Archivi del giorno: marzo 28, 2006

Cosa resterà ?

Gli anni Ottanta. Se ne parla per via di un film. Gli anni Ottanta sono cominciati nel 1980, l’anno del terremoto, e io avevo tredici anni e giocavo a scacchi. Ho giocato fino al 1985, poi mi sono iscritto a Filosofia e ho smesso. Ho finito con gli esami nel 1989, giusto in tempo per la fine degli anni Ottanta. Degli scacchi mi è rimasta una qualche lontana padronanza, degli esami mi sono rimasti i seguenti: Filosofia morale (su ‘lo spirito del bene’, una strana genealogia, e la Fondazione della metafisica dei costumi), Filosofia Teoretica (Hegel), Storia delle dottrine politiche (Hobbes e Schmitt), Storia della filosofia (Gadamer e Hegel), Filosofia della religione (Rhode e Derrida). Mi pare nient’altro, o quasi.

La tesi, quella sì, ma ormai erano gli anni Novanta. Eppoi conobbi la futura moglie, in quel 1990, che – giusto dieci anni – ho sposato nel Duemila. E questo è tutto.

V e Z

V sta per vendetta, e Z per Zizek.

Che a proposito di Matrix aveva scritto: il film mostra la mancanza di un progetto di azione rivoluzionaria all’altezza dei tempi. Allora i Wachowski hanno scritto V for Vendetta, e I cite mostra come esso contenga finalmente gli elementi fondamentali della dottrina politica zizekiana: subjective destitution, act, messianic element.
Subjective destitution: i rivoluzionari scelgono di esserlo, non sono costretti. E alla fine è il popolo intero che indossa la maschera di V
Act: nel film c’è un atto di violenza rivoluzionaria pura, the complete break
Messianic element: i miracoli accadono, dice Zizek, ed è un punto cruciale della sua teoria politica. Ed effettivamente V fa i miracoli, per esempio quello di distribuire con regolare plico postale milioni di maschere a tutta la città.
 
I miracoli, il rigetto del presente "anche senza  avere idea di quel che il futuro ci riserverà". (In effetti, io avevo considerato questa cosa geniale dei miracoli).
 
P.S. Sul film ha scritto anche, e con molto acume, Esc. Però ha scritto: se è contraddittorio che a fare un film spettacolare sulla spettacolare presa dei media sia la Warnerbros, questo è il punto: la contraddizione, “e il vero spettacolo sono gli spettatori inebetiti dall’orgia anarchica che tornano alle loro vite di consumatori, a consumare altre rivoluzioni”.

Può darsi che sia così, ma così dal film (dalla sala, dallo spettacolo, dall’orgia consumistica) non si esce, mentre il film cerca una via d’uscita. Se di nuovo Esc mi obietta che appunto questa è la contraddizione, posso solo osservare che lui nobilita con la parola contraddizione quella che io chiamerei più prosaicamente presa per i fondelli, come i miracoli di I cite dimostrano

Dalla prima lettera di Oreste Scalzone agli studenti parigini

"Quando diciamo “un altro mondo”, diciamo dunque non solo fuori dallo stato, ma dal moto, dall’insieme di dinamiche, tendenze, controtendenze, risultanti… del modo di produzione e riproduzione della vita. Diciamo perciò prima di tutto una vita diversa, radicalmente. Diciamo fuoriuscire, ma questo esodo comincia dalla testa, dal desiderio, dai sogni e dalle lotte, dalle scommesse, ed è la base della possibilità di de/costruire, esorbitare, come un fiume che comincia col tracimare, poi esce dagli argini e finalmente li dissolve, per prendere un altro corso… Alla domanda se questo rivolgimento radicale è necessario, mi sembra si debba rispondere sì, è necessario".

In breve (la lettera è molto lunga) il mondo non è insopportabile, e ce ne vuole un altro. La sua possibilità viene articolata in maniera duale: 1. L’istanza immanente, il comunismo critico, prende figura di esodo da… 2. "Poi c’è la vita materiale, le condizioni dell’esistere, le ‘infrastrutture contestuali del vivere’. Ecco, lì si dovrebbe essere aperti al coro – plurale, come la biodiversità… – delle forme, dei modi d’azione, delle resistenze e delle offensive e controffensive, degli obiettivi, delle sperimentazioni, e anche inevitabilmente attenti al non eludibile rapporto di forza. L’articolazione di questa ‘dualità’ non è quella fra uovo oggi e gallina domani. Quella tra cosiddetto “pragmatismo”, terreno difensivo, “sindacalistico” e piano cosiddetto nobile, e al contempo sempre differito, sfuggente, inafferrabile, della “rivoluzionarietà possibile.

"E giusto che ci siamo, ci piacerebbe – ma siamo costretti a rinviarlo ad una prossima volta – dire due parole su quello che nel frattempo (mentre gli studenti francesi, cacciati ormai dalla Sorbona, si scontravano con lo Stato di polizia di Sarkozy e di De Villepin per le strade di Parigi) accadeva per quelle di Milano…" 

Ma questo è materia di una seconda lettera di Oreste Scalzone ai giovinotti di MIlano.

(Io so, non oso commentare, non vorrei sminuire, e poi il movimento si starà già interrogando)