Al viaggiatore che s’incammina verso le sue mura, fanno da segnavia i filari delle viti, mentre il borgo s’indovina di lontano, quasi sospeso. Talvolta una sottile foschia contribuisce ad arricchire l’ascesa di aspettative segrete. Man mano l’alto poggio si offre sempre più nitido allo sguardo e infine – come a disegnarsi con tratti sapienti – il profilo di Montalcino appare. Si eleva sulle valli dell’Ombrone e dell’Asso, rivelando nella struttura dell’abitato la permanenza pressoché integra della impostazione medioevale: l’intero nucleo urbanistico si dirama secondo direttrici lineari a partire dalla sommità, su cui domina, con forte impatto scenico, la mole severa del castello. In tal modo l’impianto fortificato si erge a presidio dell’unico accesso naturale al colle, ed insieme recinta il tessuto urbano, difendendo e governando la disposizione degli spazi, la gerarchia dei luoghi. Entro una orditura rigorosa – in ossequio al concetto medioevale dell‘Ordo tripartitum – si dispongono le vie e gli edifici, con i compiti ad essi intrecciati: la funzione civile e militare, la missione religiosa, lo spazio residenziale non disgiunto dall’attività economica. E l’attività economica, per Montalcino, si è sempre coniugata nel corso dei secoli con la valorizzazione del territorio, dal lavoro nei boschi alla cura dei campi, manfestando le sue virtù anzitutto attraverso la coltivazione della vite. Fin dal Medioevo, appunto, erano ad esempio celebri le uve da cui veniva ricavato – e si ricava tuttora – il ‘Moscadello di Montalcino’, vino dolce di sorprendente piacevolezza, cantato anche dal Redi in un suo ditirambo: "Quel sì divino e leggiadretto moscadelletto di Montalcino". Ma è sul finire dell’Ottocento che le potenzialità ‘enologiche’ del terra di Montalcino giunsero ad esprimersi integralmente, rivelandosi nel loro assoluto valore. Nella tenuta ilcinese “Greppo”, per opera prima di Clemente Santi ed in seguito del nipote Ferruccio Biondi-Santi, fu sperimentata – contrariamente all’uso del tempo che voleva si integrassero differenti uve al vitigno base – la produzione del vino mediante la vinificazione di un solo vitigno, il Sangiovese Grosso, nella sua sottovarietà nota nel territorio di Montalcino con il nome di ‘brunello’. Dopo attente verifiche, accompagnate da tenacia e passione, maturò la stupita consapevolezza di trovarsi al cospetto d’un vino dalla stoffa superiore, forse senza pari nel panorama enologico italiano.
Oggi la produzione del Brunello di Montalcino è regolata secondo un rigoroso disciplinare, il quale impone che sia prodotto esclusivamente entro il comune di Montalcino, ricorrendo solo al vitigno Sangiovese Grosso (nella varietà ‘Brunello’). L’affinamento in legno obbligatorio è di due anni, in botti di rovere, più quattro mesi in bottiglia (sei per la versione Riserva). L’immissione al consumo può avvenire soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla vendemmia (sei per il Brunello ‘Riserva’). Vincolanti sono anche le modalità di confezionamento, in base alle quali il Brunello di Montalcino può essere posto in commercio esclusivamente impiegando bottiglie di forma cosiddetta ‘bordolese’. Può avere una componente alcolica minima di 12,5° e si presta al lunghissimo invecchiamento, al punto che presso i più ‘antichi’ produttori di Brunello – i Biondi-Santi appunto – si conservano ancora bottiglie risalenti all’anno 1888, in piena vitalità.
Occorre degustarlo ad una temperatura di circa 18°C-20°C.
Si rispetti, per questo vino, il rito quasi sacrale dell’assaggio, senza dimenticare che per le bottiglie delle annate più antiche è consigliabile la decantazione in caraffa di cristallo, al fine di favorirne l’ossigenazione e di proporre il vino cogliendo al meglio la purezza del frutto. Lo si versi poi in panciuti bicchieri – sempre di cristallo – di modo che la forma ampia consenta agli aromi di sprigionarsi in tutta la loro ricchezza. Già allo sguardo il Brunello si rivela vino di nobiltà superiore. Non si può infatti sfuggire alla suggestione offerta della sua preziosissima tessitura cromatica: si colga l’intensità del rosso rubino del vino ancor giovane, poi ci si sorprenda, col trascorrere del tempo e dell’invecchiamento, ad ammirarne il denso granato con le sue venature aranciate. Anche il bouquet si dispiega in un composito ventaglio d’aromi, ove con eleganza ed equilibrio è possibile riconoscere i frutti del sottobosco (le more, anzitutto), la marasca e la visciola, la prugna matura. Vi si amalgamano, in trama fitta e avvolgente, richiami floreali (viola), suadenti note di spezie orientali e poi vaniglia, tabacco, sentori balsamici. Alla bocca s’impone la spessa densità dei tannini, il tono sontuoso ed elegante, con passaggi gustativi potenti ma insieme armonici e vellutati, di lunga persistenza.
La scelta degli abbinamenti esige d’essere arricchita con molteplici richiami. Si beva dunque il Brunello ascoltando Bach – dai Mottetti alle Cantate, sino ai vertici della Messa in si minore e della Passione secondo Matteo – si torni con gli occhi ai chiaroscuri del Caravaggio. E poi se ne accompagni la degustazione con pagine forti e solenni, dalla Divina Commedia, alle Poesie di Hölderlin, al Doktor Faustus di Thomas Mann.
Il Brunello ha doti di tale valore da renderlo anche un pregevolissimo vino da meditazione. Si presta perfettamente dunque alle letture filosofiche, da Platone – al quale sempre il pensiero è chiamato a tornare – alle pagine barocche di Leibniz, a Hegel (penso anzitutto alla Fenomenologia dello Spirito), ai ‘sentieri interrotti’ di Heidegger, cui ci affidiamo per pronunciare le parole conclusive:
«C’è acqua, c’è vino da bere.
Nell’acqua che viene offerta permane la sorgente. Nella sorgente permane la roccia, e in questa il pesante sopore della terra, che riceve la pioggia e la rugiada del cielo. Nell’acqua della sorgente permangono le nozze di cielo e terra. Questo sposalizio permane nel vino, che ci è dato dal frutto della vite, nel quale la forza nutritiva della terra e il sole del cielo si alleano e si congiungono. Nell’offerta dell’acqua, nell’offerta del vino permangono ogni volta cielo e terra».
(By Walter)