Archivi del giorno: dicembre 4, 2006

Long bets

Non ci facciamo una bella figura, noi filosofi. Proprio no. La rivista Newton ha fatto scommettere un po’ di ricercatori, scienziati, e filosofi sul futuro prossimo venturo: che succede fra due, fra dieci, fra venti anni. 

C’è chi scommette che scioglieremo l’enigma della lingua etrusca (Enrico Benelli), chi scommette che camperemo 200 anni (Angelo Vescovi), chi scommette che le scimmie avranno gli stessi diritti dell’uomo (Giorgio Celli). Emanuele Severino, lui, scommette che "la tradizionale occidentale sarà distrutta e il mondo sarà governato da una tecnica senza etica". Ma non mette una data. E che caspita! Stai al gioco: tutti gli altri sparano una data, tu no. Tu dici solo: prima o poi. Ma allora con te non si può nemmeno giocare! E allora io scommetto che prima o poi la tradizione occidentale, già distrutta, risorgerà. Tiè.

Tre lezioni

Prima si spiega che la fede cristiana ha "l’esigenza strutturale" di incontrarsi con la ragione; poi si spiega che anche la ragione ce l’ha, "a meno che essa, la ragione, non decida di restringere il suo ambito ed il suo uso; a meno che non decreti un’autolimitazione del suo esercizio al verificabile nel senso stretto del termine". E’ un discorso che il cardinal Caffarra fa scendere dritto e filato dalle parole del Papa a Ratisbona (via rubytuesday).

Ora, io posso ben evitare di restringere l’esercizio della ragione al verificabile in senso stretto e tuttavia non incontrare affatto, né sentire l’esigenza strutturale di incontrare, la fede cristiana. Ma: passi. Quel che non capisco è come la ragione faccia questo: "decidere", "decretare". Son cose razionali, queste? Sembrerebbe di no, per Caffarra (non lo vedo sostenere che la ragione fa bene a decidere e decretare di autolimitarsi). E allora come fa la ragione a farle, queste cose, e ad essere ancora ragione? La ragione che decide di restringersi è invece una ragione già traviata – traviata già prima del restringimento (proprio perciò, oplà: si restringe). Non è, sin dall’inizio, una vera ragione. Si crede così di vincere una partita avendo imposto prima i ruoli in cui ciascuno deve giocare. E non vi è nulla di razionale – o perlomeno non si dimostra nulla – nel discutere dell’incontro tra fede e ragione presupponendo un certo concetto di ragione, e sostenendo previamente (ed implicitamente) che la ragione che non si incontra con la fede e non è all’altezza di questo concetto ha qualcosa di guasto.

(Per indicare questa autolimitazione Caffarra scrive: "possiamo accettare che la ragione umana non giudichi, non verifichi la verità della risposta ai grandi interrogativi propriamente umani?". Beh, certo che possiamo: non è che siccome un interrogativo mi urge deve poter ricevere risposta. Mi sembra anzi piuttosto irragionevole ritenere il contrario. Però Caffarra prosegue dando a intendere che senza queste risposte per gli uomini è un bel guaio, e un bel guaio è inaccettabile).

La seconda lezione ha uno iato impressionante tra la domanda di senso – va bene: falla, non voglio negartela – e la risposta. Caffarra potrebbe lasciarsi sfiorare dal dubbio che non è razionale rispondere a una domanda solo perché è scandaloso che non vi sia risposta? La terza lezione invece dimostra che la risposta – il fatto cristiano – è credibile e deve essere creduta. E’ credibile quanto una testimonianza: Caffarra spiega che si tratta di credere non a fatti, ma a chi dice che i fatti sono: Cristo è risorto. Il che significa che la credibilità ‘morale’ di chi testimonia supera infinitamente la natura di ciò che è testimoniato. A voler tutto concedere: è razionale, questo? (Quanto a ciò che deve essere creduto, si tratta della percezione del valore di quel che è creduto, ossia: mi va bene (va bene all’uomo). Qui Caffarra dovrebbe mettere in campo l’antropologia. Non lo fa, sicché c’è poco da discutere).