I 70 anni dalla morte di Antonio Gramsci. C’è un filo che arriva sino a me, ma è un filo spezzato. Mi è capitato spesso di riflettere su una cosa. Mi sono iscritto a filosofia all’Università di Salerno perché il giorno in cui decisi di andare a Napoli per prendere informazioni impiegai quasi quattro ore all’andata e quasi tre al ritorno. All’andata, l’autista consentì, a chi volesse, di scendere dall’autobus sulla rampa autostradale di collegamento con la città, perché non c’erano speranze di raggiungere il centro; al ritorno, a causare il ritardo fu il deflusso dalla manifestazione che quel giorno aveva paralizzato Napoli.
Mi iscrissi dunque a Salerno. Cinquanta chilometri da Napoli sono stati sufficienti perché la linea De Sanctis Croce Gramsci mi sfiorasse appena. La vocazione dichiaratamente antistoricista di
Giuseppe Zarone e Vincenzo Vitiello han fatto il resto (nonostante l’ottimo
hegelismo di Roberto Racinaro). Ma a Salerno insegnava ancora, l’anno in cui mi iscrissi, Valentino Gerratana. Era anziano, camminava piano. Lungo e magro e affilato, mi era parso naturale incontrarlo nelle polverose e sghembe stanze (perché erano stanze), dell’Università che aveva sede in via Irno, in un normale edificio residenziale, del tutto insolito incrociarlo invece nei corridoi prefabbricati del nuovo campus di Fisciano. Mi sembrava che si rifiutasse di guardarsi intorno. Magari un giorno scoprirò che Gerratana fu tra i promotori del trasferimento a Fisciano (la sede di via Irno era disagevole almeno quanto l’attuale sede dell’Università di Cassino, un paio di palazzine anch’esse di uso abitativo), ma io allora la vedevo così. Era il modo in cui mi giungeva
tutto quello che di Gerratana io ignoravo.
Gerratana ha curato
l’edizione critica dei Quaderni di Gramsci. Io non ho seguito alcun esame con Gerratana. Gerratana insegnava, mi pare, “Filosofia della storia”, e io non potevo seguire un insegnamento denominato “Filosofia della storia”. Ho ovviamente seguito corsi in cui ho accumulato sciocchezze su sciocchezze, ma “Filosofia della storia” no. L’anno in cui avrei potuto inserirlo nel piano di studio in programma c’era Kant, e Kant non potevo condividerlo con il curatore dei
Quaderni.
Niente storicismo, dunque. Leggo però, nella
bella e male impaginata commemorazione di Mario Tronti (
qui l’audio), che nella saldatura con il popolo, con il lavoro e con la storia Gramci cercava "l’unico luogo sicuro e libero da quella nevrosi narcisistica che è la maledizione del lavoro intellettuale". E così penso, a qualche anno di distanza, che ho ancora buone ragioni, ma pure qualche torto.