[primo giorno qui]] Domenica. Dormo quattro ore. Colazione da Rocco, sfogliatella e espresso doppio. Poi raggiungo con fratello al seguito il prof. Vitiello, che però non è più in camera. Lo incrociamo sulla Fifth Avenue, la prima passeggiata a testa all’insù, fino a Central Park. Fa freddo. Con un cielo perfettamente sereno, poche macchine poche persone, New York è una città di straordinaria bellezza. A Central Park ci sono ancora cumuli di neve. Cavalli stazionano e sbuffano. Io scatto foto, e sospetto che il prof. non ami tutto questo fotografare (alla fine, saranno poco meno di 400).
Al Moma.
Un Balzac di Rodin e un impressionante Pollock ci aspettano all’ingresso. Vitiello ricorda che l’utima lezione di Donà sull’arte è stata magnifica. Massimo è bravo. Quella volta che Giorello lo sentì parlare di Trinità a proposito del bello non seppe replicare. Giorello gli disse che alla Trinità preferiva Topolino, avrebbe dovuto rispondere che era per via dei tre nipotini.
A parte Picasso (in circa un anno, e nella stessa sala, cose così), Vitiello esalta Mirò, e ama Giacometti (ama pure Modigliani, ma la considera una debolezza). Non invece Van Gogh o Cézanne. Vede De Chirico, che ha in antipatia, ma trova i tre quadri esposti molto buoni.
All’ultimo piano, c’è una mostra sull’architettura spagnola contemporanea (schiacciante, per un analfabeta quale sono) e su Munch. Dove sarebbe questa grandezza? (Un altro esempio di celebrazione ingiustificata è Bacon). Il giudizio di Vitiello è guidato dalla convinzione che i grandi del ‘900 sono quelli che hanno rivoluzionato il linguaggio dell’arte. (qui sta pure la superiorità dell’arte del ‘900 sulla filosofia del ‘900), e che di tutto si tratta meno che del bello.
La mia idea è che non può starsene a rimirare le Ninfee di Monet (lì è la rivoluzione), senza però rendere altrettanto omaggio alla Montagna Saint-Victoire. Finisce che Cézanne me lo vedo da solo, con la necessaria calma. (La Danza di Matisse ci mette però abbastanza d’accordo, e Vitiello vacilla: questo qua si permette di essere pure bello!).
Quando poi arriviamo a Wahrol e Lichtenstein, Vitiello pensa che l’arte è morta. (Ma ci arriviamo tardi, dopo cinque ore di cammino).
Intanto faccio questi pensieri aggiuntivi: Mondrian ha reso possibile i computer (e NY). Picasso comincia a piacere. Ragionare (solo) di innovazione delle forme corre il rischio di riprodurre coppie concettuali pre-innovazione. Certi quadri veramente ‘vengono fuori’. Brancusi è tangibilmente di destra. L’arte non è affatto spacciata. Ha ragione Deleuze: il problema sono i cliché, ma molti sono i modi per liberarsene (e il più nascosto è quello che non lo dà a vedere).
Usciamo. Pranzo con un po’ di jazz in sottofondo. Debbo abituarmi all’idea di non vuotare i bicchieri, perché lesti i camerieri te lo riempiono di nuovo. Vino californiano ottimo. Siamo stanchi, ci ritiriamo. Da stasera, Anche Vitiello è all’Our lady of Pompei.
Alle 20.00 Pascale ci viene a prendere e ci porta a Little Italy, da Cipriani (foto in basso a destra, primo tavolo a sinistra) ovvero: come ti frego i soldi. 200 dollari per un paio di insalate miste e due carpacci (il mio, Carpaccio Cipriani, cosa mai sarà? Prosciutto crudo con un decorativo filo di majonnaise). Segue Fernet e Doppio Espresso (per una settimana non berrò se non espressi doppi).
Si chiacchiera fino a mezzanotte. Con Pascale, di Gadda e di Ratzinger. Non so perché, ma quando Vitiello tira in ballo la questione di Paolo e il cristianesimo storico (per smarcare Gesù), e poi l’idea fondamentale che oltre la verità (la rivelazione) è il mistero (quel che appunto è rivelato) Pascale trova la cosa gesuita. Lui insegna all’università dei gesuiti: è un complimento, è un insulto? Non ho capito.
Progetti futuri. Se ne fanno molti. Pascale ha molte idee, alcune in cantiere.
Ma io torno alla carica su verità e mistero. Io dico a Vitiello: troppo due e poco in-due. Vitiello insiste che del mistero io parlo sempre solo da qui, è la mia finitezza. Io non gli concedo il ‘da qui’*.
Vitiello si rivolge compiaciuto agli altri due commensali (l’ospite sin qui silenzioso è mio fratello): vedete che collaboratori che ho? Sono contento. Ordino un altro Double.
Si finisce col parlare di concorsi, con un rapido resumé di chi è finito in cattedra a teoretica negli ultimi vent’anni.
Concorsi e professioni. Mio fratello prende la parola e sale in cattedra, e per i notai sono dolori.
* P.S. Ancora oggi, a lezione su Paolo: "dall’interno dell’uno-molteplice è da pensare la differenza con l’uno-molteplice". Io non concedo ‘dall’interno’. ‘Dall’interno’ contiene già troppi pregiudicati pensieri.