Archivi del mese: settembre 2006

Citofoni bollenti

Quando alla domanda "chi è" rispondiamo al citofono: "Sono io", diamo la stessa risposta che diede Dio a Mosé dal roveto ardente (Esodo, 3,14). L’esempio mostra che la risposta non è affatto priva di senso. Sono altresì convinto che al citofono noi non superiamo mica una prova di riconoscimento vocale, e quel "sono io" somiglia piuttosto a un "apri!". Dio rivela se stesso e ordina – come noi al citofono.
(Ma si sa o si crede di sapere che ci sia il citofono? Molti sanno di crederlo, pochi credono di saperlo. Altri sanno che il citofono non c’è – e tra loro c’è uno che sospetta che proprio perciò Dio continui a bussare) 

Cristalleria filosofica

Roberta De Monticelli contro gli elefanti. In questa cristalleria non toccherei nulla.

Quasi nulla (analogia, fondamento, dialettica, mistica: chi ce la fa ancora a restituire qualcosa di quella platonica trascendenza di cui parla la De Monticelli?)

Manovalanza (post di servizio con lenticchie)

la prosa del mondoGentilissimi studenti (dico quelli di Cassino, ma specialmente quelli di Sora!)

Il PDF che vedete contiene la splendidissima brochure realizzata in ore notturne (non da me ma da chi ringrazio) in vista dell’incontro del 10 e 11 ottobre – il cui programma ho già esposto qui. Ora.

1. Chi di voi volesse dare una mano può venire mercoledì prossimo in via Mazzaroppi (Cassino) a ritirare qualche copia, per distribuirla per le vie del mondo. A mia volta, sarò a Sora martedì (credo): avete tutti posibilità di reperire il mio indirizzo email e il mio numero di cellulare (sono anche nella brochure).

2. Tutti voi siete precettati, e avete l’obbligo di precettare. Tutti voi potete spedire via mail, dare il programma, parlare comunicare diffondere.

3. Non vi basta mica un edificio e un’aula per avere un’università? (ci siamo capiti, nevvero?)

Aggiornamento. A causa di una mattinata spesa a mandare mail con oggetti enormi che impiegavano diversi minuti non ho studiato e ho bruciato le lenticchie. (E a pranzo tocca fare a me).

"Questo Occidente idiota è inemendabile…"

Un emendabilissimo articolo di Maurizio Blondet, che trovo grazie a wXre, che non lo emenderebbe affatto.

(Ma perché lo segnalo? Non lo so. Forse per fare ammenda, così non so l’Occidente, ma almeno io so essere emendabile)

Minacce

Non me n’ero accorto. C’è un professore di filosofia parigino, Robert Redeker, che ha pubblicato su Le Figaro, un articolo poco conciliante sull’Islam in cui per esempio si legge che "odio e violenza abitano il libro nel quale ogni musulmano è educato, il Corano" (io l’ho trovato qua, in francese). Ora Redeker è sotto scorta, essendo stato minacciato di morte (qui la ferma presa di posizione del giornale), ma che tristezza.

L'aiutino

Sulla consulenza filosofica ci si butta un po’ tutti. Mi corre perciò l’obbligo di segnalare che il sottoscritto riceve, a prezzi modici, il giovedì pomeriggio. Ma poi segnalo anche l’intervista di Pier Aldo Rovatti, che a proposito di cura di sé, di soggettivazione, di psicologizzazione del sociale, mi pare dica cosa condivisibili e sensate. Salvo ometterne, a mio avviso, una.

E cioè che due ore alla settimana di consulenza filosofica non permettono di scansare nessuno dei pericoli che Rovatti indica: sono un palliativo, un po’ di pappa spirituale, una forma di compensazione, un delicato massaggio per le meningi, un supplemento d’anima, un placebo  Un aiutino, insomma. (Una cosa che una vera amicizia fa molto meglio, insomma).

(Però ora non mi fate che non vi prenotate più, al giovedì pomeriggio).

Paura di conoscere

Paul A. Boghossian vive e lavora a New York. Ha diretto il Dipartimento di Filosofia della New York University portandola, leggo nella premessa all’edizione italiana del suo Paura di conoscere.Contro il relativismo e il costruttivismo, "dal rischio di chiusura ad essere attualmente il primo dipartimento di filosofia analitica al mondo".

Nella Prefazione, Boghossian spiega: ho scritto questo libro per colpa e per merito di Richard Rorty. Voi non sapete l’influenza di Rorty sulle "idee costruttiviste contemporanee". Io mi ero laureato in fisica, ero (e sono) un convinto oggettivista: figuratevi che mal di pancia quando gli sentivo parlare di credenze  razionali. Questo libro nasce dal confronto con quelle idee – per contrastarle.

Nell’Introduzione quelle idee vengono rapidamente esemplificate (per esempio: c’è un tale Roger Anyon, archeologo, per il quale la scienza è solo "uno dei molti modi di conoscere il mondo". Secondo lui, la visione del mondo degli Zuni è valida, "per quel che riguarda la preistoria, tanto quanto il punto di vista archeologico) – vengono semplificate e riepilogate nella DOTTRINA DELLA UGUALE VALIDITA’, secondo la quale:

Ci sono molti modi radicalmente diversi, sebbene ugualmente validi, di conoscere il mondo, di cui la scienza è solo uno.

Non ho ancora finito l’Introduzione e ho già difficoltà a proseguire. Dubito che il libro possa in qualche modo essermi utile. La proposizione che infatti ricapitola il punto di vista costruttivista non è – domando – un po’ troppo oggettivista?

(Quanto a me, io non immagino affatto che potrei accendere la luce nella mia stanza con l’ausilio di qualunque sistema di conoscenze, e neppure che potrei orientarmi nei boschi o indicare il punto in cui è sepolto mio nonno con la stessa precisione ed esattezza, che possegga il sapere degli Zuni oppure quello archeologico. Penso più semplicemente che il mondo essendo uno, la conoscenza è solidale col mondo che conosce. Cosa mi dice Boghossian di questa solidarietà? Come gli suona questa proposizione, oggettivista o relativista? Io penso che il mondo in cui io posso scegliere fra gli Zuni e l’archeologia non c’è. Io non dico che vi sono, su un piede di parità, molti modi di conoscere il mondo, e neppure che vi sono e si danno insieme molti mondi (allora non sono relativista nel senso di Boghossian), ma non dico neppure che il mondo uno sia il mondo tutto intero al netto della mia conoscenza, che è l’insensato punto di vista oggettivista (peraltro: di difficile dimostrazione).  Tra l’un punto di vista e l’altro, io dico che c’è la filosofia).

Chi gliela spiega?

Con una certa frequenza si trovano nella rubrica delle lettere di Repubblica brevi interventi di Alberto Arbasino. Cazzarola, ma ce ne fosse uno di cui mi sia chiaro il significato! Ma che c*** vuole dire?
Sono io che sto grave o cosa? A d esempio, quello di oggi:
 
"Evidentemente i vari Poteri non riscuotono più un estremo gradimento dell’audience, quando fanno i professori in cattedra. ‘Ipse dixit, zitti e mosca’, si imponeva in altri tempi. Ma adesso, nelle scuole: ‘Non c’è più trasgressione, su questa terra?"
 
Ma di che sta parlando? Che vuole dire? A cosa si riferisce? Aiuto!
(by il segretario)

Lasciatemi divertire

Stasera, primo consiglio comunale di Baronissi per il sottoscritto subentrante. Non so ancora, a 45 minuti dal suo inizio, se sono carne o pesce.

La palma del peggior commento

La palma del peggior commento al post  "A proposito di Welby" va, a mio sindacabile giudizio, al numero 14 di farfintadiesseresani. Il fatto che il blog si chiami così, non l’autorizza a scrivere sciocchezze (dico così perché fra meno di un mese debbo incontrarlo in un alto consesso e non vedo l’ora). Ecco il commento:

"Tra l’altro, cominciamo col dire che io una legge la vorrei e che tracci limiti belli grossi. Tipo che se tra trent’anni mi ritrovassi un po’ rincoglionito, mio nipote non possa farmi gasare e prendersi l’eredità. Tipo, neh".

Il commento è il peggiore perché l’oggetto del post è non se sia possibile distinguere i casi di eutanasia dagli omicidi deliberati che possono maturare in seno alla famiglia di ffdes, o se si debba o non debba fare una legge in tal senso, ma, posto che quella distinzione si possa fare, se l’eutanasia sia a quel punto un diritto o cosa possa mai essere posto più in alto di quel diritto (così da comprimerlo). Oggi Polito, su Il Foglio, riporta il parere di Ralf Dahrendorf, per il quale il diritto del singolo uomo a decidere della propria vita non è assoluto, perché l’esercizio di quel diritto ha o può avere conseguenze collettive che potrebbero divenire "incontrollabili". E’ dunque pensabile che la collettività lo limiti. Trovo questo discorso di Dahrendorf comprensibile, ma non so proprio quali siano le conseguenze di cui parla Dahrendorf, quando la legge fosse severissima nel disciplinare l’esercizio del diritto: aumento dei suicidi, aumento di omicidi fatti passare per dolci morti? Mi pare francamente assai discutibile. E soprattutto: l’eutanasia è un cattivo esempio? Ma, cari liberali, siete consapevoli di cosa ciò significhi? Siete d’accordo almeno su questo, che a meno di non volere uno Stato paternalista è auspicabile che le leggi destinate a vietare i cattivi esempi siano il meno possibile, e che dunque sarebbe preferibile uno Stato in cui il diritto in questione non fosse conculcato per questa pedagogica ragione? Poi magari la legge è ancora complicato scriverla, ma sul principio siete d’accordo?

(Wxre dice invece che "l’affermazione rigorosa di un "piacere nel farsi del male" presuppone l’aver dissolto la possibilità di un riferimento al parametro di salute fisica-mentale". Questo credo signfichi che per lui chi si fa del male da solo è malato per definizione. Io invece penso che se alla mia salute non può appartenere il farmi del male da solo, non è detto che alla salute di un altro non possa appartenere. E il fatto che la mia salute si definisca in termini diversi dalla salute psichica di un altro non vuol dire che dunque non c’è alcuna salute. Nego consequentiam. Lo so che è difficile a capirsi e torna più comodo dire subito: è relativismo, è scetticismo, è nichilismo, ma il fatto che qualcosa cambi non vuol dire che cambia tutto, o che tutto cambia contemporaneamente).

Biopolitica: materiali

(La Rivista Filosofia e Teologia dedicherà un prossimo fascicolo ai temi biopolitici. Quelli che seguono sono piccoli estratti della relazione predisposta dal prof. F. Piro per i lavori della redazione meridionale della Rivista. Non si tratta di un testo già licenziato per la stampa, ma di materiali per la discussione, che mi permetto di riprendere – prima ancora che trovino forma definitiva nell’editoriale del fascicolo – per il loro interesse, e per invitare tutti ad acquistare la rivista. Così il prof. Piro mi perdonerà – spero – il piccolo furto intellettuale).
 
“[…] Un taglio di analisi che contrapponga radicalmente il “naturale” e l’“artificiale”, condannando il secondo in quanto tale come attentato o insubordinazione prometeica da parte dell’uomo o in quanto prova di “faustismo”, mi sembra fuorviante. Riproporre la normalità di ieri come norma per il domani non è in sé giustificato, almeno se presumiamo che le domande e i bisogni umani possano cambiare anche a giusto motivo […].. Più generalmente, mi sembra che il rischio di un modello di approccio sostanzialmente “proibizionistico” al problema si ispiri a una logica di sovranità – lo Stato che interviene a por fine al disordine (il tanto citato “far west”) – che risulta poi contraddittoria quando i valori ai quali ci si ispira non sono effettivamente condivisi: si finisce per riprodurre una logica di “alleanza tra trono e altare” che (mi sembra) abbia fatto del male a entrambi, al trono e all’altare. […]
“La strada opposta, quella che valorizza la “libera scelta” individuale come criterio di orientamento prevalente, appare come una scelta che interpreta preliminarmente l’intera problematica della soggettività delle scelte in una griglia teorica determinata dal concetto di proprietà. Il che conduce direttamente al secondo corno del dilemma […]
“Potremmo facilmente immaginare un futuro nel quale la procreazione assistita si generalizzi come modo normale di fare nascere i cuccioli della specie umana (almeno tra i ricchi o tra i benestanti del pianeta) perché nessun genitore sensato si sognerà più di affidare al caso o alla natura la gestione del proprio patrimonio genetico. In questo modo si potrebbe arrivare ad avere due popolazioni umane conviventi ma differenziate fin dalla nascita (un poco come oggi al mercato si trovano i pomodori biotech e quelli di agricoltura “biologica”) […].
“In breve, il sospetto è che si stia con ciò assistendo a una sorta di “mutazione genetica” del liberalismo che, da dottrina finalizzata a garantire il pluralismo e la possibilità di innovazione all’interno della società umana, tende a divenire il paravento e lo strumento di legittimazione di una costruzione a marce forzate del superuomo ovvero (per inserire cursoriamente anche l’altro e contestuale lato della questione: la morte fisica) la cornice giuridica dell’universale applicazione di una logica di razionalità manageriale a ogni aspetto del nascere, del vivere, del morire […]
“Mi sembra dunque che tutte le soluzioni, per così dire, “lineari” trascurino aspetti essenziali e ricadano o rischino di ricadere in tipici dispositivi biopolitici”.
 
(Ho già violato abastanza la proprietà intellettuale per poter riprendere anche i cenni alla possibile costruzione di una bio-politica affermativa, che si sottragga al dilemma formulato. Perciò, ahivoi, mi fermo).

Metafisica e religione

Su Leftwing, Lee Harris e la religione ragionevole. Per dispetto, la goccia è Pascal (per dispetto, perché Dio prima o poi si stufa di starsene nel sepolcro imbiancato della metafisica)

A proposito di Welby

Se le mie condizioni di salute mentale e fisica, le mie relazioni amicali e parentali, il mio status economico e sociale e non so cos’altro fossero tali per cui non vi fosse minimamente da ritenere che io mi farei del male per altro che non sia il mio piacere di farmi del male, dovrebbe lo Stato intervenire per impedirmi di farmi del male? E se fosse accertabile oltre ogni ragionevole dubbio che un altro mi aiuta a farmi del male (mi frusta) solo per il mio piacere di farmi del male, dovrebbe lo Stato impedirglielo (o mettere le fruste fuori legge)?

Se la vita è un dono di Dio, io non posso disporne. Ma segue da ciò che dunque ne disponga lo Stato? Lo Stato è ancora il luogotenente di Dio? Facciamo che io sia in condizioni di minorità fisica, sociale, economica, psicologica: per uno Stato liberal-democratico (ma pure un poco socialista) deve potersi dare, almeno in linea di principio, il momento in cui non è più accusabile alcuna minorità per cui io debba essere tutelato da me stesso, o altri debbano disporre di me? O lo Stato rimane comunque e sempre un’istanza etica al di sopra di me?

Una domanda al Papa

Leggo su Panorama, a firma del teologo Vito Mancuso:

"La scelta di citare le sprezzanti parole dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo sull’Islam si collega al fatto che l’11 marzo 2006 il Papa ha soppresso il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso come ente autonomo, accorpandolo al Consiglio per la cultura. L’organismo, che sotto Wojtyla era di fondamentale importanza, ora non esiste più".

E poi ancora:

"Il Papa, rammaricato, dopo ha rilanciato il dialogo. Ma ora deve rispondere a una domanda: l’Islam viene da Dio oppure no? Se dice no (come il discorso di Ratisbna sottintende) il dialogo religioso è solo finzione; se dice sì, accetta la teologia delle religioni che ha sempre combattuto da cardinale prefetto […]. Non è, anzi non siamo, in una situazione facile".

 

Necessità di una svolta

[Qualche giocherellone deve avere la password di questo blog e ha cancellato il post con il titolo sopra riportato, sostituendovi l’esclamazione qua sotto. Ora cambio la password e vi rimetto, per come lo ricordo – l’imperdibile post]:

Il giorno in cui Chicco manda in soffitta l’eterna musichetta che trilla da ogni carillon di qualunque forma e colore e dimensione – pera mela tartaruga orsetto tigrotto farfalla pagliaccetto mucca luna paperella apina – sarà un gran giorno. Almeno per quel padre al quale la musichetta in questione non darà più sui nervi (del tutto comprensibilmente, giunto che fosse al terzo figlio).

(Intanto, un amico mi regala l’ascolto di Les espaces acoustiques, di Gérard Grisey , che alla Chicco potrebbero prendere in considerazione per ampliare la loro gamma, poiché lo spazio c’è)