L’incipit è quasi eroico:
"Chi ci legge da anni ha incontrato con un certo anticipo in queste colonne le questioni eterne di cui oggi, nell’attualità del tempo che si muove si perde e si annuncia, tutti discutono con passione".
Il senso del fondo è: siccome le questioni sono eterne (ma ovviamente nessuna delle questioni citate da Ferrara è eterna), come vi permettete di ridurre tutto a misoginia oppure clericalismo oppure moralismo oppure…? Si potrebbe in verità dire che misoginia clericalismo moralismo sono eterni almeno quanto le questioni eterne che (in anticipo, beninteso) il Foglio discute. Ma siccome nel seguito il Direttore dice (giustamente) che l’ironia ci può stare, però è troppo facile buttarla sempre in ironia, voglio stare all’orgogliosa dichiarazione di Ferrara:
"Il nostro è un giornale che cerca di definire razionalmente i fatti in un tempo in cui la ragione flette sotto il peso del pensiero negativo e delle più evanescenti interpretazioni".
Forse a causa del pensiero negativo che mi flette (ma non mi genuflette), che l’eterno faccia il paio con la definizione razionale dei fatti al mio orecchio suona un po’ retrò. Questa ‘definizione razionale dei fatti’, peraltro, non so bene cosa sia. Anche perché Ferrara fa l’esempio non di fatti, ma della coraggiosa difesa da parte del giornale di due parole: ‘peccato’ e ‘matrimonio’ (cui ovviamente non corrisponde nessuna questione eterna), sicché viene da pensare che ‘definire razionalmente i fatti’ significhi per lui chiamare le cose con il loro nome, cioè con il nome che gli dà lui. (Il senso politico di questo ‘chiamare le cose con il loro nome’ con il quale le opinioni altrui fanno automaticamente la figure di sofistiche fumisterie ognuno lo vede da sé).
E se appena uno domanda se poi sia veramente quello il nome, se il loro nome sia il nome che le cose portano scritte su di sé, o il nome che qualcuno assegna loro, o un po’ una cosa e un po’ l’altra, sono sicuro che Ferrara sospetterebbe “evanescenti interpretazioni” in questa domanda. Ma a proposito di ‘peccato’, qual è il fatto? Una certa categoria di atti, pazienza se nel corso del tempo almeno alcuni di essi son mutati? E in generale, ‘peccato’ non è qualcosa che è chiamato così dentro una certa tradizione? Bene, ma allora dov’è l’eterno? E a proposito di ‘matrimonio’ (la faccio un po’ più lunga) Ferrara si riferisce al rito, all’istituzione, alla figura definita dal codice canonico o dal codice civile, o a tutti e due, oppure alla mera congiunzione carnale di uomo e donna? Siccome oggi il diritto di famiglia è cambiato un pochino, e si può divorziare, e non c’è più il pater familias, e si può scegliere il regime dei beni, e non c’è più lo ius primae noctis e nemmeno il ripudio, cosa è che sta come un fatto sotto tutti questi cambiamenti? Forse il fatto è l’accoppiamento dei sessi? Ferrara intende dunque che il matrimonio è l’accoppiamento dei sessi (ma ovviamente non ogni accoppiamento)? Ferrara vuole fondare etica e diritto sull’etologia o proprio sulla zoologia?
Sono l’etologia e la zoologia che gli procurano i fatti per le sue questioni eterne? E’ lì che si attesta la definizione razionale del matrimonio?