nuove prove circa il carattere nazista del pensiero di Schmitt. Per la prima volta, dopo l’epoca nazista, questi testi compaiono integralmente nel mio libro.
Ma Volpi si spinge ancor più lontano, e finge che siano presenti nel volume pubblicato da G. Maschke a cui fa riferimento. Il che è falso. I italiani potranno per la prima volta avere accesso a questi testi nel mio libro, allo stesso modo in cui alcuni mesi or sono era avvenuto per i lettori francesi […]. Le falsificazioni di Franco Volpi non impediranno alla verità di essere conosciuta […]”.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Correlati
Vorrei capire meglio i riferimenti – superficialissimi – a Junger ed Heidegger. Tempo fa scrissi una cosa su Schmitt e Machiavelli e quindi leggerò senz’altro il libro di Zarka, che però, da queste avvisaglie, si annuncia piuttosto sconcio.
Bernardo
Non c’è da capir meglio. Nell’articolo di Volpi (postato dal capodivisione) li si cita insieme a Schmitt, perché la stessa sorte sarebbe toccata a tutti e tre, tutti e tre oggi denunciati in Francia per le contiguità col nazismo, dopo che per anni s’è civettato col loro pensiero.
non posso che essere felice di vivere in un mondo in cui un articolo accademico viene pubblicato come libro autonomo. ah, le gioie dei concorsi! viviamo proprio nel migliore dei mondi impossibili.
Qual è l’articolo, quello di Zarka? Ma se anche, non credo che Zarka debba ancora far concorsi. Oppure sì? (Eppoi, il libro autonomo è stato pur sempre tradotto in italiano, e presto se ho ben compreso in altre lingue).
Ma del mondo accademico, gioisco anch’io.