Archivi del mese: marzo 2006

7 in condotta

"La classe mostra rispetto per l’illustre filosofo Pomponazzi e ne altera il nome in modo osceno".

Tocca anche a me di segnalare l’irresistibile blog delle note sul registro di classe.

Vecchie novità

Ritorna lo Spinoza di Negri, L’anomalia selvaggia, insieme ai saggi successivi riproposto in un unico volume da DeriveApprodi. Filippo del Lucchese spiega in un bell’articolo che il libro di Negri ha avuto una “incredibile e meritata influenza”, nonostante la tesi originaria di Negri di una “doppia fondazione dell’impianto metafisico-politico spinoziano” sia stata in seguito rivista dallo stesso Negri. (E giustamente, perché insostenibile).
 
Dalla prefazione del libro del 7 aprile (la prefazione reca infatti le date: 7 aprile 1979-7 aprile 1980) traggo i motivi per i quali è utile studiare il pensiero di Spinoza secondo Negri. Sono tre.
Primo: “Spinoza non fonda il materialismo moderno nella sua più alta figura, non determina cioè l’orizzonte proprio della speculazione filosofica moderna e contemporanea, che è quello di una filosofia dell’essere immanente e dato, e dell’ateismo come negazione di un ordine presupposto all’agire umano e alla costituzione dell’essere”
Secondo: “Spinoza, quando affronta tematiche politiche (e la politica è uno degli assi fondamentali del suo pensiero) non fonda una forma non mistificata di democrazia. Vale a dire che Spinoza pone il problema della democrazia sul terreno del materialismo e quindi come critica di ogni mistificazione giuridica dello Stato”
Terzo: “Spinoza mostra che la storia della metafisica comprende alternative radicali […]. Esiste un’altra storia della metafisica. Quella benedetta contro quella maledetta”.
 
Sono in parziale disaccordo con tutti e tre i motivi, anche se a esporre qui il mio disaccordo rischio di farne una mera questione di parole.
Primo motivo. Non direi: filosofia dell’essere immanente e dato; non direi: ateismo come negazione.
Secondo motivo. Non direi: critica di ogni mistificazione giuridica
Terzo motivo. Non direi: storia (benedetta) contro storia (maledetta)

Educational

Stamane, per spiegare come mai abbia detto ‘la categoria delle donne’ nel faccia a faccia con Prodi, il nostro Presidente del Consiglio onorevole Silvio Berlusconi, su La7, dopo aver premesso che lui ha un po’ di studi alle spalle, ha dottamente spiegato che noi pensiamo secondo le categorie aristoteliche: il brutto e il bello, diceva, il giusto e l’ingiusto, lo spazio e il tempo, gli uomini e le donne. (Per una verifica). (E Sansonetti: questa è davvero bella, Aristotele e il femminismo!).

Sono momenti di alta televisione

La libertà

Quanto poi alla sua affermazione che «se non fossimo costretti dalle cause esterne, nessuno sarebbe più in grado di acquistare l’abito della virtù», io non so chi gli abbia detto che noi possiamo essere di animo fermo e costante per fatale necessità, ma soltanto per libera decisione della mente.
Soggiunge infine che «se così fosse, ogni malvagità potrebbe essere scusata». E che, per ciò? Gli uomini cattivi diventano meno temibili e pericolosi per il fatto di essere necessariamente cattivi.
Spinoza a Schuller, lettera 58
 
Ma – voi obiettate – se gli uomini peccano per necessità naturale, sono dunque responsabili; e non spiegate ciò che volete conchiuderne, ossia se Dio possa adirarsi contro di loro, oppure se siano degni della beatitudine, cioè della conoscenza e dell’amore di Dio. Se la prima cosa, ammetto senz’altro che Dio non si adira, dato che tutto procede secondo la sua volontà; ma nego che per ciò tutti debbano essere beati, giacché gli uomini possono essere scusabili e tuttavia essere privi della beatitudine, anzi essere tormentati in vario modo. Il cavallo infatti è responsabile del fatto che è cavallo e non uomo; e tuttavia dev’essere cavallo e non uomo. Il cane che diventa idrofobo per un morso non è responsabile, e tuttavia è giustamente soppresso”.
Spinoza a Oldenburg, lettera 78
 
Queste citazioni devo a Alphader, pericolosissimo studente cassinate, per segnalare l’apertura del suo blog. Alphader se l’è giustamente presa con filosofico.net e la pretesa abbastanza ingenua di cogliere Spinoza in castagna. L’obiezione che per solito si muove al suo ‘determinismo’, gli fu effettivamente mossa (più volte), e lui rispose con l’equivalente di un’alzata di spalle.
A chi poi volesse leggere Spinoza con qualche profitto, consiglio di mettere anzitutto ordine nelle proprie idee, poiché non c’è questione più sciocca di questa: determinismo versus…versus cosa? La libera decisione della mente? (La mente, e la mente chi è? Sono io? Chi prende la libera decisione è: ‘io’?
 
(Però Alphader non me ne voglia, ma il suo post più bello, esilarante, è questo su Chuck Norris).

Il nostro uomo a L'Avana

Gianni Vattimo

Pregiudizi

Il paraurti anteriore non c’è
Come non c’è?
Non c’è. E manca pure la targa.
La targa non c’è??
Non te ne eri accorto?
No!
 
E così faccio la denuncia: ho parcheggiato l’auto alle 14.30, l’ho ripresa alle 16.30 e il paraurti non c’era più (questa è la versione ufficiale, per la polizia: in realtà il paraurti e la targa temo manchino da un bel po’, solo che non ci ho fatto caso).
E qual è la cosa migliore da farsi quando si va in giro senza targa? Infilare un bel divieto d’accesso e dopo una curva a gomito imbattersi nella polizia stradale.
 
Non ha visto che è senso unico?
È senso unico?
Già
Ma da quando? Io ho sempre preso questa strada e…
Da almeno un paio di mesi
Ah! Eh..mi scusi, ma io ero convinto…e poi ero sovrappensiero perché…
Qui manca la targa
Già, è per questo, proprio oggi pomeriggio ho fatto la denuncia
Mi faccia vedere
Ecco
Lei non è di Cassino?
No, sono di Salerno
E cosa ci fa, qui?
Insegno all’Università
E cosa insegna?
Filosofia
(Si consulta con il collega)
Vada, va.

Medice

Il nichilismo non minaccia la filosofia. Che senso ha fare oggi filosofia, oggi che c’è – mannnaggia! – il nichilismo?
“Questa nozione non è una nozione limite, un fuoco verso cui convergono: il relativismo scientifico, la tentazione romantica del niente, la creazione estetica, il positivismo giuridico, le diverse figure dell’ateismo, il scettico, la proclamazione della ‘fine della metafisica’, e più in generale la situazione dell’uomo che vive la sua relazione al mondo come contingenza pura”.
“Ciò che è vero potrebbe esser falso, ciò che esiste potrebbe non esistere, ciò che è creato potrebbe essere increato, ciò che è giusto potrebbe essere ingiusto, ciò che sta sopra potrebbe star sotto, ciò che è affermato potrebbe essere negato”.
Bernat-Vinter la fa un po’ lunga, ma alla fine si appoggia a Jankélévitch per osservare: mica l’ha prescritto il medico che dobbiamo far filosofia. Miei cari, in queste condizioni la filosofia ce la dobbiamo meritare.
 
Ben detto.
(Io comincerei di qui: che significa potrebbe qui sopra? Di che possibilità si tratta? Dove è ‘scritta’ una tal possibilità? Qualcuno l’ha mai vista? Cosa mai vorrà dire che io potrei essere, o che l’ente potrebbe esser niente?)

Il dado è tratto

Il corso su Spinoza di quest’anno diventerà un libro. Del corso non conserverò nulla, per due buone ragioni: non sono ancora Hegel, e non posso permettermi di dare lezioni se non ai miei allievi; il corso verteva sì su Spinoza, ma seguiva fedelmente la traccia di Archivio Spinoza, il libro di Sini (che reca il contenuto di un corso universitario, alla Statale di Milano, a.a. 1993-94).

Il mio Spinoza somiglierà a quello di Sini, conformemente alla proposizione 25 della parte quarta dell’Etica (In quanto gli uomini non vivono secondo la guida della ragione, in tanto soltanto concordano necessariamente per natura). Però se ne discosterà anche, per due buone ragioni: perché non è il caso di scopiazzare;  per dimostrare a Hegel che la sostanza non è questa cosa immobile che dice lui (sebbene non sia neanche tutto questo muoversi e differire che pensano i contemporanei)

Ascolto

Qui potete ascoltare Enrica Lisciani-Petrini (autrice de Il suono incrinato) che parla, en philosophe, dell’ascolto (e della musica) con Massimiliano Finazzer Flory. L’incontro si è tenuto lunedì. Il ciclo è La parola contesa, e tra gli altri vi hanno partecipato Giorello, Galimberti, Boncinelli.

All’Eliseo c’erano questa volta sette-ottocento persone. Altre volte si è superato il migliaio. Alla luce di questo dato, si capisce perché al corsi di Filosofia a Salerno (dove la Lisciani-Petrini insegna), ma anche altrove (per esempio a Cassino) si iscrivono ogni anno poche decine di studenti?

Cosa resterà ?

Gli anni Ottanta. Se ne parla per via di un film. Gli anni Ottanta sono cominciati nel 1980, l’anno del terremoto, e io avevo tredici anni e giocavo a scacchi. Ho giocato fino al 1985, poi mi sono iscritto a Filosofia e ho smesso. Ho finito con gli esami nel 1989, giusto in tempo per la fine degli anni Ottanta. Degli scacchi mi è rimasta una qualche lontana padronanza, degli esami mi sono rimasti i seguenti: Filosofia morale (su ‘lo spirito del bene’, una strana genealogia, e la Fondazione della metafisica dei costumi), Filosofia Teoretica (Hegel), Storia delle dottrine politiche (Hobbes e Schmitt), Storia della filosofia (Gadamer e Hegel), Filosofia della religione (Rhode e Derrida). Mi pare nient’altro, o quasi.

La tesi, quella sì, ma ormai erano gli anni Novanta. Eppoi conobbi la futura moglie, in quel 1990, che – giusto dieci anni – ho sposato nel Duemila. E questo è tutto.

V e Z

V sta per vendetta, e Z per Zizek.

Che a proposito di Matrix aveva scritto: il film mostra la mancanza di un progetto di azione rivoluzionaria all’altezza dei tempi. Allora i Wachowski hanno scritto V for Vendetta, e I cite mostra come esso contenga finalmente gli elementi fondamentali della dottrina politica zizekiana: subjective destitution, act, messianic element.
Subjective destitution: i rivoluzionari scelgono di esserlo, non sono costretti. E alla fine è il popolo intero che indossa la maschera di V
Act: nel film c’è un atto di violenza rivoluzionaria pura, the complete break
Messianic element: i miracoli accadono, dice Zizek, ed è un punto cruciale della sua teoria politica. Ed effettivamente V fa i miracoli, per esempio quello di distribuire con regolare plico postale milioni di maschere a tutta la città.
 
I miracoli, il rigetto del presente "anche senza  avere idea di quel che il futuro ci riserverà". (In effetti, io avevo considerato questa cosa geniale dei miracoli).
 
P.S. Sul film ha scritto anche, e con molto acume, Esc. Però ha scritto: se è contraddittorio che a fare un film spettacolare sulla spettacolare presa dei media sia la Warnerbros, questo è il punto: la contraddizione, “e il vero spettacolo sono gli spettatori inebetiti dall’orgia anarchica che tornano alle loro vite di consumatori, a consumare altre rivoluzioni”.

Può darsi che sia così, ma così dal film (dalla sala, dallo spettacolo, dall’orgia consumistica) non si esce, mentre il film cerca una via d’uscita. Se di nuovo Esc mi obietta che appunto questa è la contraddizione, posso solo osservare che lui nobilita con la parola contraddizione quella che io chiamerei più prosaicamente presa per i fondelli, come i miracoli di I cite dimostrano

Dalla prima lettera di Oreste Scalzone agli studenti parigini

"Quando diciamo “un altro mondo”, diciamo dunque non solo fuori dallo stato, ma dal moto, dall’insieme di dinamiche, tendenze, controtendenze, risultanti… del modo di produzione e riproduzione della vita. Diciamo perciò prima di tutto una vita diversa, radicalmente. Diciamo fuoriuscire, ma questo esodo comincia dalla testa, dal desiderio, dai sogni e dalle lotte, dalle scommesse, ed è la base della possibilità di de/costruire, esorbitare, come un fiume che comincia col tracimare, poi esce dagli argini e finalmente li dissolve, per prendere un altro corso… Alla domanda se questo rivolgimento radicale è necessario, mi sembra si debba rispondere sì, è necessario".

In breve (la lettera è molto lunga) il mondo non è insopportabile, e ce ne vuole un altro. La sua possibilità viene articolata in maniera duale: 1. L’istanza immanente, il comunismo critico, prende figura di esodo da… 2. "Poi c’è la vita materiale, le condizioni dell’esistere, le ‘infrastrutture contestuali del vivere’. Ecco, lì si dovrebbe essere aperti al coro – plurale, come la biodiversità… – delle forme, dei modi d’azione, delle resistenze e delle offensive e controffensive, degli obiettivi, delle sperimentazioni, e anche inevitabilmente attenti al non eludibile rapporto di forza. L’articolazione di questa ‘dualità’ non è quella fra uovo oggi e gallina domani. Quella tra cosiddetto “pragmatismo”, terreno difensivo, “sindacalistico” e piano cosiddetto nobile, e al contempo sempre differito, sfuggente, inafferrabile, della “rivoluzionarietà possibile.

"E giusto che ci siamo, ci piacerebbe – ma siamo costretti a rinviarlo ad una prossima volta – dire due parole su quello che nel frattempo (mentre gli studenti francesi, cacciati ormai dalla Sorbona, si scontravano con lo Stato di polizia di Sarkozy e di De Villepin per le strade di Parigi) accadeva per quelle di Milano…" 

Ma questo è materia di una seconda lettera di Oreste Scalzone ai giovinotti di MIlano.

(Io so, non oso commentare, non vorrei sminuire, e poi il movimento si starà già interrogando)

Un titolo relativo

La sinistra che non ha paura del relativismo è il titolo del pezzo su Left Wing. Che rispecchia il mio pensiero: non c’è da aver paura del relativismo. Ma non dice il titolo perché non c’è da aver paura: perché il relativismo è cosa buona e giusta, o perché io – pensate un po’ – tutto questo relativismo non lo vedo.

La goccia, per completare, è sull’insensatezza dello scetticismo

Il caimano

Per colpa del caimano non non ho visto Il caimano. Berlusconi ieri era a Salerno. Circolazione stradale modificata e traffico in tilt: non sono riuscito a raggiungere il cinema in tempo. E poi dice che c’è la libertà.

Fukuyama spiegato con mio figlio

Sul Magazine del Corriere di questa settimana: E ora vi faccio vedere come (e perché) si «converte» un neo-con americano. Il neo-con è Francis Fukuyama, quello de La fine della storia, che adesso ha scritto un libro critico verso la politica estera dell’Amministrazione e verso il neoconservatorismo, evolutosi in qualcosa che Fukuyama non se la sente di sostenere più.

Della cosa si è già occupato Chrstian Rocca, qui procurando l’impressione che questo Fukuyama sia un po’ confuso, e qui discutendo le tesi del libro, e mostrando in particolare di non condividere assolutamente l’idea di Fukuyama secondo la quale "la minaccia islamica è sovrastimata". 

Io penso invece che, per ciò che una minaccia è, su dieci minacce otto sono sovrastimate, ma mia moglie me lo dice sempre che non sono un tipo apprensivo. Oggi per esempio, al parco giochi, mi diceva di fare attenzione perché Enrico è piccolo e può cadere dall’altalena. Io non le ho dato retta, finora Enrico non è mai caduto, però oggi Enrico è caduto. Ma non si è fatto nulla: il che mi fa pensare che il pericolo minacciato fosse comunque sovrastimato.

Però questo non c’entra. Di Fukuyama si occupa questa settimana anche The New Yorker. E lì dello storico leggo questo: "Jihadism is an antibody generated by our way of life, not a virus indigenous to Islam".

Jihadism è una difesa. Camillo (e un bel po’ di gente) pensa che jihadism è semplicemento la forma islamica del fascismo. Appunto, dice Fukuyama. Anche il fascismo (e anche il comunismo) erano difese contro il secolarismo, il consumismo, la modernità:

"Fascism and jihadism are nihilisms; they cannot be co-opted into the modern system of pluralism, and so they have to be wiped out. But they stand, in a perverse way, for the dark side of disenchantment, which is that, as life becomes more rational and transparent, people lose the sense that there are spiritual forces in the universe greater than themselves".

Ora, che jihadism sia una difesa non significa che stia dalla parte della ragione, se non altro perché è una difesa dalla ragione. Però rende la ragione meno innocente (né si vede perché debba esserlo e come possa esserlo). Se poi mi si fa osservare che la ragione da cui ci si difende è la ragione dell’Occidente, io dico d’accordo. Ma non credo che se analoga obiezione mi muovessero i miei figli (che presto me la muoveranno), figli che cerco (anche) di educare, mentre loro cercano (anche) di difendersi, non credo che solo per questo rinuncerei a ragionare con loro, o consentirei che loro non ne ragionassero con me.

Anche perché dalla ragione mi aspetto non che spacci per sempre le forze dello spirito (qui e non solo qui sta il mio disaccordo con Fukuyama), ma che spacci la sua funesta alleanza con la fiamma. (Che è poi quello di cui avrei voluto parlare  a New York)