I problemi dei radical thinkers: primo, il gergo. Mentre pensatori come Fukuyama e Ignatieff li capiamo tutti quanti (bella forza), questi thinkers qua si capiscono fra di loro. Secondo, la teoria. Invece di predisporre analisi, la teoria serve solo ad esprimere il proprio dissenso da usi e abusi del potere (esempio: Paul Virilio). Terzo, l’irrilevanza. Questi dicono di parlare per dare voce a coloro che non hanno voce, ma non fanno granché per mettersi nella loro prospettiva. Parlano ancora e sempre della cultura occidentale in tutte le sue forme, ma è roba che è un bel po’ familiare ai cultural studies da qualche decennio (esempio: Slavoj Zizek).
In sintesi: i radical thinkers si parlano un po’ addosso (e non di rado si applaudono).
Premessa: non ho mai letto Paul Virilio e non ho capito bene chi siano i radical thinkers (ti prego, non chiedermi di leggere l’articolo linkato in inglese!). Solo una domanda: in questa categoria faresti rientrare anche Giorgio Agamben? Te lo chiedo perchè lo sto leggendo in questi giorni e mi sembra veramente “radical” e davvero “thinker” (come dire: un pensatore con le palle!) ma non “radical thinker” (cioè non che si parla addosso).