Archivi del giorno: luglio 19, 2006

Identità, interculturalità

Mauro, Mauretto, Maretto, Mametto, Maometto.

(un grazie a Enrico Adinolfi, detto il Titone)

Identità, modernità

Nella sua Seymour Martin Lipset Lecture, ripresa in aprile sul Journal of Democracy, Fukuyama ha fatto sua la tesi di Olivier Roy sul radicalismo islamico, che si riassume così:

il radicalismo islamico non va inteso come una rivendicazione tradizionalistica, ma come un’esigenza di riconoscimento tipica della costituzione delle moderne identità politiche in un mondo globalizzato, in cui i musulmani vivono in una misura prima sconosciuta in un mondo non musulmano, o a contatto con un mondo non musulmano. Uno studente che scrive all’imam sul web per sapere se è permesso o meno stringere la mano a una professoressa donna pone una questione che in Arabia Saudita non si pone, perché lì di professoresse donne non ce ne possono essere. Questo studente non può non domandarsi quale sia la sua identità, e la risposta di Bin Laden è: tu sei parte di una umma globale che è definita dall’adesione a una dottrina islamica universale, non più da usi e costumi locali. La risposta di Bin Laden si trova cioè nel punto in cui si trovò il cristianesimo, quando con la Riforma si pose il problema di una salvezza individuale scissa dall’adesione a comportamenti pubblici di adesione a una fede confessionale. Prima di salire su un aereo, Mohammed Atta pensò bene di visitare uno strip club.

Ve lo dico in un altro modo: i giovani musulmani (quelli della seconda e terza generazione di emigrati, quelli che in patria sono comunque a contatto con il mondo occidentale) stano sperimentando il passaggio dalla Gemeinschaft alla Gesellshaft: dobbiamo sapere, la sociologia europea ce lo ha insegnato da un bel po’, che non è una roba indolore. Questo significa, dobbiamo sapere pure questo, che nel breve periodo esportare modernità, diritti e democrazia aumenterà e non diminuirà la violenza terroristica

Anche la parte sul tema dell’integrazione è interessante, anche se un po’ meno condivisibile. Mi pare che Fukuyama sostenga che il multiculturalismo va bene quando è un ‘gioco alla fine della storia’ quando cioè si va a mangiare nei ristoranti cinesi o si va in bagni turchi, ma non quando erompe sulla scena politica. Questo significa che bisogna fare di più nell’integrare i cittadini immigrati sulla base di un riconoscimento dei diritti individuali, e accelerare i processi di cittadinanza. In Europa è più difficile, perché la separazione fra chiesa e stato non s’è fatta bene e sino in fondo. L’America può insegnare qualcosa all’Europa su come si costruisce un’identità nazionale aperta. Iil patriottismo americano, il carattere quasi-religioso di certe sue cerimonie civile fa sorridere i cinici europei, ma offre un potente veicolo di integrazione. Anche il welfare europeo, rivolto quasi soltanto a chi un lavoro e un tetto e un set di diritti ce li ha già sarà meno brutale del mercato americano, ma è anche più rigido verso chi prova a entrare, mentre in America un immigrato uno straccio di lavoro lo troverà sempre. E poi se voi europei fate i postmoderni e i relativisti, ditemi come volete trovare qualcosa che possa valere come fattore di integrazione.

(E con i riassunti, per oggi, basta)