Ieri Galli della Loggia, sul Corriere, è tornato, via Pasolini, sul decesso del cattocomunismo. Quel che penso al riguardo l’avevo postato qui, e suona così: decidetevi, agli ex- o post-comunisti non potete rimproverare di non essere al passo coi tempi e insieme di esserlo troppo. Non potete fare loro ogni giorno l’esame di cultura liberale, e poi rimproverarli per non aver mantenuto un punto di vista radicalmente critico sulla società liberal-democratica moderna. (Quel che pensa invece ffdes, dal lato catto-, sta qui).
Ma c’è un passaggio dell’intervista a Goffredo Bettini sul Riformista di oggi che vorrei segnalare: Pasolini aveva visto giusto, perché il neo-capitalismo "non si accontenta di vendere ciò che produce, ma trasforma i consumatori, li crea a sua immagine e somiglianza". Al di là dell’iperbole teologica, domanderei: ma perché, il vetero-capitalismo si accontentava di vendere? Era così rispettoso dell’anima del consumatore come Bettini lascia intendere?
Non voglio tediarvi: quel che mi domando è perché resiste ed è così tenace quella forma di pensiero che si può schematizzare così: fino a ieri…ma ora… Ma ‘ora‘ cosa? Da che mondo è mondo, da quando l’uomo è uomo, nessun mezzo è semplicemente un mezzo, e nessuna forma è una mera forma: non c’è bisogno di aspettare il neocapitalismo per vedere trasformazioni tanto radicali.
(E anche sulla storia dell’omologazione bisogna intendersi. Poiché nessuno protesta perché oggi tutti o quasi in Italia sanno scrivere e far di conto: è omologazione pure questa? E che io sia più uguale al mio vicino di casa, omologo del mio collega di lavoro più di quanto un impiegato lo fosse negli anni trenta con il suo vicino o con il suo collega di lavoro attende adeguata dimostrazione)