Ho postato ad amici (faccio di queste cose) questo pezzettino di Pasolini intervistato dal napoletano A. Ghirelli, e apparso su Nazione Indiana:
"Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Boja, vive nel ventre di una grande città di mare.
Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Boja (o fanno anche, da secoli, gli zingari): è un rifiuto, sorto dal cuore della collettività (si sa anche di suicidi collettivi di mandrie di animali); una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedia che si compiono lentamente; perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto" (al riguardo, vedi anche qui).
Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Boja (o fanno anche, da secoli, gli zingari): è un rifiuto, sorto dal cuore della collettività (si sa anche di suicidi collettivi di mandrie di animali); una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedia che si compiono lentamente; perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto" (al riguardo, vedi anche qui).
Uno di essi (il Venerabile) ha così commentato:
"Mi è sempre piaciuto moltissimo questo brano che si potrebbe intitolare "splendori e miserie dei napoletani"; splendori, se la la modernità è grigia, triste e massificata, e sfuggirvi, come tanta parte del popolo napoletano fa, è esaltante e splendido, apre squarci di alterità; al tempo stesso, deprimente e misero è rifiutare le regole della modernità, quelle che dicono più democrazia e meno camorra, più civismo e meno familismo. Questa duplicità è diventata la cartina al tornasole del mio umore, quando vado a Napoli (e ne sto appena tornando). Se sono di buon umore vedo lo splendore, se di cattivo umore la miseria. Ma non toglietemela Napoli: prendetevi pure Rovigo. Lo dico senza iattanza, senza retorica, senza voler convincere nessuno, senza niente: è un sentimento del tutto personale".
Al che un altro (il Nobile):
"Ma io non credo che la modernita’ sia triste, grigia e massificata".
(Gli altri amici sono il Lumbard, il Segretario e il Vesuviano)