Archivi del giorno: dicembre 9, 2005

Testacoda

L’articolo di Marco Olivetti su Avvenire (a proposito di unioni civili, PACS, matrimonio, e quant’altro il legislatore voglia escogitare) ha il pregio della franchezza. Dice Olivetti: non possiamo cavarcela con un elenco di diritti da riconoscere ai conviventi, nell’ambito di quella “sfera della libertà materiale” degli individui in cui lo stato, semplicemente, non deve entrare. Ma intervenire su unioni “aventi caratteri riconducibili (per similarità oggettiva – le coppie eterossesuali – o per assimilazione più o meno abusiva – le coppie omosessuali) al fenomeno familiare” è un’altra cosa, perché qui “entra in questione la rilevanza pubblica […] del fenomeno da regolare.
 
“In questo caso, lo Stato non si limita più a consentire alle scelte libere dei cittadini, ma delinea dei modelli (giuridicamente predefiniti) offrendoli come schemi di vita ai cittadini che intendono costruire una vita in comune. Ed è evidente la rilevanza educativa e di condizionamento del costume che una simile opzione configura: essa equivarrebbe ad indebolire ulteriormente lo statuto di cui gode il matrimonio nell’immaginario collettivo”.
 
Olivetti si rivolge anzitutto all’Unione (alla Margherita, a Rutelli), e dice loro: non potete far finta di niente, o lavarvene le mani. Se al fianco al matrimonio ci mettete un’altra cosa, sminuite oggettivamente il modello-matrimonio.
Per spiegare perché il modello-matrimonio costituisca un valore positivo, Olivetti mette in coda al suo articolo un solo indecente capoverso, in cui se la prende con le imitazioni degli stranieri e la sovraesposizione mediatica degli omosessuali – che dopo un ragionato articolo non è il massimo dell’argomentazione.
 
Questo, in coda. In testa sta un titolo che dice l’esatto opposto di quel che dice Olivetti nell’articolo, e ne offre così, inopinatamente, la perfetta confutazione.
 
(E perciò che il link, per la vostra goduria, ve lo metto alla fine)

La teodicea perfetta

"In quanto comprendiamo che Dio è causa di tristezza, in tanto gioiamo". Spinoza, Ethica, parte V, proposizione XVIII, Scolio.

La prolusione (3), e l'intelligenza creatrice

“L’altra via […] si colloca sin dall’inizio a livello filosofico, interrogandosi sulle condizioni di possibilità dell’intero sviluppo della razionalità scientifica e individuandole, dal punto di vista dell’oggetto conosciuto, nell’intellegibilità dell’universo, a sua volta non ultimamente spiegabile se non riconducendolo a un’Intelligenza creatrice”. (Dalla prolusione di Ruini, di cui, verso quest’ora, mi sono occupato già qui e qui).
 
L’altra via, l’una via essendo quella abbastanza obbrobriosa di immischiarsi dell’evoluzionismo sul terreno stesso della scienza. Qui no. Qui siamo sin dall’inizio a livello filosofico. Il guaio è che da tal livello ce ne usciamo anche, quasi subito. Com’è che la mente conosca l’universo, com’è che l’universo ci faccia il favore di darsi a conoscere, è una domanda genuinamente filosofica. Ma come potrebbe un’Intelligenza creatrice ultimamente spiegare la cosa? Qui il problema non è se l’Intelligenza ci sia o non ci sia, se abbiamo abbastanza indizi o meno per supporla, e consimili amenità. Qui il problema genuinamente filosofico e cosa mai significhi che l’Intelligenza, cioè l’explicandum, spieghi. Non è che mettendo la maiuscola all’intelligenza abbiamo fatto il miracolo di tramutare l’explicandum in explicans.
L’altra via, ahimè, non risolve il problema:  si limita a spostarlo.