Archivi del giorno: novembre 27, 2005

Aglianico. Tre versioni

 Dei molti pregi dell’Aglianico s’è già discusso in precedenti occasioni. Vitigno antichissimo, importato con ogni probabilità da coloni greci nel nostro meridione, appare profondamente radicato nel territorio, secondo i molteplici significati cui tale espressione consente di rinviare. Territorio dice infatti qui ‘cultura’, con il suo intreccio di saperi, il passaggio delle tradizioni, la presenza ancora viva dei riti legati alla terra. Ma il riferimento al territorio ci consente di dar rilievo anche alla terra in quanto tale, valorizzandone così il puro spessore ‘materico’. Si pensi alla ricchezza offerta dalle componenti tufacee e vulcaniche, tratto distintivo dei terreni che si estendono in questa parte di Appennino meridionale, fra Sannio, Irpinia e Lucania.
Sono infatti soprattutto tre le aree di produzione dell’Aglianico, estese appunto entro le zone interne della Campania e della Basilicata: Taurasi, Taburno e Vulture. Ne derivano tre differenti tipologie di vino: il Taurasi – su cui già ci siamo soffermati – l’Aglianico del Taburno (detto anche ‘amaro’) e l’Aglianico del Vulture.
Da tali aree di produzione e fra le differenti varietà di Aglianico, scelgo in questa occasione di segnalare tre vini prodotti da vignaioli molto legati, appunto, alla ‘cultura’ del loro territorio, capaci di coniugare in maniera creativa l’antica cura e la fatica richieste dalla coltivazione della vite – secondo gli usi profondamente sedimentati nella memoria dei contadini – con le più recenti procedure di vinificazione. Si tratta dunque di vini a loro modo emblematici, ciascuno dei quali concorre a rivelare le tante sfumature del vitigno d’origine. Il Taurasi mostra un intenso color rubino dai riflessi purpurei, tendente con l’invecchiamento al granato, ed ha un caratteristico odore speziato (si percepiscono il tabacco, i chiodi di garofano, il pepe nero). Caratteristiche affini presenta anche l’Aglianico del Taburno, il quale offre però aromi meno speziati e più fruttati (con prevalenza di more e ribes nero). All’Aglianico del Vulture vanno attribuiti invece una maggiore morbidezza, con prevalenza di aromi floreali (violetta), ma anche sentori di ciliegia e di tabacco.
Ma veniamo ora ai tre vini scelti:     
il primo è il ‘Taurasi Vigna Cinque Querce’ prodotto da Salvatore Molettieri. Va tributato un giusto omaggio a questo vignaiolo dalla schietta sapienza contadina. Il suo Taurasi compare come miglior vino rosso nell’annuario 2006 dei Vini d’Italia, edito dal Gambero Rosso. Si tratta di un vino ove appaiono congiunti in perfetto equilibrio le antiche esperienze del luogo e l’apertura verso nuove tecniche di produzione. Matura per oltre tre anni in barriques e botti grandi di rovere, per poi ricevere un affinamento in bottiglia di circa sei mesi. Ha una densità cromatica dominata dal rosso rubino tendente al granato, con venature d’arancio; all’olfatto richiama il tabacco scuro, il cacao, le spezie (soprattutto vaniglia, chiodi di garofano, pepe). Ma l’aroma è ricco al punto tale da dispiegarsi anche sui toni fruttati: si sente la visciola, e soprattutto la prugna matura. La bocca è generosa, rivelando del tutto la sua potente struttura, i sui ricchi tannini. Il perfetto connubio fra gusto e olfatto consente il recupero anche al palato di aromi come il tabacco e la prugna.
Il ‘Bue apis’ – secondo vino su cui ci soffermiamo – è invece un Aglianico del Taburno, anch’esso di altissimo pregio, prodotto dalla Cantina del Taburno. Il nome è legato ad una antica scultura beneventana, ancora oggi visibile, appartenuta ad un tempio fondato da Domiziano nell’anno 88 dopo Cristo per il culto di Iside. Le uve da cui è ricavato provengono esclusivamente da una vigna centenaria ubicata in contrada ‘Panzanella’ di Foglianise (BN) a 350 metri s.l.m.. Ha un colore di rara eleganza, in cui prevale il rosso rubino, con toni cupi, purpurei. Il naso accoglie anzitutto i profumi dei frutti del sottobosco (mora, ribes), ma anche le spezie (vaniglia, pepe nero), il caffé tostato e il tabacco. Al palato il ‘Bue apis’ mostra subito d’essere un vino di gran corpo, con una componente tannica vivace e morbida al tempo stesso. 
Terminiamo segnalando l’Aglianico del Vulture ‘Don Anselmo’, prodotto nelle vigne di Barile, in Lucania, da Vito Paternoster, altro vignaiolo d’antica tradizione, profondamente radicato nella cultura della sua terra. È un vino dal colore rubino cupo, con riflessi violacei. I profumi richiamano note floreali e frutti del sottobosco, presentando insieme anche l’aroma delle spezie. Al palato si presenta di notevole struttura, dalla materia compatta e con tannini riccamente espressi.
Abbinerei questi vini ad opere anch’esse provenienti dal ‘territorio’. Si pensi, per esempio, all’Arcadia del Sannazzaro, o alle Odi di Orazio. Ma un altissimo riferimento potrebbe essere Torquato Tasso, con la sua Gerusalemme liberata. Per quanto riguarda i temi filosofici, mi pare opportuno invece accostare questi vini all’opera di Giambattista Vico – prima fra tutte, naturalmente, la Scienza Nuova – alla sua scrittura barocca, alle sue pagine dense di pensiero.
(by Walter)

Taglio e incollo

"Quando ho visto Adriano Sofri, dieci giorni fa, mi aveva detto di stare male, e di non respirare più bene. "E’ il carcere", aveva confidato, "a togliermi il fiato". Ecco, dopo una difficile operazione all’esofago durata tre ore, io credo che di chiacchiere non ne vadano più fatte.
Si assegnino immediatamente i domiciliari a Sofri, prima dell’arrivo della grazia, sin troppo in ritardo. E si pronunci immediatamente il consiglio di Stato sulla mancata controfirma del guardasigilli al provvedimento di clemenza del capo dello Stato. Sul conto di Castelli, poi, la magistratura dovrà indagare: farsi scortare da energumeni che si definiscono "arruolati nella guardia nazionale padana" è, per la nostra Costituzione, un inammissibile reato. Sulla cui responsabilità, questa volta, gli italiani non avranno incertezze".

Esercizi spirituali

Ogni tanto, di domenica, recupero articoli. Questo di Armando Torno, per esempio mi era sfuggito. Vi si recensisce un libretto sui cento grandi filosofi dell’umanità e si fa così la scoperta che l’Italia è ferma a Machiavelli: più vicini nel tempo non ce n’è (nemmeno tra le riserve). Come se non bastasse, Torno aggiunge questo commento:
"Questo libretto di King spiega meglio di tanti discorsi la sorte che tocherà a quasi tutti i filosofi: sparire".
A me verrebbe voglia di sentirli, quei tanti discorsi, per capire se si tratta poi della sorte dei filosofi o dell’umanità in genere (in effetti, dovrebbero funzionare pure per i poeti e i matematici, i fantini e i giornalisti). Ma Torno torna poi agli italiani di oggi, in fondo l’oggetto della polemica è spicciolo:
"Si impara a riconoscere i filosofi. E ci si accorge che oggi essi, tranne qualche rarissima eccezione, sono dei cicisbei da salotto e disertano biblioteche e meditazioni per investire il loro tempo in trasmissioni televisive e cose simili [il blog!: sono spacciato]. In molti, forse troppi, si trascinano da un convegno all’altro, da un festival a un incontro, ripetendo sostanzialmente i medesimi concetti, senza stancarsi. Il risultato lo abbiamo visto nel libro di King: scompariranno subito [il libro di King è un instant book?]”.
 
Comunque Torno ha ragione da vendere. Però siccome secondo me teme di averne troppa, ecco come, dopo aver ricordato Le vite di Laerzio e le impertinenze dei filosofi verso il potere e le sue lusinghe, conclude il suo pezzo:
“Non scambiate il libro per un manuale che vi insegna a essere irriverenti o a gettarvi (ironicamente) ai piedi di chi può. Vi allenerà però a farlo mentalmente. La qual cosa procura dei grandissimi sollievi spirituali”.
Ma ho capito bene? Torno si esercita così, mentalmente (mentalmente, per carità), e, buon per lui, ne trae grandissimo sollievo.