Archivi del giorno: dicembre 2, 2005

Quaranta, al centro

Quarant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, la cui disputata eredità è via via divenuta sempre più rilevante per l’intera cattolicità. Panorama affida il ricordo al teologo Vito Mancuso, che distingue:

per la lettura di sinistra, ci fu netta discontinuità (anche se già i documenti finali tradirono lo spirito conciliare), per la lettura di destra, ci fu netta discontinuità (purtroppo); per la lettura di centro, ci fu sì innovazione, ma nell’ampio solco della tradizione. Per Mancuso, infatti, le discontinuità ci furono eccome (libertà di coscienza, Bibbia, liturgia, rapporto con le altre fedi religiose e in particolare con l’ebraismo): "La sinistra storiograficamente coglie nel segno". E allora? E allora sbaglia "dal punto di vista ecclesiale". Per essenza, la Chiesa cattolica non può conoscere rotture. "E’ solo l’interpretazione che unisce ad avere legittimità spirituale". Come sapeva bene Congar, storico della teologia e teologo lui stesso, "ogni riforma della Chiesa contro la Chiesa qual è porta al fallimento".

E’ così formulato quello che, visto nelle dimensioni macro della storia della salvezza, è la sapienza millenaria della Chiesa; vista nella dimensione micro dell’individuo, è il dramma della coscienza cattolica.

Trenta, all'incontrario

Trent’anni dalla scomparsa di Hannah Arendt, il cui pensiero è via via divenuto sempre più centrale nella filosofia politica contemporanea. La Repubblica affida il ricordo a Julia Kristeva. Io invece lo affido a Slavoj Zizek, che non ci può passare:

"Un’altra di queste regole è, nell’ultimo decennio, l’aver elevato Hannah Arendt ad autorità intoccabile, a “oggetto di transfert”. Fino a vent’anni fa i radicali di sinistra la rifiutavano in quanto autrice dell’idea di “totalitarismo”, l’arma chiave dell’Occidente nello scontro ideologico della guerra fredda: se, in una riunione di Cultural Studies negli anni Settanta, a qualcuno fosse stato chiesto in tono innocente “La tua linea argomentativa non è simile a quella di Arendt?”, sarebbe stato un segno sicuro che quel qualcuno era in grossi guai. Oggi, invece, ci si aspetta che la si tratti con rispetto – persino gli accademici il cui orientamento di fondo potrebbe spingerli contro Arendt (psicoanalisti come Julia Kristeva, a causa del rifiuto della Arendt per la teoria psicoanalitica; seguaci della Scuola di Francoforte come Richard Bernstein, a causa dell’eccessiva animosità della Arendt nei confronti di Adorno), perseguono l’impossibile obiettivo di riconciliarla con i propri fondamenti teoretici. Questa elevazione di Hannah Arendt è forse il più chiaro indice della disfatta teoretica della sinistra, cioè di come la sinistra abbia accettato le coordinate di fondo della democrazia liberale (“democrazia” contro “totalitarismo”, ecc.) e ora cerchi di ridefinire la propria (op)posizione entro questo spazio. La prima cosa da fare è perciò violare coraggiosamente questi tabù liberali: CHI SE NE FREGA se si viene accusati di essere “anti-democratici”, “totalitaristi”… " (lo trovate qui)

(Come ho già detto, chi è di sinistra, e ha accettato le coordinate di fondo della democrazia liberale, trova un sicuro punto di riferimento in Zizek. All’incontrario, si capisce).

Trenta

Su Repubblica, oggi, si ricordano i trent’anni dalla scomparsa di Hannah Arendt, il cui pensiero è via via divenuto sempre più centrale nella filosofia politica contemporanea. E chi firma la pagina? Julia Kristeva. Allora io vi posto questo pezzetto di Zizek, che non ci può passare:

"…Un’altra di queste regole è, nell’ultimo decennio, l’aver elevato Hannah Arendt ad autorità intoccabile, a “oggetto di transfert”. Fino a vent’anni fa i radicali di sinistra la rifiutavano in quanto autrice dell’idea di “totalitarismo”, l’arma chiave dell’Occidente nello scontro ideologico della guerra fredda: se, in una riunione di Cultural Studies negli anni Settanta, a qualcuno fosse stato chiesto in tono innocente “La tua linea argomentativa non è simile a quella di Arendt?”, sarebbe stato un segno sicuro che quel qualcuno era in grossi guai. Oggi, invece, ci si aspetta che la si tratti con rispetto – persino gli accademici il cui orientamento di fondo potrebbe spingerli contro Arendt (psicoanalisti come Julia Kristeva, a causa del rifiuto della Arendt per la teoria psicoanalitica; seguaci della Scuola di Francoforte come Richard Bernstein, a causa dell’eccessiva animosità della Arendt nei confronti di Adorno), perseguono l’impossibile obiettivo di riconciliarla con i propri fondamenti teoretici. Questa elevazione di Hannah Arendt è forse il più chiaro indice della disfatta teoretica della sinistra, cioè di come la sinistra abbia accettato le coordinate di fondo della democrazia liberale (“democrazia” contro “totalitarismo”, ecc.) e ora cerchi di ridefinire la propria (op)posizione entro questo spazio. La prima cosa da fare è perciò violare coraggiosamente questi tabù liberali: CHI SE NE FREGA se si viene accusati di essere “anti-democratici”, “totalitaristi”…

(Come ho già notato, se sei di sinistra, e hai accettato le coordinate di fondo della democrazia liberale, Zizek è un’ottima cartina di tornalsole).

Ripristino

La serie dei post lunghi finirà, statene certi. Ma intanto ricapitolo: questo è l’articolo di Marco Beccaria, questa la mia (richiesta) replica, questa la risposta di Marco (oltre che a me, a Malvino e a Forma mentis), questa che segue la mia (non richiesta, ulteriore) replica (che trovate anche da Marco, nei commenti, dopo che gli ho minacciato querela. Voi mi direte ma perché la posti qui, con minimi aggiustamenti? Ma per ripristinare corsivi, neretti e virgolette):

Sul piano storico (sul quale peraltro accetto a priori di avere torto, tanto mi appassiona), che la scena moderna sia allestita con materiali che provengono anche da Tommaso, secondo me, non è affatto vero. Oppure: è vero nel senso banale che tutto ciò che viene dopo è allestito con quel che c’è prima, ma in questo senso non serve a nulla. Ricordo uno splendido, breve saggio di J. L. Marion (filosofo francese cattolico di notevolissimo spessore, attualmente vivente, e massimo conoscitore di Descartes, oltre che di Tin Tin) che in un volume celebrativo dedicato a E. Gilson dice più o meno: abbiamo imparato un sacco di cose da Gilson, il suo commentario del Discours cartesiano (pietra d’angolo della modernità) ci ha mostrato che Descartes è pieno di Tommaso, d’altronde studiava dai gesuiti, c’aveva pure un mezzo parente, però lo storico che vuole spiegare Descartes deve spiegare perché Descartes NON è Tommaso, per quanto possa prendere da lui. Deve mostrare la discontinuità, e qui la discontinuità è radicale: Tommaso, pensatore dell’analogia; Descartes pensatore del fondamento (problematica che s’impone solo quando cade l’analogia entis, e arriva fino a Heidegger). D’altronde tu presenti un Tommaso che s’inclina (nella storia degli effetti), ben oltre: verso l’ermeneutica. Ma ora tiro in ballo io quel che viene prima e quel che viene dopo: l’ermeneutica è una risposta all’impasse filosofica del metodologismo moderno (lo detto in termini che se hai studiato alla Cattolica ti vengono bene), non così Tommaso: l’ermeneutica viene dopo la modernità cartesiana, mentre Tommaso viene prima, e non ha di contro la filosofia e la scienza moderna. Può sembrare che il rapporto tra verità e soggettività si disegni dunque in egual modo, ma solo negativamente, in rapporto al ‘momento cartesiano’ – e può sembrare soltanto. (Anzi: direi che è proprio quel che viene dopo che retrospettivamente fa vedere un certo Tommaso: ma io non dò il minimo credito, nel pensiero storico, a precorrimenti e ritorni).

Ora: se tu domandi: “come c’è arrivata la filosofia occidentale alla concezione hegeliana (heideggeriana? adinolfiana?) della verità?” e rispondi: “Non, semplicemente, contro Tommaso, ma attraverso Tommaso, e attraverso quella "storia di un errore" che è la metafisica occidentale”, stai tralasciando l’essenziale. Il punto non è infatti se siamo passati attraverso Tommaso o Speusippo, perché siamo passati attraverso entrambi: attraverso tutti (ecco di nuovo il senso banale). Il punto è proprio al contrario: non semplicemente attraverso, ma contro! La modernità si schiera compatta contro l’analogia entis. A torto o a ragione, ma è così. Si possono ritrovare i molteplici sensi dell’essere solo nel ‘900, che però si prende lo sfizio, spesso, di togliergli proprio il senso teologico. Allora perché attraverso Tommaso?

Sul piano teoretico (sul quale accetto peraltro di avere solo ragione): tu mi pare ti limiti deliberatamente a un rigo (la questione si apre e non si chiude, dici). Che la tua fosse una considerazione storica, e la mia no l’hai scritto su Leftwing, e io l’ho riportato nel mio post: d’altra parte tu mi hai chiesto perché la mia allergia, non se mi convinceva la considerazione storica (su cui di fatto ho scritto solo ora). Ora se tu vuoi dire che in generale la questione è aperta, beh: come potrei non essere d’accordo? Se invece vuoi dire che è aperta nei termini in cui la pone Tommaso, hai il dovere di fare qualche sforzo in più. Io un po’ di sforzo per dire che quei termini sono problematici assai, e per far intendere che per me non è affatto aperta in quei termini l’ho fatto, anche se so benissimo che molti ‘ermeneuti’ la tengono aperta proprio come dici tu: proprio perciò ti dicevo che mi debbo guardar bene da, ecc.

Addenda1: nonostante la mia avversione (un po’ di maniera) per gli storici della filosofia, credo si comprenda dal contenuto del commento che riconosco alla sede storica dignità di pensiero Addenda2: io non considero il neotomismo un pensiero d’accatto, e pensatori d’accatto ce ne sono dappertutto.Addenda3: mi chiederai infine: perché sporgo querela. Ma quegli accostamenti: Hegel e Massimo, concezione heideggeriana o adinolfiana, sono da querela. In più, mi diffami con la storia che Leftwing mi paga lautamente, mentre è noto che sono i sofisti a richiedere un compenso.

P.S. Se mi richiedi un altro commento ti chiedo un compenso, sia chiaro.

Alluvione alluvione alluvione, e infine diluvio

1. Alluvione. Dieci tele: due Caravaggio, due Raffaello, un Van Gogh, due Bacon, un Picasso, un Rothko, un dipinto a olio del marito della preside. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove tele. Che si fa? Si vota democraticamente quale tela lasciare alla furia delle acque?
2. Alluvione. Dieci persone. Dieci europei cattolici maschi eterosessuali. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente chi lasciare alla furia delle acque?
3. Alluvione. Dieci persone. Dieci europei cattolici maschi eterosessuali. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente il criterio in base al quale decidere chi lasciare alla furia delle acque?

4. Alluvione. Dieci persone. Nove europei cattolici maschi eterosessuali, e un omosessuale ateo di origine ebraica, analfabeta e con handicap. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente chi lasciare alla furia delle acque? Si vota il criterio?

(5. Diluvio universale. Sull’Arca ci possono andare in dieci. Ne salviamo dieci uguali, così salviamo un’identità, o dieci diversi, così salviamo una speranza?)
 
(a proposito del post qui sotto)