La nota Cei sui Dico. Tutto bene. Mi domando un politico cattolico, tenuto all’obbedienza, che "ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge", che non “può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società”, che "sarebbe incoerente" se sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto (però di sicuro c’è qualcuno che passerà di qui a dirmi che questo non vuol dire che in ultima istanza non deciderà la sua coscienza; e certo: siamo mica marionette – salvo che la coscienza va formata in coerenza con questa nota qua), un politico cattolico si può prendere almeno la libertà di condurre una ricerca empirica in argomento? Poiché nella Nota i vescovi italiani affermano che "la legalizzazione delle unioni di fatto [è] inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo", un politico cattolico si può prendere la libertà, dal momento che nella nota si trovano solo le impeccabili considerazioni di principio, può prendersi la libertà di condurre qualche verifica in punta di fatto della pericolosità sul piano sociale ed educativo di una legge simile? Può prendersi la libertà di verificare se, nei paesi in cui è stata introdotto qualcosa di analogo ai Dico, e persino, a Dio piacendo, di più avanzato, la situazione sociale ed educativa s’è fatta o si sta facendo veramente intollerabile e pericolosa? Oppure l’inaccettabilità di principio esclude a priori che in quei paesi l’introduzione di norme che legalizzano le unioni di fatto possa non avere messo in pericolo la società e l’educazione delle future generazioni? Per capire: se conduco uno studio sull’argomento, in Francia, cosa trovo, a conferma o eventualmente (se l’eventualità è contemplabile) a smentita della Nota dei vescovi?
(E se, Dio non voglia, si scoprisse che quei paesi non sono Babilonia, che si fa?)