Ho cominciato a leggere l’interessante libro di J. Lear, Radical Hope: Ethics in the Face of Cultural Devastation, che sulla New York Review of Books è recensito da una firma illustre, Charles Taylor. La recensione è un lungo commento alle parole del grande capo della tribù dei Crow, al tramonto del suo mondo: After this nothing happened. Quando una cultura (una forma di vita) finisce, non rimane da vivere che un’esistenza incomprensibile.
Quand’è così, solo una speranza radicale ti può sostenere in un mondo altrimenti privo di significato. E una speranza radicale è una speranza diretta verso un bene futuro che trascende qualunque capacità di comprensione di ciò cui propriamente essa si indirizza. Una simile speranza è una speranza religiosa.
Lear lascia vedere anche i problemi. Per esempio: in nome di una simile speranza, si finisce con l’accettare un bel po’ di cose. E cosa pensare di chi amministra una simile speranza? D’altra parte, tu eri un indiano coraggioso perché andavi a caccia: come puoi ancora dirti coraggioso, ora che hai accettato il dominio yankee, e una vita in riserva? Eppure, se non puoi dirti coraggioso, non puoi vivere. Dunque, devi risignificare il coraggio. Coraggiosa diviene la pazienza di chi accetta di vivere per un bene futuro radicalmente incerto (secolarizzato, questo coraggio non ci è affatto estraneo, ed è quel che trattiene lo svantaggiato, in condizioni di ingiustizia sociale, dal mandare tutto per aria). (Quanto a loro, i Crow si diedero all’agricoltura).
C’è un’ultima cosa. Nella recensione, Taylor si sofferma sul tema della democrazia. Il caso dei Crow dimostrerebbe che dall’interno della tua cultura tu puoi e devi trovare le risorse per inventare nuove soluzioni, mentre non basta esportare libere elezioni per trapiantare modelli politici e culturali. A me interessa invece il problema di se e come si mantiene la speranza religiosa: può essa vivere in condizioni di completa indeterminatezza? Se non lo può, allora, inculturandosi, finisce col perdere la sua radicalità, cioè la sua tensione propriamente religiosa. E se finisce col perdere la sua tensione propriamente religiosa, finisce col morire insieme con la cultura in cui s’è infilata.
Il Problema è reale. Ma quanto tu nel finale del tuo commento dici giustamente, non è già accaduto con la Storia della Chiesa Cattolica e della sua comunità? Non ha perso radicalità e tensione? Ratzinger vorrebbe recuperarla, ma a mio parere è impossibile, seguendo una Parola che non è più sentita (senza sentimento, solo sentimentalismo. Questa è l’immagine contemporanea religiosa di Dio).
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