Archivi del giorno: aprile 12, 2007

Terza pagina

E’ imbarazzante. Uno legge un articolo apparso in terza pagina, sul Corriere, perché si parla della fine di destra e sinistra, e c’è il nome di Adorno nel titolo, nientemeno, e la firma di Vittorio Gregotti sotto, nientemeno, e si ritrova poi a segnalare l’articolo solo perché scopre che Gregotti proprio non sa scrivere. (Che siccome è Gregotti, al giornale non hanno dato neppure una sistematina alle virgole. Che e siccome).

Il punto due

L’articolo di Lucetta Scaraffia ha tre punti che voglio mettere in evidenza, ma uno soprattutto, il punto due. Nell’articolo, la Scaraffia replica a Fabio Sebastiani, il quale, su Liberazione di domenica (non l’ho trovato), si domandava a quel che capisco se la risposta moralistica della Chiesa ai bisogni spirituali del nostro tempo fosse la più adeguata; se la Chiesa, ingombrata dal suo corpo istituzionale, dall’esercizio di un potere non soltanto spirituale, non si fosse allontanata dal ‘popolo di Dio’. La Scaraffia replica pazientemente così:

1. quante volte abbiamo sentito questa litania! Non è la prima volta e non sarà l’ultima;

2. Ma Sebastiani, e tutti quelli che ripetono la stessa solfa, dimentica che se non fosse stato per quel potere, per quella istituzione, non staremmo qui a parlare di cristianesimo;

3. E poi Sebastiani cosa veramente vuole, cosa veramente intende? In fondo, intende che la Chiesa debba assecondare le richieste che vengono dalla società, invece di dirigerle, invece, se necessario, di rettificarle. Gli danno fastidio i rimproveri, a Sebastiani, e vorrebbe che la Chiesa accompagnasse il corso della secolarizzazione, non sospettando minimamente che, forse, la causa del disagio spirituale delle persone non sono affatto i rimproveri della Chiesa, ma la secolarizzazione stessa.

Replico a mia volta (un po’ meno pazientemente). Ad 1. Vero. Quant’è vero che la risposta data sub 2 l’abbiamo sentita altrettante volte. Peraltro, io preferisco pensare che non è il numero delle volte in cui viene proposto un argomento a decidere della sua validità (né posso pensare che siccome non l’aveva, poniamo, cento anni fa, non ce l’ha nemmeno oggi). Ad 3. Vero. Sebastiani si vuole divertire, vuole correre appresso ai diritti individuali, e non vuole che la Chiesa gli tiri caritatevolmente le orecchie, gli dia un buffetto materno e lo richiami ai suoi doveri. Anzi, Sebastiani probabilmente vuole pure l’applauso. MI domando però se la Scaraffia pensa seriamente che gli uomini non vivrebbero più alcun disagio spirituale se si attenessero scrupolosamente al catechismo, al diritto canonico e all’omiletica domenicale. E mi domando anche se la società che hanno al posto delle leggi l’equivalente del nostro catechismo, o le stesse società europee quando, prima dell’orrenda secolrizzazione, il catechismo si riverberava senza difficoltà sulle leggi dello Stato, fossero al riparo dai disagi spirituali che affliggono noialtri. (Io, peraltro, non sono affatto a disagio).

Ma queste sono sciocchezze. Più grave è il punto due. Perché io ho un bisogno spirituale assai forte, un bisogno spirituale fortissimo, che però urta contro il punto 2 della Scaraffia. Quel punto, in tutta la sua crudità, significa: vi va di parlare ancora di cristianesimo? E allora non state lì a ricordare le Sante Inquisizioni, i Papi guerrieri, il mercato delle indulgenze, i fatti e i misfatti dell’istituzione. Ma chissenefrega! Ma non facciamo i bambini, i puri di cuore! Siccome è un gran bene che il cristianesimo ci sia oggi e sia vivo e vitale, bisogna che pensiate: pazienza. Bisogna che pensiate: c’è un prezzo da pagare. Ma io questa pazienza non ce l’ho. O meglio: capisco benissimo che la storia funzioni così, figuriamoci, ma non è nella storia che chiedo di soddisfare quel mio fortissimo bisogno spirituale. Io considero che lo spirito sia anzi quel luogo più alto in cui uno si domanda persino: perché la storia? perché giustificare tutto quanto? Perché pagare un prezzo? Perché non "restituire il biglietto"? Io in questa storia del cristianesimo, no grazie: non ci voglio neppure entrare. (E, secondo me, neppure Gesù Cristo in persona in quella storia c’è entrato tanto, anche se ce l’hanno fatto entrare). Quella storia non fa per me, e sospetto di chi ne va fiero: pensa un po’. E se debbo giustificare il male, mi dò un pizzico sulla pancia e lo giustifico pure, ma non nel nome dello spirito e della verità. Se devo darmi il pizzico me lo dò, ma non capisco perché dovrei rinunciare alla secolarizzazione. Se nella storia se ne commettono, di nefandezze, non vedo perché si voglia tornare a commetterne in nome di Gesù, e pretendere pure di stare sereni.

( La Scaraffia, invece, sembra non sapere nulla di tutto ciò, e perciò a un certo punto in quella storia c’è entrata di chiatto,  come si dice a Napoli. Perciò gli basta il punto 2; e perciò di disagi col catechismo non ne ha)

Assassinio a Port-Royal

“Blaise Pascal?”
“Sì, lui. È stato Carnap”.
“Carnap?”
“Sì, Carnap. Non si conosce il mandante, ma si conosce il movente: prima di sparargli in pieno volto, Carnap gliel’ha sbattuto gelidamente in faccia: «Lei ha chiesto: «Ne sei degno?». E, prima che quello potesse rispondere un sì o un no, ha detto: «Se rispondi di sì, sei presuntuoso, e pertanto indegno. Se rispondi di no, sei indegno ugualmente, e allora Dio perché dovrebbe mostrarsi proprio a te?»”.
“Elegante, non ti pare?”.
“Lo pensava anche Pascal. E Carnap non gli ha fatto dire altro. «Queste sono due valve di pseudo-proposizione che insieme fanno una cozza metafisica!», gli ha rinfacciato, prima di fare fuoco. Pascal non ha fatto in tempo a portare la mano alla tasca (ma possibile che fosse anche lui armato? Roba da non credersi!) che Carnap, velocissimo, gli ha maciullato il suo grosso naso e la sua insopportabile boria”.
“È già successo”.
“A Pascal? Ma come? Chi?".
“Ma no, cosa hai capito? È già successo che facessero fuori uno di noi. Carnap, poi, è un killer spietato e sanguinario: ha un criterio di significanza maledettamente stretto, ed è inevitabile che prima o poi arriverà fin qui. Ma noi non ce ne preoccuperemo”.
“Come dici?”.
“La filosofia è meditatio vitae, mio caro: non star lì a pensarci. Piuttosto, Pascal credeva che si dovesse vivere come se si stesse per morire, e ora qualcuno penserà che se l’è cercata. Scherzi del destino. Però stavolta non aveva tutti i torti.”.
“Come sarebbe non aveva tutti i torti?”.
“Ascolta. Perché Carnap gli ha sparato? Perché quelle di Pascal erano due pseudoproposizioni?
“Per quello”.
“Ma lo erano davvero?”.
“Carnap lo ha creduto”.
“Carnap ha creduto che Pascal dicesse con quelle proposizioni che Dio non si può mostrare in nessun caso, e che quindi fosse inverificabile, e ultimamente insensata, qualunque proposizione che lo concerne”.
“E non è così?”.
“Tu hai letto il memoriale di Pascal?”.
“Ma è morto sul colpo!”.
“Dico quello che ha scritto prima, nella notte del 23 novembre 1654. Dicono che Pascal lo portasse con sé, nel panciotto. Se Carnap non ha frugato nelle sue tasche è ancora lì”.
“Ah! Ecco perché Pascal ha cercato la tasca! Non era per la pistola! E cosa dice, il memoriale?”
“Il memoriale riferisce l’esperienza che Pascal ha avuto di Dio. Due ore a versare lacrime di gioia. Se Carnap l’avesse trovato, forse le cose sarebbero andate diversamente”.
“E come sarebbero andate? Pensi che Carnap lo avrebbe preso sul serio?”.
“Non lo so. Ma Pascal avrebbe cercato di farlo ragionare. Gli avrebbe fatto per esempio osservare che ci sono un mucchio di proposizioni perfettamente sensate che tuttavia non soddisfano il criterio di significanza di Carnap, perché empiricamente inverificabili”.
“Tipo?”.
“Tipo gli enunciati controfattuali come questa proposizione che ho appena pronunciata. O tipo: «Ad Aristotele piacevano le cipolle», che è un bell’esempio di Jerry Fodor. Pensi che Carnap farebbe fuori anche Fodor?”.
“Spero di no! Ma anche quegli enunciati da qualche parte devono pur ancorarsi al mondo. Posso immaginare come sarebbe il mondo se fossero veri (immaginare, e forse persino verificare se Aristotele mangiasse spesso cipolle, ad esempio). Ma il Dio di Pascal? Non chiamerai mica verifica l’esperienza presunta mistica di un uomo dalla salute assai precaria?”.
“Certo che no. Però fammi dire due o tre cose”.
“Dì pure”.
“Primo: siamo d’accordo che Carnap col suo criterio ha il grilletto troppo facile? Secondo. Il memoriale non fornisce un metodo di verificazione, ma se uno insistesse che lui ha fatto esperienza eccome di Dio, lo ha proprio sentito, e che ciascuno può sentirlo per sé, in cuor suo, se solo…”.
“Qui ti fermo. Queste sono cazzate. Capisco che ci siano in giro fenomenologi che accreditano questa idea di un accesso personale alla verità delle cose, non riproducibile secondo alcuna metodica obiettiva e tuttavia ben reale, ma prima o poi Carnap farà fuori pure quelli. E giustamente, dal suo punto di vista. In ogni caso, non ha scritto Pascal che, comunque facciamo, siamo indegni della rivelazione? E allora, di che cuore parli? Di che stiamo parlando?”
“Hai ragione. Solo in parte però. Perché io dovevo solo farti presente un’obiezione che forse Pascal non avrebbe avanzato, o forse sì, non lo so, ma che tuttavia può essere elevata. Resta però, hai ragione, quel suo modo di ragionare che ha dato sui nervi a Carnap (e non solo a lui)”.
“Già. È quello che devi provare a difendere, se vuoi dimostrare che Carnap è andato oltre il segno”.
“Beh, vedi. Se Carnap avesse dato a Pascal il tempo di spiegarsi, forse avrebbe sentito Pascal dirgli: «Calma! Io non dico che Dio non si mostra affatto. Avessi detto questo, cosa credi?, sono stato scienziato anch’io: capisco che ci sarebbe da incazzarsi, e pure di brutto. Ma leggiti un po’ i miei pensieri: io dico solo che non si mostra a chi ne è indegno, e pretendere di rendersene degni significa esserne indegni»”.
“E non è la cozza metafisica, questa?”.
“Cioè una coppia di indecenti pseudoproposizioni?”.
“Sì.”.
“A dire il vero, non mi pare. Un conto è infatti pretendere di rendersene degni, un conto è dire che comunque non ne siamo degni e che dunque Dio non si mostra affatto. Poiché Dio può ancora manifestarsi a chi si crede indegno, ma non lo è. E Dio può ancora manifestarsi di sua iniziativa, liberamente. E c’è di più: io ti indico – potrebbe dire ancora Pascal – anche il metodo per umiliarsi dinanzi a Dio così da sperare di esserne un giorno degno: prendere l’acqua benedetta, sentire messa, moderare le passioni…”.
“Ma che razza di metodo è questo? Non è mica un metodo scientifico!”.
“No che non lo è, ma non vedo perché dovrebbe esserlo. Non tornare a mettere le cose in termini così stretti che non c’entrano nemmeno le cipolle di Aristotele. E a proposito: prima ti ho fatto il nome di Fodor, ora aggiungo quello di Wittgenstein, tipo assai strano, forse ancora più strambo di Pascal, e non meno folle, il quale considerava che il significato di una proposizione sta nell’uso. Se allora vi è un modo di usare le proposizioni di Pascal, che rileva per le circostanze della vita, che produce forme distinte e ben riconoscibili di prassi, beh: quelle proposizioni potranno pure essere false, non però insensate. Eh, caro mio, se proprio vogliamo dirla tutta, sarebbe bello considerare la metafisica e la teologia un cumulo di insensatezze: ce ne si libererebbe più facilmente. Il guaio è che sono sensate, e tocca o di dimostrare che sono false, oppure che…ma no, questa cosa non te la dico, sennò la prossima volta… Carnap fa di testa sua, e viene qui a finire il suo sporco lavoro”.
“Chissà. Bisognerebbe sapere chi ce lo manda, ogni volta”.
“Ti confiderò un segreto, amico mio: a mandarlo sono stato io. E ora trovalo, il movente vero!”