Il mio pensiero abissale

Se Dio c’è, tutto è permesso.

29 risposte a “Il mio pensiero abissale

  1. Ma non tutto è lecito.

    Bernardo

  2. utente anonimo

    se c’è la polizia, non tutto è permesso (né lecito)

    bg

  3. Ma non tutto giova.

  4. Se Dio c’è, è permesso che ci sia la polizia.
    Giova a chi?

  5. In questa sede è assai difficile (lo spazio è quello che è e la questione non è da poco).
    Se Dio c’è è essenza e verità di tutte le cose che il linguaggio dell’uomo descrive metaforicamente (cioè da un’analogia e per una differenza: il peccato originale, che scinde – dàimon – la verità della cosa dalla verità della conoscenza). Se Dio c’è tutte le cose hanno quindi una loro essenza e una loro verità assolute in ordine a questo fatto. Ciò comporta che: 1) tutto è permesso nel senso che nulla avviene al di fuori della volontà assoluta di Dio; 2) tutto è permesso all’uomo perché l’esserci che Dio è, nel suo necessario sottrarsi al dominio della metafora (e a quella che altrove ho chiamato la “coscienza della catacresi”), trascina con sé ogni essenza e ogni verità, a un tempo fondando, giustificando e costituendosi giudice della libertà dell’uomo, del suo potere e del suo smarrimento; 3) non tutto è lecito perché la legittimità della metafora, che sta nella sua libertà, non ne implica la liceità, che sta, invece, nella verità che la metafora stessa deve cancellare per avere luogo (e che è nell’esserci di Dio): l’intuizione della liceità è nell’uomo in virtù della “descrivibilità” figurale della metafora per cui egli potrà liberamente determinarsi per l’analogia, cioè secondo l’intelletto, senza tuttavia poter mai trascendere l’analogia nell’identità (la verità), o per la differenza, cioè secondo la volontà, senza però poter mai fondare la pienezza radicale di un pensiero antidivino (una verità sostanzialmente antitetica).
    Perdoni l’esposizione molto succinta ma da lei so di poter essere inteso.

    Bernardo

  6. Se Dio c’è (data una certa idea di Dio), tutto è permesso (nulla viene impedito a colui che può scegliere, ovvero che ha più opzioni).
    Il tutto permesso non è indifferenziato. Non tutto giova a colui che si può giovare del permesso.
    luigi

  7. Nulla viene impedito, e nulla viene anche sanzionato?
    Non tutto giova a colui che si giova, ma di quale giovamento parliamo? Anche della salvezza spirituale?
    (Sulla libertà, un’altra volta)

  8. bernardo, lei intende dire: “oggi vediamo come dentro uno specchio ma un giorno vedremo faccia a faccia”? sì, l’imperfetto disseminato, il perfetto raccolto. vediamo perché abbiamo visto. così?

    bg

  9. il daimon non scinde, bernardo, ma mette in relazione. forse voleva dire il diavolo, da diaballo, separare?

  10. (la libertà l’hai introdotta tu con il “permesso”).
    la sanzione è il mancato giovamento. quale giovamento? questo presuppone un discorso sull’uomo (e il suo bene da giovare). Per ora certo è che non tutto ciò che è permesso giova, altrimenti gioverebbero A e insieme nonA.
    ld

  11. Lo stige: A o nonA!

  12. utente anonimo

    Sì, sì: A o non A è lo Stige (battitura veloce)
    AZ PAR

  13. Uhm, ma sai che potresti anche avere ragione…

  14. utente anonimo

    se dio non c’è, questo non implica che manchi la polizia
    😉

    bg

  15. bernardo, lei intende dire: “oggi vediamo come dentro uno specchio ma un giorno vedremo faccia a faccia”? sì, l’imperfetto disseminato, il perfetto raccolto. vediamo perché abbiamo visto. così?

    La fa molto “paolina”, caro bgeorg. 😉
    Non che non mi stia bene, per carità, ma c’è di più. Io ho trattato della conoscenza dalla parte della morale assumendo inoltre il punto di vista di Massimo: “se Dio c’è”. Comunque sia, certo, noi non viviamo nella verità delle cose ma in quella delle metafore ed è il linguaggio stesso che, raffigurandosi come pura metafora, ci lascia intuire l’essenza, la verità che deve cancellare, e secondariamente anche molte altre cose come il vizio, la virtù, ecc. (sono concetti che ho espresso a suo tempo nella mia critica alla considerazione derridiana della metafora della scrittura). Ciò è evidente nella marginalità dell’arte (che ha quindi un rilievo etico di primissimo piano), dove l’uomo chiama creazioni quelle che sono, in realtà, mediazioni dal già mediato (il piglio più o meno prometeico è irrilevante e fa parte, casomai, del teatro dell’arte, della sua rappresentazione). Il linguaggio metaforico è quindi creativo ma non creatore mentre la creazione è prerogrativa della Parola divina (che è un parlare tra sé e per sé, un dialogo che sempre comprende tutto, nell’assoluta relazione col silenzio che armonizza azione e contemplazione, intelletto e volontà).

    il daimon non scinde, bernardo, ma mette in relazione. forse voleva dire il diavolo, da diaballo, separare?

    No, sono sempre piuttosto preciso nell’uso delle parole. Mi legga meglio. 🙂

    Bernardo

  16. be, la parte “morale” mi interessava meno. mi premeva di più comprendere se avevo intuito bene la sua concezione della metafora e del linguaggio (su cui non concordo punto, ma come lei dice, qui sarebbe lungo, e poi chisse di ciò che penso? 🙂 ).

    (concordo di più su quella dell’arte: mediazione del mediato… Io dico di solito piegatura di piegatura, mi sa che siamo lì)

    salut
    bg

  17. il signor bernardo risponde (a chi gli fa notare che: “il daimon non scinde, bernardo, ma mette in relazione”): “No, sono sempre piuttosto preciso nell’uso delle parole. Mi legga meglio.” solo che daimon – dalla radice indoerurope da* di daiomai, dainumi – è proprio colui che dispensa, dà in sorte. con il concetto di scissione non c’entra proprio nulla. signor bernardo, già non si capisce niente di quello che dice, e una fa fatica a fidarsi e a credere che lei sappia ciò che dice. se poi non ammette neanche i suoi errori plateali, quel po’ di voglia di darle credito svanisce… su via, può anche ammettere di avere toppato… paola

  18. Credo che il problema, cara paola, sia in questo:

    signor bernardo, già non si capisce niente di quello che dice

    Ecco, lei non capisce niente di quello che dico (bgeorg invece sì, mi pare). Ma non è colpa mia, non è cattiveria, mi creda. 😉
    Quanto al daimon, no, le assicuro che è proprio daimon. Basta capire ciò che ho scritto (ma lei, come ha ben confessato, non ci capisce nulla). 😉

    bgeorg:

    Sì, siamo lì.
    Invece m’interessa sapere ciò che pensa della metafora e del linguaggio, m’interessa eccome (ovviamente non in questa sede).

    Bernardo

  19. Però la faccenda del daimon non l’ho compresa neanch’io.
    (Quanto al resto, caro bernardo, se ho compreso, ho compreso quanto siamo distanti. Perché non è nel senso del punto 1 che dico ‘tutto è permesso’ e non è nel senso del punto 2 che penso Dio (giudice della libertà, del suo potere e del suo smarrimento). Infine, non metto alcuna distinzione fra il permesso di Dio e la liceità dell’uomo.
    Ma a volte è utile anche misurare le distanze.

  20. dopo aver preso in parola bernardo ho deciso che si riferisse alla daimon della cosmogonia parmenidea, e che la scissione ne riguardasse l’interpretazione (la sua, di bernardo, della daimon, di parmenide). così ho potuto poltrire sonni tranquilli 🙂

  21. Eccome se è utile, Massimo. Dialogare è molto spesso misurare distanze e la qualità del dialogo sta nella perfezione degli strumenti di questa misurazione.

    E ora in breve la questione dàimon. 🙂
    Porfirio aveva introdotto giustamente la distinzione tra daiomai e diaballo. Da un punto di vista filologico esprimono significati affini: entrambi rimandano all’articolazione e alla separazione. Il primo, però, esprime l’articolazione come distribuzione (ecco perché “dare in sorte”) e la separazione come lacerazione. Diaballo, invece, rimanda più al traghettare nel senso dell’articolazione e al separare calunniando, screditando, nel senso della scissione.
    E’ evidente come il mio argomento, riferito al peccato originale insito nel parlare per metafore, non potesse accogliere questa seconda caratterizzazione.
    Daiomai, invece, che è suddividere distribuendo, mettendo in relazione, e implicando anche un’eventuale lacerazione (quindi la sofferenza), mi pareva più consono all’oggetto, più pienamente significativo. Non per nulla nel mio discorso a essere scisse sono la verità della cosa e la verità della conoscenza: anche l’aspetto relazionale è quindi lampante.
    D’altro canto ho scoperto che Giorgio Agamben ha condiviso questa mia stessa filologia traducendo il frammento 119 di Eraclito (nel saggio “Il linguaggio e la morte”, Einaudi).

    Bernardo

  22. non credo ci sia alcunché di evidente nella sua preferenza del daiomai al diaballo tanto che l’ha dovuta esporre. lo scarto metaforico ha più della diminuzione della calunnia che della distribuzione, infatti. è invece interessante l’aspetto ascendente del rimando metaforico, che – quello sì – si attaglia al daimon perfettamente.

  23. Vede, il fatto è che, soprattutto in sedi come questa, vengo preso da un “insano” desiderio di concisione (sembra una battuta, vista la lunghezza media dei miei commenti ma le assicuro che sono sincero) che mi porta a dare per scontate, per evidenti, relazioni che invece sono chiarissime solo nella mia testa, e magari nelle parole che ho scelto.
    Poi, quando due, tre persone mi fanno notare che la cosa non emerge come dovrebbe, torno sui miei passi e comincio a chiedermi perché.
    La chiamo sindrome di Galois. 😉

    Bernardo

  24. se non c’è, nulla è divinamente proibito

  25. e neanche divinamente permesso

  26. nella bibbia il valore dei principi è eminentemente pratico non conoscitivo e la certezza che se ne ricava è una certezza morale non oggettiva.

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