"…ne parliamo con Francesco Botturi, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di MIlano e intellettuale impegnato nel dibattito su verità e relativismo". Così è introdotta l’intervista dal giornale Avvenire: per farmi passare la voglia di leggerla. Il dibattito su verità e relativismo? Ma qual è questo dibattito? Ma veramente c’è qualcuno che pensa che i filosofi stanno lì a interrogarsi se la verità è una o ce ne sono molte? Qui vorrei dire chiaramente che imporre questi termini del dibattito – o c’è una sola verità, oppure ce ne sono infinite, e tutto è relativo (con il corollario arguto che quest’ultima posizione si contraddice da sé, e quindi non si scappa) – è fuorviante, oltre che insensato.
Però leggo l’intervista. Botturi dice che prendendosela con il relativismo il Papa vuole combattere il ‘tutto è soggettivo’ e affermare che l’uomo è capace di verità. Sante parole! Anch’io, anch’io! Solo che la capacità-di-verità non è la verità, non è (o almeno non è detto che sia) la natura umana oggettiva, il bene assoluto, il magistero. Non è (o non è detto) nemmeno che la verità sia ‘divina’, per esempio.
Ma Botturi conclude l’intervista così: "che cosa ti sta a cuore? come al laico sincero sta a cuore la libertà d’azione e di pensiero, così al credente [sincero, Botturi ha dimenticato l’aggettivo] il fatto che la libertà trova garanzia in una verità che ci è superiore, abbraccia tutti e non esclude nessuno".
(Botturi s’è dimenticato anche altre cose: per esempio, che non è detto che la verità ci sia superiore, e non è detto che garantisca. Io per esempio, penso proprio che non garantisca un bel nulla. Io non voglio garanzie per la mia libertà, e trovo che la mia capacità di verità è bell’e amputata non appena si pensi la verità come un certificato di garanzia).
E’ amputata comunque la si pensi. Quindi il problema sta nello scegliere cosa, come e perché amputare o, in alternativa, provare a ricostruire il pensiero nonostante e al di là di qualsiasi amputazione.
Bernardo