Archivi del giorno: marzo 21, 2007

Vattimo e Severino

Ieri, sulla Stampa, un articolo di Marco Baudino presentava il convegno romano con e su Gianni Vattimo. C’era anche un articolo dello stesso Vattimo, al quale risponde oggi amabilmente Severino. Severino ha ragione sul punto: Vattimo mi attribuisce una filosofia che non è la mia, fatta di strutture epistemiche e principi primi che devono spiegare (cioè dominare) il divenire. Chiarito l’equivoco, possiamo essere d’accordo: si tratta di pensare l’essere, quello che c’è. Però Vattimo pensa all’attualità, e arriva sinanche a pensare che quello che c’è, è grosso modo quello che c’è sui giornali: l’attualità nel senso finanche della quotidianità. Mentre io voglio scendere nel profondo: la quotidianità stessa ci impone di andar oltre, verso il profondo.

E’ curioso. Senza impegnare altro che questi articoli di giornale, mi chiedo come possa Severino non sospettare che scrivendo che la quotidianità "impone di andar oltre" (corsivi miei), presta il fianco alle osservazioni di Vattimo: c’è una superficie, e c’è un profondo oltre la superficie… D’altra parte Vattimo scomoda implicitamente Foucault ed esplicitamente Hegel per pensare la filosofia come il proprio tempo pensato in concetti, senza dire nulla sul fatto che al nostro tempo forse appartiene proprio questo tratto, che non si lascia pensare in concetti. E forse non è nemmeno una roba del nostro tempo soltanto.

Preferenze

Su Europa, si legge un intervento dello storico Agostino Giovagnoli sul tema della laicità. Giovagnoli spiega, non lo fan tutti, che cosa fa da spartiacque fra vecchia e nuova laicità: è il fatto che la “rivoluzione tecnico-scientifica” mette ormai in discussione l’idea stessa di natura umana: “La «base di partenza umana», su cui per secoli si è modellata la concezione «umanistica» dell’uomo, non sarebe infatti così immodificabile come si credeva in passato”.
Questa prima affermazione richiederebbe qualche commento: l’uso delle virgolette e il condizionale è, già di per sé, assai indicativo (direi: un pochino imbarazzato), ma lascio alla vostra minuta capacità di interpretazione.
Continuo. Che la natura umana non sia più immodificabile, “significa, di fatto, negare quel comune background etico e valoriale in cui si sono riconosciuti per secoli credenti e non credenti”.Questa seconda affermazione pure richiede qualche commento: non si capisce infatti se (1) il background valoriale in tanto vale in quanto c’è la base umana immodificabile, oppure (2) vale a prescindere dalla modificabilità o immodificabilità della base. Se (1), allora come ci si può appellare a valori di cui s’èmostrato, modificando la base, che non valgono più, che non sono assoluti, ecc. ecc.; se (2), dov’è il problema? Si mostri piuttosto come, su qual fondamento, il background continua a valere. (Giovagnoli dovrebbe spiegare cosa significa ‘di fatto’: se il fatto viene fatto valere surrettiziamente come principio, oppure no: nel primo caso ha l’onere di dimostrare; nel secondo caso deve parecchio chiarirsi le idee, sul punto).
Tutto il seguito dell’articolo distingue una lacità radicale, descritta come “«atteggiamento intellettuale» che fonda scelte individuali non delegabili ad alcuna autorità collettiva”, dalla vecchia laicità, che non è così radicale nel rifiutare di demandare a istanze diverse dall’individuo decisione che riguardano ‘la giusta e buona esistenza’.
Ora, qui è tutto da dimostrare. Non capisco perché l’individualismo radicale sia chiamato laicità radicale: posso immaginare senza difficoltà, ad esempio, un individualismo radicale d’ispirazione religiosa. Non capisco neppure (e soprattutto) perché per Giovagnoli la modificabilità della natura umana costituisca per Giovagnoli la premessa (necessaria? non necessaria?) di questo individualismo: Giovagnoli non lo spiega da nessuna parte, e io posso immaginare persino un bel totalitarismo, in accordo con quella rivoluzione tecnico-scientifica. E, viceversa, posso immaginare un individualismo radicale che nulla deve alla modificabilità o immodificabilità della natura umana.
Per tutto ciò, la distinzione fra vecchia e nuova laicità non mi pare affatto ben tracciata, e quella che Giovagnoli chiama ‘laicità radicale’ mi pare in verità una sua caricatura.
(Io preferisco i filosofi agli storici, diciamo)