Archivi del giorno: febbraio 28, 2006

Avverbi difficili

Il Papa ha ieri "ricevuto in udienza i partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita e al Congresso Internazionale sul tema L’embrione umano nella fase del reimpianto”, e ha detto: "L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza. Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito". 

La cosa sta (comprensibilmente), su molti giornali. A me però piace riportare quest’altro passaggio, a proposito dell’origine della vita umana, "un mistero il cui significato la scienza sarà in grado di illuminare sempre di più, anche se difficilmente riuscirà a decifrarlo del tutto".

Difficilmente? Quindi il Papa non esclude che la scienza possa decifrare del tutto? Pensa che è difficile, ma che in fondo ce la si può fare? Il mistero non è allora detto che sia davvero tale? Insomma, che genere di prudenza c’è, dietro quest’avverbio? Cosa c’è che non va nell’affermazione: la scienza non potrà mai, ecc. per cui il Papa non ha osato pronunziarla? Cos’è, linguaggio politically correct?

(Fonte: Fides)

Left Wing: una frase in più

A causa dei problemi di connessione (il tecnico Telecom se n’è andato: in centrale ci sono 24 DB, alla prima presa di casa 20, alla presa alla quale è collegato il modem 18,5. Con 18,5 DB la connessione non cade mai: e voi, quanti DB avete?), non ho potuto inviare domenica una versione corretta dell’articolo uscito su Left Wing (Pera e gli zingari di Husserl), che per questo motivo riproduco qui. Siamo alla fine del pezzo, la frase che avevo aggiunto per maggiore chiarezza è qui riportata in neretto:

"Nel corso del ’900, la filosofia (dico la filosofia, perché Husserl lottava per la filosofia) ha portato con coraggio allo scoperto questo rovescio poco nobile della ratio occidentale. E ha considerato questa capacità di critica e di autocritica una sua forza, non una sua debolezza: la forza necessaria, per esempio, per evitare di costruire bastioni spirituali, che per gli europei stessi si sono già rivelate prigioni. È vero che la critica dell’eurocentrismo non può rimanere prigioniera del suo cieco rovesciamento; è vero che dell’Europa non deve restare solo un atto di dolore, ma serbare memoria del dolore rimane la più alta conquista di civiltà che l’Europa abbia raggiunto.
Ma ormai i promotori dell’appello si sono stufati. Gli zingari vagabondi per l’Europa stiano attenti: Pera li ha avvisati.
 
La goccia è Voltaire: quando ci vuole ci vuole