"La classe mostra rispetto per l’illustre filosofo Pomponazzi e ne altera il nome in modo osceno".
Tocca anche a me di segnalare l’irresistibile blog delle note sul registro di classe.
"La classe mostra rispetto per l’illustre filosofo Pomponazzi e ne altera il nome in modo osceno".
Tocca anche a me di segnalare l’irresistibile blog delle note sul registro di classe.
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Stamane, per spiegare come mai abbia detto ‘la categoria delle donne’ nel faccia a faccia con Prodi, il nostro Presidente del Consiglio onorevole Silvio Berlusconi, su La7, dopo aver premesso che lui ha un po’ di studi alle spalle, ha dottamente spiegato che noi pensiamo secondo le categorie aristoteliche: il brutto e il bello, diceva, il giusto e l’ingiusto, lo spazio e il tempo, gli uomini e le donne. (Per una verifica). (E Sansonetti: questa è davvero bella, Aristotele e il femminismo!).
Sono momenti di alta televisione
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Il corso su Spinoza di quest’anno diventerà un libro. Del corso non conserverò nulla, per due buone ragioni: non sono ancora Hegel, e non posso permettermi di dare lezioni se non ai miei allievi; il corso verteva sì su Spinoza, ma seguiva fedelmente la traccia di Archivio Spinoza, il libro di Sini (che reca il contenuto di un corso universitario, alla Statale di Milano, a.a. 1993-94).
Il mio Spinoza somiglierà a quello di Sini, conformemente alla proposizione 25 della parte quarta dell’Etica (In quanto gli uomini non vivono secondo la guida della ragione, in tanto soltanto concordano necessariamente per natura). Però se ne discosterà anche, per due buone ragioni: perché non è il caso di scopiazzare; per dimostrare a Hegel che la sostanza non è questa cosa immobile che dice lui (sebbene non sia neanche tutto questo muoversi e differire che pensano i contemporanei)
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Qui potete ascoltare Enrica Lisciani-Petrini (autrice de Il suono incrinato) che parla, en philosophe, dell’ascolto (e della musica) con Massimiliano Finazzer Flory. L’incontro si è tenuto lunedì. Il ciclo è La parola contesa, e tra gli altri vi hanno partecipato Giorello, Galimberti, Boncinelli.
All’Eliseo c’erano questa volta sette-ottocento persone. Altre volte si è superato il migliaio. Alla luce di questo dato, si capisce perché al corsi di Filosofia a Salerno (dove la Lisciani-Petrini insegna), ma anche altrove (per esempio a Cassino) si iscrivono ogni anno poche decine di studenti?
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Gli anni Ottanta. Se ne parla per via di un film. Gli anni Ottanta sono cominciati nel 1980, l’anno del terremoto, e io avevo tredici anni e giocavo a scacchi. Ho giocato fino al 1985, poi mi sono iscritto a Filosofia e ho smesso. Ho finito con gli esami nel 1989, giusto in tempo per la fine degli anni Ottanta. Degli scacchi mi è rimasta una qualche lontana padronanza, degli esami mi sono rimasti i seguenti: Filosofia morale (su ‘lo spirito del bene’, una strana genealogia, e la Fondazione della metafisica dei costumi), Filosofia Teoretica (Hegel), Storia delle dottrine politiche (Hobbes e Schmitt), Storia della filosofia (Gadamer e Hegel), Filosofia della religione (Rhode e Derrida). Mi pare nient’altro, o quasi.
La tesi, quella sì, ma ormai erano gli anni Novanta. Eppoi conobbi la futura moglie, in quel 1990, che – giusto dieci anni – ho sposato nel Duemila. E questo è tutto.
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V sta per vendetta, e Z per Zizek.
"Quando diciamo “un altro mondo”, diciamo dunque non solo fuori dallo stato, ma dal moto, dall’insieme di dinamiche, tendenze, controtendenze, risultanti… del modo di produzione e riproduzione della vita. Diciamo perciò prima di tutto una vita diversa, radicalmente. Diciamo fuoriuscire, ma questo esodo comincia dalla testa, dal desiderio, dai sogni e dalle lotte, dalle scommesse, ed è la base della possibilità di de/costruire, esorbitare, come un fiume che comincia col tracimare, poi esce dagli argini e finalmente li dissolve, per prendere un altro corso… Alla domanda se questo rivolgimento radicale è necessario, mi sembra si debba rispondere sì, è necessario".
In breve (la lettera è molto lunga) il mondo non è insopportabile, e ce ne vuole un altro. La sua possibilità viene articolata in maniera duale: 1. L’istanza immanente, il comunismo critico, prende figura di esodo da… 2. "Poi c’è la vita materiale, le condizioni dell’esistere, le ‘infrastrutture contestuali del vivere’. Ecco, lì si dovrebbe essere aperti al coro – plurale, come la biodiversità… – delle forme, dei modi d’azione, delle resistenze e delle offensive e controffensive, degli obiettivi, delle sperimentazioni, e anche inevitabilmente attenti al non eludibile rapporto di forza. L’articolazione di questa ‘dualità’ non è quella fra uovo oggi e gallina domani. Quella tra cosiddetto “pragmatismo”, terreno difensivo, “sindacalistico” e piano cosiddetto nobile, e al contempo sempre differito, sfuggente, inafferrabile, della “rivoluzionarietà possibile.
"E giusto che ci siamo, ci piacerebbe – ma siamo costretti a rinviarlo ad una prossima volta – dire due parole su quello che nel frattempo (mentre gli studenti francesi, cacciati ormai dalla Sorbona, si scontravano con lo Stato di polizia di Sarkozy e di De Villepin per le strade di Parigi) accadeva per quelle di Milano…"
Ma questo è materia di una seconda lettera di Oreste Scalzone ai giovinotti di MIlano.
(Io so, non oso commentare, non vorrei sminuire, e poi il movimento si starà già interrogando)
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La sinistra che non ha paura del relativismo è il titolo del pezzo su Left Wing. Che rispecchia il mio pensiero: non c’è da aver paura del relativismo. Ma non dice il titolo perché non c’è da aver paura: perché il relativismo è cosa buona e giusta, o perché io – pensate un po’ – tutto questo relativismo non lo vedo.
La goccia, per completare, è sull’insensatezza dello scetticismo
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Per colpa del caimano non non ho visto Il caimano. Berlusconi ieri era a Salerno. Circolazione stradale modificata e traffico in tilt: non sono riuscito a raggiungere il cinema in tempo. E poi dice che c’è la libertà.
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Della cosa si è già occupato Chrstian Rocca, qui procurando l’impressione che questo Fukuyama sia un po’ confuso, e qui discutendo le tesi del libro, e mostrando in particolare di non condividere assolutamente l’idea di Fukuyama secondo la quale "la minaccia islamica è sovrastimata".
Io penso invece che, per ciò che una minaccia è, su dieci minacce otto sono sovrastimate, ma mia moglie me lo dice sempre che non sono un tipo apprensivo. Oggi per esempio, al parco giochi, mi diceva di fare attenzione perché Enrico è piccolo e può cadere dall’altalena. Io non le ho dato retta, finora Enrico non è mai caduto, però oggi Enrico è caduto. Ma non si è fatto nulla: il che mi fa pensare che il pericolo minacciato fosse comunque sovrastimato.
Però questo non c’entra. Di Fukuyama si occupa questa settimana anche The New Yorker. E lì dello storico leggo questo: "Jihadism is an antibody generated by our way of life, not a virus indigenous to Islam".
Jihadism è una difesa. Camillo (e un bel po’ di gente) pensa che jihadism è semplicemento la forma islamica del fascismo. Appunto, dice Fukuyama. Anche il fascismo (e anche il comunismo) erano difese contro il secolarismo, il consumismo, la modernità:
"Fascism and jihadism are nihilisms; they cannot be co-opted into the modern system of pluralism, and so they have to be wiped out. But they stand, in a perverse way, for the dark side of disenchantment, which is that, as life becomes more rational and transparent, people lose the sense that there are spiritual forces in the universe greater than themselves".
Ora, che jihadism sia una difesa non significa che stia dalla parte della ragione, se non altro perché è una difesa dalla ragione. Però rende la ragione meno innocente (né si vede perché debba esserlo e come possa esserlo). Se poi mi si fa osservare che la ragione da cui ci si difende è la ragione dell’Occidente, io dico d’accordo. Ma non credo che se analoga obiezione mi muovessero i miei figli (che presto me la muoveranno), figli che cerco (anche) di educare, mentre loro cercano (anche) di difendersi, non credo che solo per questo rinuncerei a ragionare con loro, o consentirei che loro non ne ragionassero con me.
Anche perché dalla ragione mi aspetto non che spacci per sempre le forze dello spirito (qui e non solo qui sta il mio disaccordo con Fukuyama), ma che spacci la sua funesta alleanza con la fiamma. (Che è poi quello di cui avrei voluto parlare a New York)
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