Archivi del giorno: febbraio 10, 2006

Formalità

E’ insolito che due diretori di collana si preoccupino, di prende le distanze dal contenuto del volume che pubblicano. Si pubblica Heidegger, l’Introduzione alla metafisica, e Alain Badiou e Barbara Cassin appongono  questa nota: "Alain Badiou e Barbara Cassin intendono dissociarsi dalla notizia biografica che, in conformità con l’indirizzo della collana, hanno richiesto a Pascal David [il curatore e traduttore] di redigere". Nella notizia, l’adesione di Heidegger al nazismo è presentata come una "formalità amministrativa". (Secondo David, i due direttori di collana hanno ceduto al clima di intimidazione corrente, che tende a presentare Heidegger per uello che non è: un pensatore nazista).

Oggi, su Le Monde.

Di come un tranquillo ricercatore di filosofia possa trasformarsi in terrorista antiamericano

Stamane, sono al consolato USA di Napoli per il visto per l’espatrio. Ho 39,2 gradi di temperatura corporea e un giorno di digiuno alle spalle. Ho telefonato, mi è stato detto: se lei vuole essere icuro di avere il visto in tempo per la sua partenza, venga il 10 febbraio alle 9.20 (si presenti anzi cinque minuti prima). L’altra data disponibile è il 24, ma in tal caso anche se dovessimo sbrigare subito la sua pratica, c’è il rischio che la spedizione del passaporto vistato non la raggiunga in tempo.

Va bene. Vado a Napoli. Parto in auto, con mio fratello, alle 7.40. E arrivo alle 9.15, non senza avere sofferto tre quarti d’ora di traffico in città, con il patema di non arrivare in tempo. Ma arrivo in tempo. E non c’era da arrivare in tempo: l’appuntamento è cumulativo, e dinanzi al consolato stanno almeno quindici persone, in attesa di consegnare il passaporto per il riconoscimento.

A me tocca dopo dieci minuti. La guardia mi chiede il modello D-156. Io lo mostro. E la guardia: "Non è compilato online". "Già". "Senta, faccia una cosa, vada in via Martucci 103 al più vicino internet point, e provveda lì". "Ma sul sito c’è scritto che è possibile anche la compilazione a mano, in caso di problemi". "E lei che problemi ha?". "Sul sito non c’è scritto di quali problemi si tratti". "Non me lo vuole dire?". "Ma no, è che ieri avevo la febbre, avevo già stampato il modulo e mi rincresceva alzarmi per compilare il modlo online. E poi compilando a mano, ero sicuro di poter rivedere il modulo ed eventualmente correggere". "Tutti così". "Tutti così come?". "Guardi che le sto facendo risparmiare del tempo se Le dico di andare in via Martucci". "Lei crede?". "Sì, vada dove le ho detto: occorre il modulo online. Vede quel palazzo rosso, prosegua lungo il marciapiede, dopo il bar Riviera troverà via Martucci, sulla sinistra".

Va bene. Vado all’Internetpoint. Raggiungo a piedi il palazzo rosso, è vicino, poi vedo più lontano il bar Riviera: lo raggiungo. Ma sulla sinistra non c’è nessuna via Martucci. Guardo la traversa successiva: niente Chiedo all’operatore ecologico: "Deve arrivare a Piazza Amedeo". "A Piazza Amedeo, sicuro?". "Sì". Saranno un paio di chilometri! (e io ho sempre la febbre di prima). Non mi fido, chiedo a una signora: stessa indicazione. Chiedo a un altro signore, dopo un centianio di metri: stessa indicazione. Allora proseguo. E quando arrivo nei pressi di Piazza Amedeo, scopro che mi hanno spedito a via Carducci, non a via Martucci! E’ vero che sono molto raffreddato, ma nessuno che abbia capito il nome giusto. (Qui formulo dei pensieri irriferibili)

Torno indietro. Nei pressi del bar Riviera chiedo all’edicolante: "Via Martucci? E’ questa alle spalle". Ma alle spalle la via si chiama in un altro modo. Mi guardo intorno. Vedo due signori scendere con una cartellina sottobraccio simile a quella che porto io: hanno l’aria di essere finiti lì per il mio stesso motivo e chiedo. "E’ più su", mi dicono.

Cinquecento metri in lieve pendenza. Trovo l’internetpoint. Compilo e torno indietro. Ma ormai c’è la coda di coloro che hanno l’appuntamento fissato per le 10.30. Mi tocca fare nuovamente la fila, e poi entrare. All’ingresso, un mucchio di telefonini depostati per sicurezza prima del metal detector, a fianco della guardia che presidia il posto. A me avevano detto di non portare il cellulare, perché non si poteva introdurre all’interno dell’ambasciata, e non c’era un posto dove lasciarlo.

A me avevano detto pure, sempre al telefono, che la foto doveva essere 5cm x 5, sfondo bianco, frontale, a capo scoperto, con il 50% della superficie occupata dal soggetto ritratto. Poi ho dovuto portare: certificato di residenza, stato di famiglia, estratto conto, ricevuta di versamento (85 euro), documento comprovante le ragioni del mio soggiorno, carta d’identità, busta paga, atto di proprietà della casa, modulo d-156 (qullo online), modulo D-157. La foto non la guardano nemmeno, e lo stesso dicasi per la gran parte dei documenti.

Infine, la domanda trabocchetto. Al colloquio, un simpatico e sveglio giovanotto vede il libro che porto con me, Ontologia del telefonino, e mi chiede cosa ne avrebbe pensato Heidegger, e chi è l’Autore, Ferraris. Poi mi chiede cosa insegno: "Ermeneutica filosofica e filosofia del linguaggio". "Ah linguaggio", mi fa: "Chomsky?".

"L’opposto", dico io. "Ah, bene". Ma se ora non mi rilasciano il visto divento kamikaze (Dimenticavo: il visto è pronto alle quattro, e dunque avrei potuto benissimo spostare l’appuntamento. E dimenticavo pure che l’altro mio fratello, oggi all’Ambasciata a Roma per lo stesso motivo, ha compilato il modulo a mano, e glielo hanno compilato online in ambasciata, senza andare in nessuna via dei Conniventi Per un Piccolo Affare).

(E la febbre, ora, è a 39,5°)