Le trombe dell'apocalisse e Homer Simpson

(Walter si è quasi convinto a bloggare. Per ora ricevo e volentieri pubblico:)

Si parte dalla differenza fra mondializzazione e globalizzazione: 

1)       Mondializzazione: mundus, khosmos, organizzazione che è insieme ‘pulizia’: rapporti bene ordinati – il sogno della razionalità universale perseguito dal principio rivoluzionario fondantesi sulla autoreferenzialità del nichilismo egologico (soggettività trascendentale kantiano/fichtiana). La sua definizione in formula potrebbe essere: Demo-theo-crazia, ove il concetto di Dio si dissolve ed invera nel mondo ‘macchinale’ della organizzazione del tutto: cibernetica.

2)       Globalizzazione: qui il principio ‘cibernetico’ non funziona più. Globo rinvia piuttosto alle carte di esplorazione, alla loro continua estensione guidata dalla necessità di corroborarsi continuamente attraverso la trasgressione, nutrendosi dei ‘rifiuti’, come in un circolo continuo di autoalimentazione (necessità di produrre ‘dall’interno’ il nemico (il terrorista islamico, ad esempio) come funzionale al perpetuarsi del sistema).
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Il tramonto del sogno della mondializzazionenè iniziato con il crollo del muro di Berlino. Il trionfo attuale dellanglobalizzazione si regge sul presupposto della necessità della ‘barbarie’nper consentire il continuo auto-riprodursi del sistema. Sotto questo profilo,ngli USA credono ancora (devono crederlo, e ‘fingere’ che le cosenstiano così) che ci si trovi al cospetto di una guerra di Stati, mentre inrealtà si tratta, piuttosto, di ciò che ‘all’interno’  delntardo-capitalismo ( come un’infezione virale, una malattia deformante, o comenla propria stessa immagine deformata, ritornante al modo di uno spettro) sininnalza quale negazione di ogni ‘proairesis’, di ogni calcolonoggettivo in vista di uno scopo (perfetta coincidenza del passato ideale nelnfuturo già realizzato). È la finzione dei ‘Neo-con’: dobbiamo continuarennella finzione della lotta uno stato, mentre in realtà si tratta d’unaninfezione virale, che percorre dall’interno l’occidente medesimo.

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Oggi ci troviamo piuttosto alncospetto di una logica reticolare, ‘vermicolare’, che sfugge adnogni identificazione univoca, e che è governata dalla necessità dellantrasgressione per rinforzare se stessa (dalla necessità del terrorismo comenauto-legittimazione). Le si contrappone un sistema (erede del nichilismo mitico/misticondel ritorno ad una origine incontaminata) che insegue ‘terroristicamente’nil ritorno all’origine come cancellazione del tempo.

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All’origine del tutto vi è ilnconcetto di controllo della natura (Bacon, Cartesio) fino alla scomparsanassoluta della sua gravità/gravezza, fino alla scomparse d’ogni residuo ‘sensibile’ncorporeo. Fino alla scomparsa del dolore, alla scomparsa della morte (assolutanriproducibilità del tutto: scambio degli organi, inibizione del dolore chensignifica inibizione della memoria epperò dissoluzione della storia).”,1]
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Il tramonto del sogno della mondializzazione è iniziato con il crollo del muro di Berlino. Il trionfo attuale della globalizzazione si regge sul presupposto della necessità della ‘barbarie’ per consentire il continuo auto-riprodursi del sistema. Sotto questo profilo, gli USA credono ancora (devono crederlo, e ‘fingere’ che le cose stiano così) che ci si trovi al cospetto di una guerra di Stati, mentre i realtà si tratta, piuttosto, di ciò che ‘all’interno’  del tardo-capitalismo ( come un’infezione virale, una malattia deformante, o come la propria stessa immagine deformata, ritornante al modo di uno spettro) si innalza quale negazione di ogni ‘proairesis’, di ogni calcolo oggettivo in vista di uno scopo (perfetta coincidenza del passato ideale nel futuro già realizzato). È la finzione dei ‘Neo-con’: dobbiamo continuare nella finzione della lotta uno stato, mentre in realtà si tratta d’una infezione virale, che percorre dall’interno l’occidente medesimo.

Oggi ci troviamo piuttosto al cospetto di una logica reticolare, ‘vermicolare’, che sfugge ad ogni identificazione univoca, e che è governata dalla necessità della trasgressione per rinforzare se stessa (dalla necessità del terrorismo come auto-legittimazione). Le si contrappone un sistema (erede del nichilismo mitico/mistico del ritorno ad una origine incontaminata) che insegue ‘terroristicamente’ il ritorno all’origine come cancellazione del tempo. All’origine del tutto vi è il concetto di controllo della natura (Bacon, Cartesio) fino alla scomparsa assoluta della sua gravità/gravezza, fino alla scomparse d’ogni residuo ‘sensibile’ corporeo. Fino alla scomparsa del dolore, alla scomparsa della morte (assoluta riproducibilità del tutto: scambio degli organi, inibizione del dolore che significa inibizione della memoria epperò dissoluzione della storia).
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Inibizione del crattere ‘grave’n(secondo il suo duplice senso) del corpo, e trionfo piuttosto della suanleggerezza (estetismo diffuso, nichilismo ludico).

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Lo sfondo teorico è qui governatondalla distinzione fra ‘orrore’ e ‘terrore’:

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1) orrore è l’espulsione/negazionendell’altro con l’esasperazione della bellezza attraverso lanbruttezza: brutalità/deformazione e dunque trasposizione della propria malattiannei corpi altrui (il mostro che ci insidia e che dobbiamo combattere). L’orrorenproduce il timore di parlare della propria stessa alterità, della proprianstessa malattia, della propria malattia, per non parlare poi della ‘indecenza’ndella morte. Di qui i capisaldi su cui fa leva il nuovo potere internazionale:nfuori c’è il nemico, non uscite di casa, evitate il contatto con l’altro,nl’unica relazione possibile è quella ‘pulita’ delle relazioninvirtuali, delle reti telematiche.

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2) Terrore è piuttosto l’esasperazionendel sublime fino a che non ritorna come un alcunché di inospitale, un-heimlich,ncome se si fosse ‘spostati’ in un paese dove più non vale alcunnprincipio di ragione, e ancor di più, dove non vale il PNC. Si è ‘gettati’nal cospetto della alterità assoluta.

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Cosa ‘resta’, allora?

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Inibizione del crattere ‘grave’ (secondo il suo duplice senso) del corpo, e trionfo piuttosto della sua leggerezza (estetismo diffuso, nichilismo ludico). Lo sfondo teorico è qui governato dalla distinzione fra ‘orrore’ e ‘terrore’:

1) Orrore è l’espulsione/negazione dell’altro con l’esasperazione della bellezza attraverso la bruttezza: brutalità/deformazione e dunque trasposizione della propria malattia nei corpi altrui (il mostro che ci insidia e che dobbiamo combattere). L’orrore produce il timore di parlare della propria stessa alterità, della propria stessa malattia, della propria malattia, per non parlare poi della ‘indecenza’ della morte. Di qui i capisaldi su cui fa leva il nuovo potere internazionale: fuori c’è il nemico, non uscite di casa, evitate il contatto con l’altro, l’unica relazione possibile è quella ‘pulita’ delle relazioni virtuali, delle reti telematiche.

2) Terrore è piuttosto l’esasperazione del sublime fino a che non ritorna come un alcunché di inospitale, un-heimlich, come se si fosse ‘spostati’ in un paese dove più non vale alcun principio di ragione, e ancor di più, dove non vale il PNC. Si è ‘gettati’ al cospetto della alterità assoluta.

Cosa ‘resta’, allora? Non certo la soluzione che addomestica l’altro al modo dell’alter ego, o quella ‘buonista’ che si regge sulla ipotesi ‘rassicurante’ dell’operazione umanitaria, o del principio neo-colonialistico della tolleranza assimilante. Né tantomeno regge l’ipotesi, anch’essa rassicurante, dello scontro di civiltà. Anche all’interno di tali prospettive ci si espone al ritorno dell’altro. Ad un altro che torna, ma sotto le sembianze del fantasma. È anzi questo, oggi, il senso del terrore allo stato puro: il ritorno reale/mortifero dell’altro, ma attraverso la sua simulazione mediatica in immagine. È ancora il gioco della deformazione che qui emerge.

Si tratta d’un circolo vizioso e perverso: oggi Il vero terrorista appare come paradossale incarnazione ‘fantasmatica’ dell’idea di terrorismo prodotta dall’occidente terrorizzato, cui il terrorista stesso a propria volta si ispira per terrorizzare l’occidente con i suoi stessi fantasmi. Sicché l’altro torna, ma non come esso ‘realmente’ crede di essere, ma mediante l’immagine prodotta dalla paura provata nei suoi confronti. Di tale paura verso di esso si alimenta la spirale del terrorismo.

Questo ritorno – per via ‘terroristica’ – dell’altro, appare a ben vedere funzionale alla auto-riproduzione del potere occidentale (nella sua forma tecnicizzata del tardo-capitalismo). Anzi, esso agisce come reagente per rinforzare valori che l’occidente si era già lasciato alle spalle. Duque cita autori come la Fallaci in Italia o Houllebecq in Francia, che dovrebbero coerentemente ‘ringraziare’ il fondamentalismo e il terrorismo, perché adesso, grazie ad esso, appare possibile riscoprire valori che nella disseminata mescolanza del post-moderno, rischiavano di dileguare.

Ma forse le radici del ‘male’ sono dentro di noi, più che di fronte a noi, più che nell’altro da negare.

Cosa ‘resta’, ancora una volta? Forse ‘soltanto un dio ci può salvare’ (Heidegger)? Quale dio può salvarci, oggi, nell’età finzionale dell’immagine, nella corporeità ridotta a design, fra tutti noi che forse non siamo più altro che personaggi da cartoon?

Homer Simpson, distratto, non si rende conto d’aver imboccato la strada sbagliata e che, lungo il molo del porto, sta per precipitare con la sua auto in mare. È allora che per la prima volta si lancia in una disperata invocazione: “Io non ho mai avuto fede, non ho mai creduto in te, nella tua esistenza…ma ora, in questo momento fatale, io mi rivolgo a te, ti prego, se esisti, ora manifesta la tua potenza. Ti prego salvami….

….Superman!!” 

Cosa resta? Forse restano i ‘resti’…

(Avete letto il resoconto della settimana filosofica di Felix Duque a Napoli)

3 risposte a “Le trombe dell'apocalisse e Homer Simpson

  1. …si resta nel dis/astro, e non c’è speculazione che possa salvare dalla paura che forgia lo sguardo. L’orizzonte (di senso) si fa sempre più ristretto, coincide con il confine in/dividuale, con il proprio. L’im/proprio va eliminato, e basta. Stamani in classe ho parlato con dei ragazzi – troppi, umanamente troppi – che difendevano (a spada tratta) la legge che consente di dare la morte a chi ti ruba in casa. Tematizzavano – a partire dalla propria paura – la giustizia (e pensare che stavamo leggendo l’Eutifrone) del poter dare la morte per la violazione della proprietà individuale (sacra e inviolabile). L’ordine del terrore globale comincia dal terrore cieco in/dividuale. (E se per Girard è il dio incarnato che salva dal circolo vizioso, noi non possiamo che spezzarlo in più punti, quel circolo, in una deriva stellare che tagli obliquamente – con una strategia obliqua, come diceva Brian Eno – violenza e diritto).

  2. caro massimo, so che sono in debito proprio rispetto ‘i resti’; ma per la scrittura non è una fase ‘felice’: a volte serve ‘silenzio’.
    spero mi capirai…

    emilio/millepiani

  3. Continuo a credere che questo giocare dialetticamente tra interno (Occidente) ed esterno (Islam) sia, da ambo le parti, un buon esercizio teoretico ma sterile quando c’è da applicarlo al mondo. Dobbiamo sfuggire tanto allo “scontro di civiltà”, per cui è l’esterno che ci ha improvvisamente minacciato perché non poteva che accadere così, quanto alla tesi opposta per cui non c’è un esterno ed è tutto un problema interno a noi (tardo-capitalismo, Occidente, bla bla) e quindi è, ancora una volta, colpa/causa nostra.

    Riguardo, poi, al terrore individuale che sarebbe cominciamento di quello globale, mi si permetta una chiosa “piccoloborghese”: il ladro entra in casa, le Torri Gemelle vengono abbattute… Non è poco.

    Saluti

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