Archivi del mese: gennaio 2006

Ancora D'Alema

Questa sera alle 21.00, su Nessuno TV (Sky 890), il video dell’intervista-conversazione a D’Alema. (L’audio è, invece, questo)
 
Un paio di cose devo però qui aggiungerle.
La prima. Il mio più famoso omonimo, Mario Adinolfi, giornalista se ce n’è uno, ha trovato camerieresca l’intervista, e ha deciso di stendere un velo pietoso su di essa. Troppo buono. Voglio però rassicurarlo: so da me che avrei potuto chiedergli:
E la barca? E le scarpe? E il risotto? E l’Unipol? E Consorte? E le cooperative? E la diversità morale? E questi della Margherita? E con Bertinotti come la mettiamo? E l’inciucio? E la Bicamerale? E l’ossessione di Berlusconi? E che vuoi fare dopo le elezioni? Il Presidente della Camera? Il Ministro degli esteri? E Veltroni? E quella volta con Craxi? E quella volta con Occhetto? E chi ha fatto cadere il governo Prodi? E siete i soliti comunisti!
Non che non volessi sentire le risposte, è che non avevo e non ho nessunissima voglia di fare le domande che può fare un vero giornalista come Mario Adinolfi: né voglio rubargli il mestiere. L’opinionista è lui, non io. Non facciamo confusioni.
La seconda. Io volevo avere l’agio di ascoltare, come diceva De Mita, dei ragionamenti, non solo delle prese di posizione. Non so se i ragionamenti siano venuti fuori, e in ogni caso si trattava dei ragionamenti di D’Alema, non dei miei: ci sarà una differenza. So perciò che questo non richiedeva che io obiettassi tutte le volte in cui ero e sono in disaccordo, e pensavo sinceramente che a un eventuale ascoltatore fregasse e freghi molto poco come la pensi io.
(Se poi a Mario Adinolfi interessa, può sempre intervistarmi e mettermi alle strette lui: Adinolfi contro Adinolfi non sarebbe male. Lì sì, non solo mi toglierei uno sfizio, ma mi divertirei anche).
 
(continua)

Raddoppio

Su Leftwing, Le posate della legittima difesa e L’indole speculativa dell’enciclica. (La goccia è speculativa, quella sì)

Vado al/(da) Massimo (D'Alema)

Se non ve ne siete accorti, è perchè la rivoluzione nel campo della comunicazione politica cammina più veloce di voi.
A destra c’è un banner: cliccateci su. (E, qui sotto, c’è anche il file MP3)

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Le trombe dell'apocalisse e Homer Simpson

(Walter si è quasi convinto a bloggare. Per ora ricevo e volentieri pubblico:)

Si parte dalla differenza fra mondializzazione e globalizzazione: 

1)       Mondializzazione: mundus, khosmos, organizzazione che è insieme ‘pulizia’: rapporti bene ordinati – il sogno della razionalità universale perseguito dal principio rivoluzionario fondantesi sulla autoreferenzialità del nichilismo egologico (soggettività trascendentale kantiano/fichtiana). La sua definizione in formula potrebbe essere: Demo-theo-crazia, ove il concetto di Dio si dissolve ed invera nel mondo ‘macchinale’ della organizzazione del tutto: cibernetica.

2)       Globalizzazione: qui il principio ‘cibernetico’ non funziona più. Globo rinvia piuttosto alle carte di esplorazione, alla loro continua estensione guidata dalla necessità di corroborarsi continuamente attraverso la trasgressione, nutrendosi dei ‘rifiuti’, come in un circolo continuo di autoalimentazione (necessità di produrre ‘dall’interno’ il nemico (il terrorista islamico, ad esempio) come funzionale al perpetuarsi del sistema).
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Il tramonto del sogno della mondializzazione è iniziato con il crollo del muro di Berlino. Il trionfo attuale della globalizzazione si regge sul presupposto della necessità della ‘barbarie’ per consentire il continuo auto-riprodursi del sistema. Sotto questo profilo, gli USA credono ancora (devono crederlo, e ‘fingere’ che le cose stiano così) che ci si trovi al cospetto di una guerra di Stati, mentre i realtà si tratta, piuttosto, di ciò che ‘all’interno’  del tardo-capitalismo ( come un’infezione virale, una malattia deformante, o come la propria stessa immagine deformata, ritornante al modo di uno spettro) si innalza quale negazione di ogni ‘proairesis’, di ogni calcolo oggettivo in vista di uno scopo (perfetta coincidenza del passato ideale nel futuro già realizzato). È la finzione dei ‘Neo-con’: dobbiamo continuare nella finzione della lotta uno stato, mentre in realtà si tratta d’una infezione virale, che percorre dall’interno l’occidente medesimo.

Oggi ci troviamo piuttosto al cospetto di una logica reticolare, ‘vermicolare’, che sfugge ad ogni identificazione univoca, e che è governata dalla necessità della trasgressione per rinforzare se stessa (dalla necessità del terrorismo come auto-legittimazione). Le si contrappone un sistema (erede del nichilismo mitico/mistico del ritorno ad una origine incontaminata) che insegue ‘terroristicamente’ il ritorno all’origine come cancellazione del tempo. All’origine del tutto vi è il concetto di controllo della natura (Bacon, Cartesio) fino alla scomparsa assoluta della sua gravità/gravezza, fino alla scomparse d’ogni residuo ‘sensibile’ corporeo. Fino alla scomparsa del dolore, alla scomparsa della morte (assoluta riproducibilità del tutto: scambio degli organi, inibizione del dolore che significa inibizione della memoria epperò dissoluzione della storia).
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Inibizione del crattere ‘grave’n(secondo il suo duplice senso) del corpo, e trionfo piuttosto della suanleggerezza (estetismo diffuso, nichilismo ludico).

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Lo sfondo teorico è qui governatondalla distinzione fra ‘orrore’ e ‘terrore’:

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1) orrore è l’espulsione/negazionendell’altro con l’esasperazione della bellezza attraverso lanbruttezza: brutalità/deformazione e dunque trasposizione della propria malattiannei corpi altrui (il mostro che ci insidia e che dobbiamo combattere). L’orrorenproduce il timore di parlare della propria stessa alterità, della proprianstessa malattia, della propria malattia, per non parlare poi della ‘indecenza’ndella morte. Di qui i capisaldi su cui fa leva il nuovo potere internazionale:nfuori c’è il nemico, non uscite di casa, evitate il contatto con l’altro,nl’unica relazione possibile è quella ‘pulita’ delle relazioninvirtuali, delle reti telematiche.

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Cosa ‘resta’, allora?

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Inibizione del crattere ‘grave’ (secondo il suo duplice senso) del corpo, e trionfo piuttosto della sua leggerezza (estetismo diffuso, nichilismo ludico). Lo sfondo teorico è qui governato dalla distinzione fra ‘orrore’ e ‘terrore’:

1) Orrore è l’espulsione/negazione dell’altro con l’esasperazione della bellezza attraverso la bruttezza: brutalità/deformazione e dunque trasposizione della propria malattia nei corpi altrui (il mostro che ci insidia e che dobbiamo combattere). L’orrore produce il timore di parlare della propria stessa alterità, della propria stessa malattia, della propria malattia, per non parlare poi della ‘indecenza’ della morte. Di qui i capisaldi su cui fa leva il nuovo potere internazionale: fuori c’è il nemico, non uscite di casa, evitate il contatto con l’altro, l’unica relazione possibile è quella ‘pulita’ delle relazioni virtuali, delle reti telematiche.

2) Terrore è piuttosto l’esasperazione del sublime fino a che non ritorna come un alcunché di inospitale, un-heimlich, come se si fosse ‘spostati’ in un paese dove più non vale alcun principio di ragione, e ancor di più, dove non vale il PNC. Si è ‘gettati’ al cospetto della alterità assoluta.

Cosa ‘resta’, allora? Non certo la soluzione che addomestica l’altro al modo dell’alter ego, o quella ‘buonista’ che si regge sulla ipotesi ‘rassicurante’ dell’operazione umanitaria, o del principio neo-colonialistico della tolleranza assimilante. Né tantomeno regge l’ipotesi, anch’essa rassicurante, dello scontro di civiltà. Anche all’interno di tali prospettive ci si espone al ritorno dell’altro. Ad un altro che torna, ma sotto le sembianze del fantasma. È anzi questo, oggi, il senso del terrore allo stato puro: il ritorno reale/mortifero dell’altro, ma attraverso la sua simulazione mediatica in immagine. È ancora il gioco della deformazione che qui emerge.

Si tratta d’un circolo vizioso e perverso: oggi Il vero terrorista appare come paradossale incarnazione ‘fantasmatica’ dell’idea di terrorismo prodotta dall’occidente terrorizzato, cui il terrorista stesso a propria volta si ispira per terrorizzare l’occidente con i suoi stessi fantasmi. Sicché l’altro torna, ma non come esso ‘realmente’ crede di essere, ma mediante l’immagine prodotta dalla paura provata nei suoi confronti. Di tale paura verso di esso si alimenta la spirale del terrorismo.

Questo ritorno – per via ‘terroristica’ – dell’altro, appare a ben vedere funzionale alla auto-riproduzione del potere occidentale (nella sua forma tecnicizzata del tardo-capitalismo). Anzi, esso agisce come reagente per rinforzare valori che l’occidente si era già lasciato alle spalle. Duque cita autori come la Fallaci in Italia o Houllebecq in Francia, che dovrebbero coerentemente ‘ringraziare’ il fondamentalismo e il terrorismo, perché adesso, grazie ad esso, appare possibile riscoprire valori che nella disseminata mescolanza del post-moderno, rischiavano di dileguare.

Ma forse le radici del ‘male’ sono dentro di noi, più che di fronte a noi, più che nell’altro da negare.

Cosa ‘resta’, ancora una volta? Forse ‘soltanto un dio ci può salvare’ (Heidegger)? Quale dio può salvarci, oggi, nell’età finzionale dell’immagine, nella corporeità ridotta a design, fra tutti noi che forse non siamo più altro che personaggi da cartoon?

Homer Simpson, distratto, non si rende conto d’aver imboccato la strada sbagliata e che, lungo il molo del porto, sta per precipitare con la sua auto in mare. È allora che per la prima volta si lancia in una disperata invocazione: “Io non ho mai avuto fede, non ho mai creduto in te, nella tua esistenza…ma ora, in questo momento fatale, io mi rivolgo a te, ti prego, se esisti, ora manifesta la tua potenza. Ti prego salvami….

….Superman!!” 

Cosa resta? Forse restano i ‘resti’…

(Avete letto il resoconto della settimana filosofica di Felix Duque a Napoli)

Passatismo

Io ci ho provato. Giuseppi Caliceti ha chiesto cosa è il riformismo e io ho provato a rispondere. Ora, avrò pure scritto un mucchio di fesserie, ma mi ha colpito che nei commenti, su vibrisse, Angela Scarparo segnalasse “la relazione tenuta a Siviglia (olé!) da Valerio Evangelisti nel 2005, e uscita su Carmilla”. Angela dice: “Parla di Berlusconi, e quindi, di questo centrosinistra.
Ho trovato il quindi molto, ma molto inquietante.
Poi ho letto la relazione. Il titolo è ‘Berlusconi ‘socialista’ e la nuova destra in Italia". Evangelisti descrive una storia che comincia con Craxi, la marcia dei 40.000, il referendum sulla scala mobile. In questa storia, sembra che chi è stato di sinistra (anzi, fu: perché la storia è narrata per un buon tratto al passato remoto), se è stato veramente a sinistra (e non in quella finta sinistra che è il centrosinistra: di ieri di oggi e, presumo, di domani), è stato dalla parte di ciò che l’ascesa di Berlusconi e dei ceti da lui (e, prima, da Craxi) rappresentati ha eroso, colpito, smantellato ecc. ecc. E la cosa mi fa una certa impressione, perché i decenni precedenti non sono stati a guida Fronte popolare.
Forse su cosa sia il riformismo ho scritto un mucchio di fesserie. Forse il riformismo che ho descritto è solo fintamente a sinistra. Però una cosa mi par certa: che il riformismo non è il passatismo, quello no.

Volete un esempio?

Volete un esempio del grigiore didattico dell’Enciclica papale? Sul Sole 24Ore, il commento è affidato all’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte (di Chieti, di Vasto e di Angelo Bottone, ragion per cui girerò a don Bruno qualche suo commento). Forte, uno dei migliori teologi italiani, dice: il messaggio del testo è chiaro: Dio è amore. Messaggio semplice e drammatico. Semplice perché "va dritto al cuore della rivelazione", drammatico perché ci sono resistenze, c’è l’odio, la violenza, ci sono le falsificazioni dell’amore, ecc. (Questa tinta drammatica non c’è, nel testo papale). Poi nuovo capoverso, e mons. Forte comincia così: "E’ l’annuncio di questo ‘impossibile, possibile’ amore’". Bella e vertiginosa espressione, dal forte sapore speculativo, che però non è presa dall’Enciclica. Potenza dei PC, si può subito controllare che nel testo di impossibile non c’è proprio nulla: due volte compare la parola, per dire senza strane complicazioni che la proposta cristiana non è impossibile.

(Forte non intende ovviamente dire che l’amore cristiano è impossibile, e poi contraddirsi per dire che invece è possibile, ma neanche intende usare una mera figura retorica. Quella espressione ci dice qualcosa dell’eccesso dell’amore, che nell’esposizione papale non c’è. Ed è tutto più grigio).

(Poi Forte celebra Ratzinger finisssimo uomo di cultura, perché cita Nietzsche. Però un finissimo uomo di cultura non cita Descartes prendendo l’edizione Cousin che ha in studio, anche se è vecchia di quasi duecento anni, anche se è uscita da cent’anni una grande edizione critica (poi rinnovata). Io in verità penso che Ratzinger sia un finissimo uomo di cultura: "se ne percepisce l’eco". Ma è un’eco lontana, perché Ratzinger mi appare un uomo stanco. Determinato, colto, intelliente. E stanco).

Ancora sull'Enciclica

Ma è tutta la prima parte dell’Enciclica, quella che, a detta dell’estensore, ha un "indole più speculativa", che è molto deludente. E non perché c’è l’eros degradato a puro sesso (che anzi, ha ragione chi ha scritto oggi che va apprezzato il fatto che qui si parla dell’amore carnale senza mettere in primo piano le proibizioni), e nemmeno perché non ci sono novità (che è un criterio assai poco appropriato, per discutere di un testo del genere), ma perché di speculativo non c’è proprio nulla. (Quasi nulla, va). Questo testo non ha un’indole speculativa,  a me pare, ma didattica. Sistema le cose, più che pensarle. Ma spero di riuscire a parlarne su Leftwing, lunedì prossimo.

(Intanto, sul Corriere, Severino dice che ad uscirne vincitrice nello scontro tra tradizione cristiana e filosofia contemporanea è la seconda. Ne esce verso dove?, domanderebbe un cristiano, ma intanto è champions league).

Ancora sul puro sesso

Ci sarebbe da dire dell’Enciclica. Che ha la frase che preoccupava Ffdes ("Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce"), però non è così preoccupante come si temeva. Mi pare infatti che non dica (oppure: si può fare come se non dicesse) che l’eros senza l’agape è degradato a puro sesso, ma che dica (o si può fare come se dicesse) che il modo di esaltare il corpo a cui oggi assistiamo degrada l’eros a puro sesso. Che poi l’amore non è vero amore se non è cristiano, mi pare che sia il minimo sindacale da pensarsi, se si è un Papa. Ma l’una e l’latra affermazion insieme non fanno (o almeno: non fanno immediatamente) quella di cui s’è discusso, che cioè l’eros senza agape è degradato a puro sesso.

Resta però che il puro sesso (che credo significhi qualcosa come un lasciarsi sopraffare dall’istintto) è una degradazione. (Ma ci tornerò, spero).

 

La consulenza filosofica

Domani, a Pisa, iniziano in pompa ed aula magna. Un parere (non accademico) su questo inizio.

Qualcuno era riformista

(E’ la prima volta che scrivo un testo lungo del genere sul blog. Prego di considerare il testo rivedibile, invito anzi tutti a rivederlo, se non altro per questa ragione: che è scritto di getto. Non ho il tempo di rileggere e aggiustare. Se interessa, vedremo in seguito di farlo).

E’ difficile provare a rispondere all’appello di Giuseppe Caliceti (Spiegateci, vi prego, cosa è il riformismo), e poi io non sono uno dei politici a cui si rivolge l’appello. Nessuna risposta è possibile se non si comprende bene l’orizzonte di provenienza della domanda – poiché le domande non vengono mai da sole, e ai miei studenti dico sempre: se vi domandano: ‘cos’è la filosofia?’, domandate a vostra volta: ‘perché lo chiedi? cosa vuoi sapere? cosa ti aspetti che sia?’ –. L’orizzonte della domanda di Caliceti non mi è del tutto chiaro. Sembra che abbia implicitamente in premessa una cosa come: al punto in cui siamo arrivati… E’ una premessa che non condivido.
L’appello comincia con un: sì, lo so, non è il momento, ora ci sono le elezioni, bisogna fare quadrato, non bisogna strumentalizzare, però bisogna pure che qualcuno ci dica che cos’è. Che cos’è illriformismo? E’ governare la modernizzazione? E ‘modernizzazione’ è solo un altro nome per ‘capitalismo’? Oppure vuol dire solo “individuare qualche segmento del mondo industriale o finanziario locale o nazionale da contrapporre a un altro blocco politico-finanziario”? O c’è dell’altro?
Io provo a rispondere come se Caliceti non abbia particolari malizie e pensi veramente che c’è dell’altro nel riformismo italiano, anche se temo che Caliceti pensi che non ci sia nient’altro che “trasformismo”, come in ultimo domanda.
E allora. Stando al vocabolario, bisogna che il riformista sia uno che pensi che lo Stato e la società italiana debbano essere riformate. Poiché qui si tratta del riformismo della sinistra, bisogna che il riformista in questione sia uno che pensi che le riforme vadano nel senso di una maggiore uguaglianza di opportunità e di una maggiore inclusività sociale.
A questo significato minimo, che contiene un primo principio di distinzione destra/sinistra, credo si possano aggiungere queste altre dimensioni di significato della parola. Mi limito ad elencarle, poiché non credo, o almeno non so se vi sia bell’e pronto un quadro teorico-sistematico dentro il quale collocarle. E così tiro fuori un’altra caratteristica saliente del riformista: riformista è uno che sospetta dei quadri teorici-sistematici, o che perlomeno è disposto a farsi istruire dalle cose come sono e tiene un elenco, ma lo tiene aperto.
Allora. Riformista è uno che è molto, ma molto riluttante a rinunciare a un miglioramento concreto e reale perché questo ‘fa il gioco del nemico’ (en passant: ne viene che mi posso definire riformista almeno in questo senso, che ho accettato di rispondere all’appello di Caliceti, benché non fosse rivolto a me, ma ‘ai politici di sinistra’, senza timore di fare il gioco del nemico). Invito Caliceti a considerare quanta parte della storia della sinistra sia stata condizionata da questo maledetto ‘gioco del nemico’ (domanda: è per caso successo anche a Nazione indiana, in passato?): avrà, credo, già un primo quadro della cultura politica che può alimentare una proposta riformista.
Ancora: riformista è uno che è molto, ma molto riluttante a rinunciare a un miglioramento concreto e reale in nome di qualche supposta coerenza teorica. Il riformista non è per questo uno che si adagi a credere che ‘in teoria va bene, però in pratica…’. No: ha un’idea alta di teoria, però è anche disposto a lasciarsi istruire dalle cose come sono, e pensa dunque che quel che in quel tal caso si presenta come coerenza teorica è solo ostinazione ideologica.
Ma così mi sto tenendo ancora sulle generali. Ovviamente non ho la pretesa di stendere un programma di governo, però posso venire un po’ più incontro a Caliceti, e aggiungere.
Riformista è uno che sa bene che ci sono le libertà individuali e civili, e che ci sono le disuguaglianze sociali. Sa che non si possono subordinare senz’altro le prima alle seconde, e sa anche che le prime, prese per sé sole, non cancellano le seconde (non è un liberista a 24 carati!). Sicché non ha una soluzione definitiva. A volte penserà che si può lasciar fare alle prime, altre volte penserà che bisogna intervenire per limitare le seconde. In relazione a determinati beni sociali, penserà che bisogna irrobustire le prime, in relazione ad altri beni penserà che bisogna anzitutto sanare le seconde. Il riformista è uno che, dentro il quadro delle moderne liberal-democrazie, sa che il trattino che unisce i due termini contiene una tensione: non crede di poterla risolvere del tutto, non crede che quel che promette un termine dia naturalmente quel che promette l’altro (però sa bene che anche il secondo termine contiene una promessa, non l’ha dimenticato). Si preoccupa dunque che fra i due termini non ci sia rottura né fusione. A volte è a mal partito, perché gli tocca di ricordare ai liberisti le promesse inclusive della democrazia, e ai democratici le promesse ‘esclusive’ del liberalismo (ci sono anche quelle).
Non credo che definisca in generale l’identità del riformismo, ma credo che quello che ora aggiungo valga per una buona parte del riformismo italiano. (Ed è forse quello che crea maggiori problemi a sinistra, per la faccenda del gioco col nemico) Io credo che gli attori politici che si dicono coerentemente riformisti immaginino che buona parte della società italiana sia bloccata, che maggiori elementi di dinamismo vadano introdotti ad esempio nel mondo bancario, o in quello delle professioni, o della ricerca. Credo che immaginino pure che in troppi luoghi corpi sociali lucrino rendite di posizione, e sono disposti a entrare in urto con una qualche parte della loro tradizionale base sociale, per modificare questo stato di cose. Che si tratti di magistrati o di camionisti, di benzinai o di farmacisti. O di professori universitari (i professori!).
Il riformista è di solito un consequenziarista: valuta cioè uno strumento (ivi compresi il mercato e la concorrenza) in base alle conseguenze. E tra le conseguenze non include solamente la maggiore efficienza, la maggiore produttività e neppure anche solo il maggior reddito individuale. Tra le conseguenze include anche gli effetti sul livello di uguaglianza e di pari opportunità tra i cittadini, anche se sa che non può mai prendere a pretesto l’eguaglianza per tollerare l’inefficienza (che spesso finisce col produrre maggiore diseguaglianza). E quanto all’efficienza, può aggiungere che in verità non tutti i beni sociali si lasciano misurare secondo un concetto economicistico di efficienza. (L’efficienza di una scuola, per esempio, per me si misura anche dal numero di libri presi in prestito dalla biblioteca scolastica, o addirittura in base alla qualità dei film che in qualche modo risulti che gli studenti apprezzano).
Sin qui mi sono tenuto dentro i limiti dell’azione politica come immagino che si disegni dentro il quadro delle liberal-democrazie nei paesi occidentali avanzati (quello che ho supposto fosse alle spalle dello stesso appello di Caliceti). Non è però l’unico quadro, e so anche che è solo una finzione metodologica quella che mi consente di parlarne separatamente dal resto del mondo. Ma non voglio scrivere su la vita l’universo e tutto quanto. Non, almeno, in una volta sola.
C’è però un altro punto che voglio in conclusione brevemente toccare, e che in verità mi sta molto a cuore (per ragioni, diciamo, professionali). Sul piano teorico, la sinistra (marxista ma non necessariamente) ha condotto così a fondo la critica/decostruzione dei concetti fondamentali del lessico politico moderno, che per esempio anche concetti cardinali come quello di ‘individuo’ o di ‘diritti umani’ finiscono col riuscire politicamente sospetti, e ideologicamente compromessi. Come riformista, io posso anche dire: a ragion veduta (cerco di vedere sempre le ragioni, io), e voglio tenere sempre presente questo genere di critica, e il modo in cui assilla le false rappresentazioni e le buone coscienze. Però non voglio privarmi di quei concetti, perché ‘fanno il gioco del nemico’. Voglio sapere che sono traballanti, che hanno la loro buona quota di finzione, ma non voglio sostituirli finché mi manca qualcosa di meglio.
Dirò di più (ed è il punto): proprio da quel genere di critica io posso apprendere che non sempre l’altezza alla quale quella critica funziona e invita ad agire è quella dell’azione statale e dello spazio istituzionale. Io (lo confesso) non incontro una donna come ‘individuo’, ma questo non significa che è semplicemente falsa la sua rappresentazione giuridica come individuo, né significa che il mio incontro non abbia la sua verità. Tutt’altro: magari ne ha di più, ma questo non significa che il diritto debba sempre essere improntato a questa verità. Temo questo genere di rettificazioni. Che le relazioni tra gli uomini si dispongono secondo linee diverse e non sempre convergenti mi impegna, come riformista, a non pretendere di cancellare queste differenze e anzi a valorizzarle. Ma anche a sapere che, proprio perciò, questa valorizzazione non occorre che si faccia sempre e necessariamente discorso e azione politico-statuale. (E che, se questo non accade, muoia Sansone con tutti i filistei).
In questo modo io credo di poter mettere a profitto certe radicalità di analisi filosofico-politica, e un impegno concreto in vista di ciò che è possibile fare.

Tanto di cappello

Ernesto trova molto ragionevole quanto affermato dal dottor Joseph Nicolosi su Studi Cattolici:

"Io non penso che l’omosessualità sia normale. La popolazione omosessuale è circa il 2 %, 1.5 – 2 %. Perciò statisticamente non è "normale" nel senso che è molto diffusa. Oltre a questo, non è nemmeno normale in termini di natural design2. Quando parliamo di legge naturale, e della funzione del corpo umano… quando guardiamo alla funzione del corpo umano, l’omosessualità non è normale. E’ un sintomo di qualche disordine. La normalità è ciò che adempie ad una funzione in conformità al proprio design; questo è il concetto di legge naturale – e in questo senso l’omosessualità non può essere normale, perché l’anatomia di due uomini, i corpi di due uomini, o due donne, non sono compatibili".

Nei commenti, io gli chiedo se non sia il cas di distinguere tra normalità statistica, scientifica e morale, allarmato in particolare dal riferimento al concetto di legge naturale. Risposta di Ernesto: normale "ha un significato chiaro già così com’è. Per essere più chiari: la distinzione che tu dici non c’è nelle parole di Nicolosi, non c’è nelle mie, e non c’è in quelle di Sofri e compagni. Normale significa normale".  Normale significa normale, e in mancanza di distinzioni anormale è immorale. Eppure, in foto, Ernesto sfoggia un cappello che proprio normale non è.

Counicazione di servizio

Qualche post fa, qualcuno mi disse che esistono altri fornitori del servizio referrer che non lanciano finestre pubblicitarie. O qualcuno, puoi per favore ricordarmi quali?

Per foreste e per valli

Studente friburghese! Studente tedesco! Apprendi, sperimentando, e sappi che quando, durante le tue vacanze e nelle tue escursioni ti addentri nelle valli e tra i boschi della Foresta nera calpesti la terra natia [Heimat] di questo eroe: i monti in mezzo ai quali il giovane figlio di contadini crebbe sono granito e pietre antiche, che da lungo tempo contribuiscono a forgiare la volontà. Con volontà ferma e purezza di cuore Albert Leo Schlageter affronta la propria morte, la più difficile e grande.
Studente friburghese, lascia che la forza dei monti della terra di questo eroe scorra nella tue volere!
Studente friburghese, lascia che la forza del sole autunnale della terra natia di questo eroe risplenda nel tuo cuore!

Professor Heidegger, a me la città non dispiace!

(Ancora a proposito di Heidegger e il nazismo, e della conferenza di Duque di domani su Heidegger e Schlageter. Il testo della commemorazione, da cui cito, è tradotto qui)

Il quinto profilo: vita e filosofia

Sulla questione Heidegger e il nazismo non sono il più titolato a parlare, da un punto di vista storico-storiografico: se tuttavia ripropongo la questione è perché ha qualche rilevanza, in essa, la questione generale del rapporto fra vita e filosofia. La quale non si può affrontare recidendo il legame, ma neanche riducendo la filosofia a visione del mondo di una vita individuale. Significa questo che la filosofia di Heidegger ha qualche rapporto con le sue scelte di vita? Temo proprio di sì. Mentre mi avvicino pericolosamente al profilo 4, mi domando però: significa che questo rapporto può essere descritto come una introduzione del nazismo in filosofia (E. Faye)? Risposta (con la quale scarto dal profilo 4, trovo più rispondente al vero qualcosa che sta tra il 2 e il 3, mi accorgo che però la fanno troppo facile, derubricando la cosa a una faccenda che non interessa la filosofia, e così immagino un profilo 5): Penso di no, specie se con ciò s’intende l’asservimento ideologico della filosofia a determinate scelte politiche. Se la mettessi così, non manterrei affatto la tensione fra vita e filosofia, ma risolverei senz’altro il loro rapporto nel senso di una dipendenza della seconda dalla prima. E allora? In una forma semplificata con la quale vi risparmio un lungo discorso sull’ontico e sull’ontologico, sull’essere e l’esistenza, ecc. ecc., io la metterei così (pregandovi di intelligere: non ridere, nec lugere, neque detestari): se la filosofia è scienza dell’essente in quanto essente, la vita di cui parliamo non sta semplicemente dal lato della ‘scienza’, declassandola ad un certo modo (ideologico e aberrante, oppure soltanto meschino) di vedere l’essente, ma dal lato dell’essente, di cui costituisce ahimè una possibilità fondamentale. Il nazismo è una possibilità di mondo, e il mondo (il mondo stesso) è quella cosa che può essere (anche) immonda.
 
(In che misura Heidegger abbia pensato che quella fosse la possibilità autentica, questo è proprio ciò su cui non ho titoli particolari).

Lavoro intellettuale

Iincerto se occuparmi dello scioglimento delle Camere o della riduzione delle forniture di gas, della crisi Alitalia o delle elezioni portoghesi, di Giorgio Rocca o della Juve ammazza-campionato, ho preferito dedicarmi su Leftwng al vero tema del momento: il Grande Fratello. E poi dite che a sinistra siamo antipatici.

(La goccia è Wittgenstein: La chiave della filosofia)