Archivi del mese: giugno 2006

State bene

Tutta Italia aspetta la partita di stasera. Io spero di fare in tempo per il saggio perché ora vado in ospedale a fare un bell’elettrocardiogramma. Ma pensa te.

Guerra giusta

Si discute in Parlamento di Afghanistan. Io vi segnalo un lucido articolo su Libération di Noam Chomsky, critico nei confornti della tesi di Michael Walzer secondo la quale la guerra in Afghanistan è stata "il trionfo della teoria della guerra giusta". Pongo poi una domanda:

coloro i quali criticano il concetto di ‘guerra giusta’ e considerano che la guerra in Afghanistan sia stata semplicemente una guerra illegittima, come pensano di criticare guerre legittime che considerino però ingiuste? Oppure ritengono molto ottimisticamente che che il diritto internazionale sia completamente eticizzato, sicché il caso non si può dare?

Inchiostro

"Il mio pensiero si rapporta alla teologia al modo della carta assorbente rispetto all’inchiostro. Ne è completamente imbevuto. Se dipendesse però dalla carta assorbente, non resterebbe nulla di ciò che è scritto" (W. Benjamin). Malvino attira strali di ogni genere, quando mette post come questi (no: come questi). E invece, se bisogna muovergli una critica, è che, non essendo come la carta assorbente, lascia troppe tracce d’inchiostro. Parlo di ciò che mi riguarda. Per una filosofia che non è alquanto empirista e scettica, ma imbevuta di metafisica, lui ha molti sospetti, e non vede quando vuole essere come la carta assorbente.

P.S.  Avevo postato da una postazione di fortuna. Non che adesso il post sia più chiaro, perciò aggiungo dell’altro. Bisogna che il credente abbia un profilo antropologico: è pur sempre un uomo. Dopodiché? Neanche se mi dimostrassero che è un profilo psico-patologico avrei risolto granché. Dio si rivela agli umili, agli stolti, perché non ai malati? Insomma, dimmi in cosa credi e ti dirò chi sei: dopodiché?

(Per cancellare i teologumeni, la filosofia – per come la pratico io – se ne deve lasciare imbibire. Che è come dire: non ha il problema di svalutare la vita religiosa, riducendola a questo o a quello con un’operazione di cui non si vede la fine, ma quello di potenziare la vita filosofica).

Settimana santa

Nato ai bordi di periferia – come cantava, in rappresentanza della mia generazione (credo) Eros Ramazzotti – ho avuto la fortuna di non trascorrere neppure un’ora della mia vita in palestra. Negli anni in cui fioriva il body building, e a Salerno spopolava Tony Regalino, io ho continuato ostinatamente a giocare da mane a sera per strada: a t’ foc e t’ lisc’, a pallone, in bicicletta. (Guardie e ladri in bicicletta era lo sport estremo). La mia indole filosofica, critica di ogni ideologia, si manifestava nel rifiuto pregiudiziale del tempo pieno e di qualunque attività parascolastica oltre l’orario obbligatorio di lezione. Refrattario all’idea di andare in un luogo ad un’ora determinata per rimanervi per un tempo determinato, ho resistito tra gli scout meno di tre mesi (non così due dei miei tre fratelli), e non ho fatto neanche un’ora di pianoforte (non così i miei tre fratelli). Ho rifiutato il viaggio d’istruzione in Inghilterra, preferendo l’acquisto della bici da corsa. Sono venuto su bene.

Con queste premesse, posso riaprire il sondaggio sul miglior aggettivo per la signorina istruttrice che ha fissato per domani sera alle ore 21.00 il saggio di fine anno per mia figlia (5 anni e mezzo), e nel corso di quest’ultima settimana, per le prove, ha imposto i seguenti orari: Domenica 16-18.30; Lunedì 15.30-18-30, Martedì 16-18-30, Mercoledì 16-20.30 Giovedì (oggi) 16-20.30 Venerdì mattina 10-13.30; Venerdì pomeriggio 19-21.

Costo del tutù: 76 EURO. Non so quante mamme leggano il mio blog, ma affido questo muto grido di protesta alla blogosfera, e prego per la loro redenzione.

Ma che musica, maestro!

Che fosse un Papa conservatore si sapeva, ma lo si è capito meglio quando si è passati alla musica: stacchiamo la spina alle chitarre e torniamo al canto gregoriano, è la sua direttiva. È possibile modernizzare la musica ma sempre nell’orizzonte del canto gregoriano e della musica polifonica sacra (ho trovato sul Guardian la notizia).
Passo ad altro. In questa bella pagina della benemerita radiotelevisione svizzera di lingua italiana, c’è Davide Sparti che parla di improvvisazione jazz, Lavagetto di critica musicale, Givone di musica romantica, e Carlo Sini.
Il quale Sini, a proposito di interpretazione musicale e presunte  ricostruzioni filologiche, a proposito di quelli che vorrebbero eseguire una sonata di Beethoven come si eseguiva al suo tempo, e con gli stessi strumenti, oltre a trovare un simile proposito magari apprezzabile magari suggestivo ma comunque ingannevole, semplicemente perché impossibile – il quale Sini domanda: "ma lei è sicuro che Beethoven se avesse avuto in mano i pianoforti di oggi non avrebbe detto ‘che bello che meraviglia’, lasciamo perdere quelli che suonavo fino a qui? […] Ben venga tutto il nuovo" (intorno al nono minuto e trenta).
P.S. Solo ora vedo il lungo post di Malvino sull’argomento

Tortura

Alain Dershovitz, sul Riformista di ieri, comincia così:
"In diverse risposte ai miei articoli su Guantanamo, si è affermato che io sosterrei la tortura per i sospettati di terrorismo. Si tratta di una favola messa in giro dai miei nemici".
E finisce così:
"La mia proposta di un’autorizzazione alla tortura è certamente controversa e vi sono buone argomentazioni a sostegno della tesi opposta. Il problema andrebbe discusso nel merito, ma nessuna persona onesta può accusarmi di sostenere la tortura".
Dal che si capisce che Dershowitz ritiene che sostenere la tortura non è semplicemente autorizzare l’uso della tortura, ma…ma cosa? Forse sostiene la tortura chi sostiene che bisogna torturare indipendentemente da ogni preventiva autorizzazione (e Dershovitz non sostiene questo)? In ogni caso, Dershovitz propone di autorizzare la tortura (ovvero: l’uso di mezzi straordinari ma non letali [e perché poi non letali?, perché questa limitazione?]) in modo che nessuno possa accampare scuse se tortura oltre il mandato per il quale è autorizzato.
Tuttavia anche senza l’autorizzazione a torturare il mandato c’è, ed è di non torturare. Il che significa semplicemente che chi tortura non può accampare scuse. Dershovitz si limita dunque a spostare (e di molto) i limiti. Ora, è vero che può essere una filosofia convincente legalizzare quel che la proibizione non fa che aumentare. Dershovitz però dovrebbe dimostrare che questo è il caso. Dimostrare non che autorizzando la tortura non consento che accampino più scuse quelli che torturano oltre i limiti dell’autorizzazione, ma che autorizzando la tortura essa diminuisce. Nel suo ragionamento non c’è traccia alcuna di questa dimostrazione (che si vorrebbe molto accurata, visto quel che se ne farebbe!).
Mi prendo allora la libertà di concludere così, che chi propone di legalizzare la tortura, senza addurre la richiesta dimostrazione che in questo modo la tortura diminuirebbe, è, puramente e semplicemente un sostenitore della tortura. Lotta non perché la tortura scompaia ma perché non sia più giustificata, e per far questo comincia con il giustificarla almeno un po’.
P.S. Se si dimostrasse che la tortura diminuirebbe in caso di sua autorizzazione, autorizzarla significherebbe comunque accettare che si torturino alcuni (pochi), perché molti altri non siano torturati. In poche parole: la logica del capro espiatorio. A me, tutavia, riesce difficile immaginare che uno  Stato il quale mettesse a giorno di fondarsi sul sacrificio espiatorio di qualche capretto torturato vedrebbe diminuire nel suo seno il tasso di violenza e di tortura.

Galli, Bettini, Pasolini

Ieri Galli della Loggia, sul Corriere, è tornato, via Pasolini, sul decesso del cattocomunismo. Quel che penso al riguardo l’avevo postato qui, e suona così: decidetevi, agli ex- o post-comunisti non potete rimproverare di non essere al passo coi tempi e insieme di esserlo troppo. Non potete fare loro ogni giorno l’esame di cultura liberale, e poi rimproverarli per non aver mantenuto un punto di vista radicalmente critico sulla società liberal-democratica moderna. (Quel che pensa invece ffdes, dal lato catto-, sta qui).

Ma c’è un passaggio dell’intervista a Goffredo Bettini sul Riformista di oggi che vorrei segnalare: Pasolini aveva visto giusto, perché il neo-capitalismo "non si accontenta di vendere ciò che produce, ma trasforma i consumatori, li crea a sua immagine e somiglianza". Al di là dell’iperbole teologica, domanderei: ma perché, il vetero-capitalismo si accontentava di vendere? Era così rispettoso dell’anima del consumatore come Bettini lascia intendere?

Non voglio tediarvi: quel che mi domando è perché resiste ed è così tenace quella forma di pensiero che si può schematizzare così: fino a ieri…ma ora… Ma ‘ora‘ cosa? Da che mondo è mondo, da quando l’uomo è uomo, nessun mezzo è semplicemente un mezzo, e nessuna forma è una mera forma: non c’è bisogno di aspettare il neocapitalismo per vedere trasformazioni tanto radicali.

(E anche sulla storia dell’omologazione bisogna intendersi. Poiché nessuno protesta perché oggi tutti o quasi in Italia sanno scrivere e far di conto: è omologazione pure questa? E che io sia più uguale al mio vicino di casa, omologo del mio collega di lavoro più di quanto un impiegato lo fosse negli anni trenta con il suo vicino o con il suo collega di lavoro attende adeguata dimostrazione)

Il nichilismo del calcio

Più guardi, meno c’è da vedere. Il calcio potrebbe essere giocato anche senza palla: pochi noterebbero la differenza. IE’ il gioco ideale in un mondo postmoderno, espressione del nichilismo ormai prevalente in molte culture. In una partita non succede quasi nulla. Una vittoria per 2-0 ha dimensioni epiche, da guerra punica. Il goal mancato (roba che si verifica ogni mezz’ora) mette i tifosi in preda ad attacchi parossistici.

Il calcio: giovani che per lo più corrono senza uno scopo, metafora della mancanza di senso della vita. Solo un paese che soccombe al nichilismo può appassionarsi a uno sport simile, non l’America.

E non può appassionarsi l’America anche perché è uno sport contro natura. In cosa gli uomini si differenziano dagli altri animali? Per la testa e per le mani. In quasi tutti gli altri sport, la testa ha una adeguata protezione. Nel calcio, al contrario, la testa impatta deliberatamente la palla, ed è proibito l’uso delle mani.

Cannon & Lessner su The Weekly Standard, nel commentare USA-Italy

Sondaggio con caduta di stile

E comunque il mondo deve sapere che venerdì prossimo, alle ore 21.00, mentre l’Italia gioca i quarti, vestita da topolino Renata fa il suo primo saggio di danza di fine anno. Alle ore 21.00.
I lettori di sesso maschile di questo blog scelgano nei commenti l ‘aggettivo migliore per la signorina Loredana, l’istruttrice.

Un, due, tre

Perché sentiate il dovere civico di votare, Left Wing è uscito di domenica. Io ho scritto con sommo divertimento su Sartori e la democrazia degli esperti. Sullo stesso argomento, in verità, un po’ più di duemila anni fa aveva detto la sua Protagora. Del sottoscritto c’è pure una lettera dedicata a Ernesto Galli della Loggia, che per non affaticarvi troppo vi riporto qui:

Cara Left Wing – Ho letto il fondo che Galli della Loggia ha dedicato al decesso del cattocomunismo (Corriere, 18 giugno 2006), nonché l’articolo che la Terza pagina di Left Wing ha dedicato al fondo di Galli della Loggia la settimana scorsa, ma c’è una cosa che non ho capito. Come mai adesso che, a detta dell’editorialista, i postcomunisti conoscono finalmente, anche loro, la svolta liberale (liberista, addirittura), l’illustre storico si fa venire una nostalgica lacrimuccia per il rustico comunismo che faceva il pieno di valori premoderni insieme al cattolicesimo, e invece di rallegarsi di una sinistra tutta moderna, trova che è soltanto conformista, mentre dei cattolici non dice che restano al di qua del guado della modernità, ma che sono impegnati nella nobile battaglia di una minoranza? Ma come capperi li vuole i postcomunisti, Ernesto Galli della Loggia?

Il nemico del pensiero

 "The particular architecture of the blogosphere is the chief impediment to its becoming a place where new ideas can be deployed, tested, and developed. Take, for instance, the problem of comments". [Non v’azzardate a commentare]

"Blogs are not very different from newspapers: they present an idea and then move on, as quickly as possible, to the next idea. […], as the newsreel in Citizen Kane reminds us, Time is On The March, and bloggers are under enormous pressure to march along with it" [E io che non ho aggiornato i feed rss].

"Blogs remain great for news: political, technological, artistic, whatever. And they provide a very rich environment in which news (or rather "news") can be tested and evaluated and revised […]. But as vehicles for the development of ideas they are woefully deficient and will necessarily remain so unless they develop an architecture that is less bound by the demands of urgency". "The blogosphere is the friend of information but the enemy of thought".[la ragione sociale di questo blog ne esce a pezzi]

Alan Jacobs, su Christianity today

Secondo post

Premessa. (Che i tempi siano quelli che sono, lo dimostra il fatto che si rendono necessarie simili premesse). Per me, piazza Verdi è meglio sia pulita.
Ora, la domanda: c’è un punto di vista giudicando dal quale è un bene che piazza Verdi sia zozza? Può Michele Serra obiettare che i blogger sono alquanto ombelicali, che cambiano pochino oltre se stessi, che non sono ambiziosi ma pigri, ecc. e poi escludere che vi sia un punto di vista giudicando dal quale, eccetera? Secondo me, no. Secondo me, il primo riflesso di chi pensa (Michele Serra) che almeno prima a 19 anni si usciva di casa, si andava per il mondo, si provava a cambiarlo, si fondavano giornali, deve essere: e pazienza se si sporcavano i muri delle città (per non dire di peggio). Deve cioè essere: quel punto di vista ci può essere, era il nostro sogno e può continuare ad esserlo, ed è un peccato che oggi non sia nemmeno alle viste (anche se quel punto di vista comportava e comporta qualche muro sporco e qualcos’altro di peggio). Sicché, quanto a piazza Verdi, voglio prima sentire i ragazzi (e non: voglio prima la piazza pulita, e poi parliamo).
Però attenzione! ricordate la premessa! Io non dico affatto che a piazza Verdi ci sono le nuove leve della rivoluzione, o le nuove energie creative del domani. Dico che, se uno di piazza Verdi sa solo che si bivacca, non deve pensare per prima cosa a chi non può dormire causa bivacco, ma se il bivacco c’è per il sogno di qualcosa di più grande delle case tutt’attorno dove si vuol solo dormire.
Prima si bivaccava alla grande, e si sognava alla grande. Ora non si sogna, e si vogliono togliere i bivacchi. Siamo messi peggio? O credete di poter sognare senza bivaccare? Oppure a piazza Verdi e nei blog (ecco il punto) si bivacca senza sogni?
(Ma: e se non ci fosse più bisogno di sognare di prendere il potere per cambiare il mondo? E visto che poi non è andata così: se il mondo lo si cambiasse davvero – per quella parte che lo si può cambiare – solo se e quando si smettesse di sognare di cambiarlo? Si vuole prendere il potere e cambiare il mondo o si vuole solo sognare di cambiarlo? In effetti, quelli che volevano prendere il potere per cambiare il mondo, sono riusciti a fare in alcuni casi la prima cosa, ma mica la seconda. E se si giudica che almeno avevano il sogno, bisognerà chiedergli se in fin dei conti questo non sia se non il mondo che hanno sognato, forse quello che c’è ed è venuto fuori poiché – o mentre – essi hanno sognato ).

Primo post

Ieri sera prima uscita pubblica (nel senso di: tra il pubblico) di Azioneparallela nella nuova versione pilifera più prossima a Foucault che a Marx, a Tracce d’inchiostro (andateci, se potete). Insieme a un amico che secondo me dorme sull’amaca per solidarietà, ho seguito l’incontro con Giovanna Zucconi e Michele Serra su Politica e mass media (lui era per lui, ma io ero per lei, e poi c’era un altro amico: di me e di lui, di lui il mio amico).
Riassumo brutalmente quel che s’è detto a proposito di televisione, carta stampata, media, comunicazione e quant’altro: 1. almeno prima; 2. siamo sempre gli stessi; 3. i blog? mah.
Dibattito. Sui punti 1.e 2. io faccio una domanda che faccio spesso, quando sento analisi su cultura, media e comunicazione: è un problema solo italiano? Voglio analisi comparative, voglio sapere che succede nella Repubblica ceca e pure in quella Slovacca. Poi, siccome M.S. (non G.Z., che anzi allude, misteriosamente per gli astanti, a un importantissimissimo blog salernitano) siccome aggiunge il punto 3 (finché i blog non saranno carne e strade e non incideranno sulla vita pubblica, resto scettico) mi avventuro in rapsodiche considerazioni sul cambiamento di significato dei termini pubblico/privato, sulla pubblicizzazione del privato e la privatizzazione del pubblico, sulle nuove formazione sociali in cui è mutata la funzione del sistema cultura, sulla compenetrazione fra sistemi d’azione e sistemi di comunicazione (tutte cose che non sono farina del mio sacco, ma si trovano qui). Niente. Michele Serra mi obietta: tutto quello che vuoi, ma il potere?
Già, come pensi di fare i conti col potere? Non sarai mica Mario Adinolfi, che ha una generazione alle spalle? (questo per la verità lo aggiungo io).
Finisce il dibattito. Chiacchiere mentre defluiamo. Io non voglio cambiare il mondo, dico, mi basta di non esserne cambiato. Il potere, causa capelli prendo una parola da Foucault: ma è una roba molto più diffusa e dubito che si possa prendere. Peraltro, credo pure che diminuisce ciò su cui il potere ha presa. Non so.
Poi si passa a De Luca e Cofferati. A piazza Verdi.
E qui segue un altro post.

Auguri e prescrizioni

– Pronto! –
(con voce concitata) – Pronto Giovanni, sono io! Prendi carta e penna! -.
– Pronto, ma chi è? –
(con voce ancora più concitata) – Sono io. Dài, sbrigati! –
– Ma io chi? –
– Dài, Giovanni muoviti che devo dare la traccia anche a Isabella -.
– La traccia a Isabella? Ma chi sei? Ma quale traccia? –
– Ma come quale traccia: la traccia del tema di domani, Giovanni! Ti vuoi muovere o no? –
– Ma io non so nulla!
– Ma… ma scusa: ma sei Giovanni Aldobrandi?
– No! Sono Giovanni Amato!
– Oh! Scusa… cioè, io… scusa… dovevo chiamare un amico… scusa… Ho sbagliato numero… ma tu ti rendi conto… adesso devo chiudere perché devo dare la traccia… cioè no… non ho detto nulla… scusa, ciao…
– Aspetta! –
 
Quando il Giovanni di turno diceva "aspetta!", era spacciato. Definitivamente. Mi rendo conto che lo scherzo era crudele crudelissimo, cattivo cattivissimo (si sa che da ragazzi siamo tutti un po’ cattivelli), ma aveva una sua elevata moralità. Si telefonava a un Giovanni che il giorno dopo doveva sostenere l’esame di maturità, fingendo però di cercarne un altro, di Giovanni. Dall’altra parte, la vittima dello scherzo, chiarito il finto equivoco, aveva la possibilità di salvarsi: salutare e chiudere. Ma non succedeva mai. Succedeva invece che chiedesse, dovendo fare pure lui l’esame (pure lui: come l’altro, inesistente Giovanni), chiedesse di avere comunque la traccia, anche se la telefonata e la traccia non erano destinate a lui. Noi (io e mio fratello, i carnefici) ci facevamo pregare un po’, chiedevamo di fare in fretta, di non farci perdere tempo, maledizione! e soprattutto di non divulgarla oltre (anche questo non succedeva mai), poi sparavamo le tracce più incredibili di temi d’italiano che siano mai state proposte a malcapitati studenti. Ricordo ancora una frase di Giovanni XXIII lunga quanto un’intera pagina, dettata a velocità supersonica e mangiandosi le parole mentre dall’altra parte lo sventurato scriveva furiosamente, chiedeva di ripetere e veniva insultato per il tempo che faceva perdere lui che non c’entrava nulla, e alla fine quello non sapeva se ringraziare, scusarsi o costernarsi per l’immane compito che gli si presentava l’indomani. Ricordo certe insensatezze oracolari oppure ispirate, e i temi che di Leopardi o di Manzoni prendevano sempre gli aspetti più sconosciuti, con l’obbligo espresso di non parlare praticamente di tutto quello che si studia a scuola.
Ne parlo adesso, per fare i miei migliori auguri ai ragazzi sotto esame e perché il reato è caduto in prescrizione. (E speriamo che non passi di qua qualche vittima dell’antico scherzo)

Cosa dite: apriamo una Guantanamo anche da noi?

Christian Rocca dice che non si può chiudere Guantanamo "senza suggerire un’alternativa allo status legale di quei particolari prigionieri” che vi sono rinchiusi . La sua opinione è servita dalla lama di una affilatissima ironia: “Che cosa facciamo con i terroristi? Giusti processi con più garanzie che a Moggi, come ai tempi di Clinton e con i risultati ben noti dell’11 settembre?”. Il lettore sorride ed apprezza: è mai possibile trattare Moggi peggio dei terroristi? (Moggi tuttavia non è ancora finito in galera, né per fortuna ci finirà) Poi però uno va oltre l’ironia e si chiede: e perché non giusti processi per i terroristi? Ironia per ironia: Christian Rocca vuole forse ingiusti processi per i terroristi? O non ne vuole affatto, per passare direttamente alle vie di fatto? Ma no, che diamine! È solo che le garanzie possono essere modulate a seconda delle esigenze di sicurezza dello Stato. Lo Stato è in pericolo, le esigenze aumentano, si fa qualche processo un po’ meno giusto, qualche detenzione un po’ speciale.
In un simile ragionamento, si riconosce la tempra inossidable del pensare franco, quello che comincia sempre con un: poche storie!
Christian Rocca dà l’idea, in questo, di pensarla proprio come il Direttore. Voi state a sottilizzare sul pericolo del terrorismo islamico: poche storie! Voi intavolate trattative? Poche storie! Voi confidate nell’ONU e nel diritto internazionale: Poche storie! Voi…poche storie!
Tutto giusto.
Però al contempo Christian Rocca vuole essere anche di sinistra, liberale e democratico: tutto insieme. Gli domando: è di sinistra, è liberale, è democratico pensare che alle esigenze della sicurezza dello Stato debbano essere sacrificati diritti e garanzie? Secondo me non proprio. (Secondo me non proprio, ma io sono uno di quelli che pensa che non si ha sempre necessariamente ragione, stando a sinistra oppure a destra: si può essere di sinistra ed avere torto, e per esempio non avere il senso del pericolo incombente. Oppure si può essere di destra ed avere torto, e ingigantire senza motivo il pericolo incombente. Lo so che quest’idea non è strettamente compatibile con la militanza politico-ideologica, e infatti milito pochino). Secondo me non proprio, dicevo, ma può darsi.
Perciò domando allora: posto che sia di sinistra sacrificare diritti e garanzie in nome della sicurezza dello Stato, vede Christian Rocca che diviene prioritario (per un liberale, per un democratico, per uno di sinistra)avere ogni garanzia circa il modo in cui si decide qual è il pericolo per la sicurezza dello Stato e quale l’entità? Per ogni parola spesa sulla necessità di sacrificare qualche diritto e garanzia in nome della sicurezza e dello Stato, chi è di sinistra, liberale e democratico dovrebbe spenderne dieci per gettare luce sul modo in cui si determina il livello del pericolo per la sicurezza dello Stato? E proprio per questo, chi è di sinistra, liberale e democratico non dovrebbe precipitarsi a chiudere Guantanamo, ogni qual volta incappasse in una bugia nei discorsi a cui si affida la formazione della pubblica opinione e percezione di quale sia il livello del pericolo? (E sì che di bugie od omissioni se ne sono dette!). E non vede che in tanto si può spendere quell’unica parola, in quanto cento se ne spendono per dire (e dire prima) cosa però sarebbe comunque intollerabile che accadesse a Guantanamo o altrove? Se la sicurezza dello Stato è in pericolo, Christian Rocca (ad esempio) torturerebbe, o approverebbe la tortura? Il suo ragionamento si ripresenta: perché no (ricordate: poche storie…)? Chi decide dove si raggiunge il limite?
Ma poi, a leggere ancora meglio quelle parole, si capisce che per Christian Rocca una Guantanamo prima dell’11 settembre avrebbe potuto addirittura evitare l’attacco alle Twin Towers (“i risultati ben noti dell11 settembre”, scrive). Allora gli domando: siccome l’Italia è – come altri paesi europei – sotto pericolo di attacco terroristico, siccome io voglio evitare una cosa come le Twin Towers in Italia, devo auspicare una bella Guantanamo anche qui, così mi sento più sicuro? Ragazzi: poche storie, è in gioco la sicurezza dello Stato. Vogliamo forse aspettare “i risultati ben noti” prima di costruire un campo come quello di Guantanamo? Uno, e perché non dieci campi?