È bene percorrere le vie di Montefalco, in Umbria, come se ci si lasciasse guidare dal passo cadenzato del viandante, varcando in silenzio la porta S. Agostino, che col suo ingresso turrito immette nel borgo, e percepire così la voce del passato, scorgere le tracce ancora vive del medioevo lungo il cammino. Infine soffermarsi nella piazza, capace d’accogliere l’ospite come una dimora raccolta, di scandire nel quotidiano una pausa che allude ad un altro tempo, ad una vicinanza di cose scomparse eppure ancora attese.
Ogni passo è carico di storia in queste strade, con esempi d’arte altissimi, che nel ciclo di affreschi della chiesa di San Francesco, dipinto da Benozzo Gozzoli, raggiungono vertici di autentico splendore.
Anche la produzione del vino, a Montefalco, è radicata nell’arte. Si conserva come testimonianza, ad esempio, nella pietra scolpita, tra i fregi in marmo della chiesa romanica di San Bartolomeo, ove si scorgono grappoli e tralci di vite. È certo dunque che la cultura della vite e del vino conosce qui origini remote, raggiungendo nella produzione del Sagrantino la sua espressione più elevata.
Pare che si possa far risalire questo vitigno addirittura all’antica ‘itriola’, indicata come tipica del territorio di Montefalco da Plinio il Vecchio nelle sue ‘Naturalis Historiae’. È però più probabile che il Sagrantino sia stato importato in Umbria intorno al XIII secolo, per opera di frati francescani provenienti dall’Asia minore. Il nome del vino deriverebbe proprio dall’uso ‘liturgico’ che se ne faceva al tempo, in occasione dei riti legati, nei monasteri, alla celebrazione dei sacramenti. È peraltro anche questo, sia detto di passaggio, a rendere così inesauribili le voci intrecciate alla ‘sapienza’ del vino. Una ambigua doppiezza che da sempre l’ha reso bevanda ‘sacra’ per eccellenza, indissolubilmente radicata nelle nervature corporee, ‘materiali’ dell’ebbrezza – quelle più oscure e angosciose – così come trasposta nei vertici eterei del sublime, non meno votati alla perdita di sé.
Sulla base di testimonianze storiche variamente documentate, in passato il vino ottenuto dalle uve “sagrantino” veniva anzitutto prodotto e consumato nella sua versione ‘passita’, con un processo di vinificazione che dunque esaltava il residuo zuccherino delle uve. Oggi, sia ‘passito’, sia ‘secco’, non v’è comunque dubbio che il Sagrantino vada annoverato fra i migliori vini italiani.
Per ottenere il primo, i grappoli, dopo la raccolta, vengono posti ad appassire gradualmente su graticci. L’affinamento del vino si compie per un periodo di circa venti mesi in barrique e successivamente, lungo l’arco di un anno, in bottiglia. Ha colore rubino intenso tendente al granato, un bouquet vario, che accoglie i frutti di bosco e la frutta secca. Anche al gusto – amabile e di rotonda pienezza – prevale il richiamo alla frutta secca, accompagnato da sentore di agrumi. Ha circa 14° di alcol. È vino da meditazione, adatto al lungo invecchiamento.
Il Sagrantino di Montefalco ‘secco’, grazie alla cura e alla passione dei vignaioli umbri, ha oramai raggiunto livelli d’eccellenza assoluta. È vino di possente struttura, di gran corpo. Riceve un affinamento in ‘barrique’ per un periodo che può durare anche due anni, seguito da una permanenza in bottiglia di circa un anno. Allo sguardo mostra un colore rosso rubino quasi impenetrabile, con riflessi violacei che lasciano sempre più spazio al granato col trascorrere dell’invecchiamento. Il profumo ricorda i frutti di rovo, i toni aromatici del sottobosco, intrecciati alle spezie e alle sfumature vanigliate lasciate dal legno. Al palato è morbido e vellutato, con retrogusto balsamico, di lunga persistenza e perfetto equilibrio. Può superare i 14° di alcol, e ha attitudine al lungo invecchiamento.
Secco o passito, questo vino raccoglie in sé venature ‘mistiche’, senza disdegnare l’invocazione vigorosa: lo si accompagni con la voce insieme nobile e ‘terragna’ delle Laudi di Jacopone da Todi, intrise del loro espressionismo linguistico. Per quanto riguarda gli accostamenti filosofici, o a dir meglio: teologico-filosofici, mi vien fatto di pensare al Proslogion di Anselmo di Aosta, o all’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura da Bagnoregio.
by Walter